AIDS e infezione da HIV

24 dicembre 2024
Speciale HIV

AIDS e infezione da HIV: cause, sintomi e cure



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Indice


Definizione


AIDS e infezione da HIV: definizione e generalità


Iniziali inglesi (Acquired Immuno-Deficiency Syndrome) di una infezione causata da retrovirus denominato HIV (o LAV dai ricercatori francesi o HTLV-III dagli americani), il quale attacca i linfociti T4, che hanno in superficie il recettore CD4 che presenta una affinità specifica per la glicoproteina dell'involucro virale gp 120; ciò consente l'attacco del virus e la successiva penetrazione nella cellula. All'interno di essa, l'RNA virale viene trascritto in una molecola di DNA (provirus) che si integra nel genoma della cellula ospite dando origine ad una infezione cronica.

Si ha così una progressiva deplezione dei linfociti CD4+ (helpers) con compromissione della risposta immunitaria sia cellulo-mediata sia umorale, qualitativa e quantitativa. Le alterazioni della immunità cellulo-mediata sono: linfopenia, riduzione dei linfociti CD4+, aumento dei linfociti CD8+, inversione del rapporto CD4+/CD8+, attivazione policlonale dei linfociti B, ridotta produzione di interleuchina-2, di interferone gamma, aumento del fattore di necrosi tumorale (TNF).

Come si trasmette il virus dell'Hiv


L'infezione da HIV si trasmette attraverso:
  • Contatto sessuale
  • Contatto con sangue infetto: scambio di siringhe, trasfusioni di sangue o di prodotti di sangue infetti e/o trapianti di organi infetti, utilizzo di strumenti infetti
  • Da madre sieropositiva a figlio durante la gravidanza, il parto o l'allattamento al seno

Sintomi dell'AIDS

Qualche tempo dopo aver contratto il virus la persona inizia a sviluppare i sintomi caratteristici dell'infezione da HIV: aumento di volume dei linfonodi, perdita di peso, senso di affaticamento, diarrea, febbre e sudori notturni. Tuttavia, in molti soggetti l'infezione è quasi asintomatica. L'AIDS, dovuto alla lenta e graduale perdita di linfociti T con conseguenti numerosi episodi infettivi e altre malattie, che raramente colpiscono persone sane, si sviluppa in media dopo 8-12 anni dall'infezione da HIV.

Lo spettro delle manifestazioni cliniche associate all'infezione da HIV-1 varia dallo stato di portatore asintomatico fino ai più gravi quadri di infezioni opportunistiche e neoplasie, espressione dell'AIDS conclamata.

L'infezione acuta è spesso asintomatica o con un quadro aspecifico (febbre, cefalea, artromialgie, angina, linfoadenopatia, esantema maculo-papuloso, dolori addominali, diarrea; rari sono sintomi neurologici per meningite asettica, mielopatie, sindrome di Guillain-Barré) che compare 3-6 settimane dopo il contagio e si risolve spontaneamente entro 2-3 settimane.

Dopo un periodo variabile che può essere silente o con manifestazioni cliniche indicative di progressivo deficit immunitario (linfoadenopatia generalizzata, dimagramento, leucoplachia orale, leucopenia, anemia, piastrinopenia) si può sviluppare l'AIDS conclamata con sviluppo di infezioni opportunistiche (tubercolosi, polmonite da Pneumocystis carinii, meningite criptococcica, toxoplasmosi cerebrale, criptosporidiosi, infezioni da citomegalovirus, da herpesvirus) e neoplasie (sarcoma di Kaposi, linfoma cerebrale) ad esito quasi sempre letale.

Approfondimenti:

Diagnosi

AIDS e infezione da HIV: come efftuare la diagnosi


L'infezione da HIV viene rilevata con test di primo livello, tra i quali: test che identificano gli anticorpi anti-HIV (EIA, ELISA e similari), test combinati (COMBO Test - identificano non solo gli anticorpi ma anche l'antigene p24) e metodi di biologia molecolare (PCR, NAT, che identificano il genoma del virus). I test che identificano gli anticorpi vengono poi confermati con test di secondo livello (Western Blot, RIPA, RIBA).
In alcuni Centri Diagnostico-Clinici è possibile mantenere l'anonimato, cioè la completa assenza dei dati della persona/utente, quindi non viene richiesto alcun documento; in altri, invece, il test è strettamente confidenziale (la persona/utente fornisce i propri dati solo all'operatore che effettua il test, il quale li conserva e li tratta in modo riservato.
Il test deve essere eseguito dopo 40 giorni (periodo finestra) dall'ultimo comportamento a rischio in caso di un test di ultima generazione. Per altri test il periodo finestra rimane 90 giorni. È opportuno fare sempre riferimento alla valutazione del medico che ha prescritto l'esame o alle indicazioni fornite dal medico nel Centro Diagnostico-Clinico.

Approfondimenti:

Come si valuta la gravità della malattia

Viremia
È la "carica virale" del sangue. È un fattore molto importante nella scelta dei trattamenti da seguire. Essa indica la quantità di virus presente nel sangue e ciò aiuta a stabilire la gravità (avanzamento) della malattia. Per misurare la viremia oggi si ricorre a tecniche cosiddette di amplificazione genica (PCR), capaci di rilevare anche piccolissime quantità di virus (misurata in n° di copie per millimetro cubo di sangue).

CD4
Oltre che alla viremia si può ricorrere alla valutazione dei livelli di CD4: proteine di superficie tipiche di alcune cellule del sistema immunitario (come i macrofagi, i monociti e, soprattutto, i linfociti T4). Il virus HIV utilizza queste proteine come punto d'attacco per infadere i linfociti e distruggerli.

Linfociti T4
Detti anche Linfociti T Helper o Linfociti T CD4+, sono i principali responsabili dell'organizzazione della risposta immunitaria e sono il bersaglio dell'HIV. É la progressiva distruzione dei linfociti T4 che porta all'immunodeficienza, tipica delle fasi avanzate dell'AIDS. Essi hanno il compito di segnalare alle altre cellule del sistema immunitario che è il momento di "entrare in azione". I linfociti T4, inoltre, producono varie sostanze (le citochine) dotate di capacità antivirali o in grado di stimolare l'attività di altre cellule, come i linfociti B (in grado, a loro volta, di produrre gli anticorpi diretti contro il virus). Quanto più bassi sono il livelli di linfociti T4, tanto più grave è l'infezione.

Tipizzazione linfocitaria
Questo esame di laboratorio utile a calcolare il numero delle diverse famiglie di linfociti presenti nel sangue del paziente. L'esecuzione avviene mediante analisi degli antigeni CD (Cluster of Differentiation), cioè degli antigeni di differenziamento dei leucociti umani. Nel caso dei linfociti T, la nomenclatura è CD1, CD2, ... CDN, dove al singolo cluster di differenziamento (CD) è assegnato un numero arbitrario che codifica alcune caratteristiche dell'antigene: tipo di cellula, natura chimica (p = proteina; gp = glicoproteina) e peso molecolare. Il codice CD4 (T,p50), quindi, designerà appunto i linfociti T CD4+, comunemente detti linfociti T4.

Prevenzione

Nella sua ormai lunga storia, l'epidemia mondiale di AIDS ha insegnato che l'unico strumento efficace utilizzabile su larga scala per la prevenzione (a parte l'astinenza sessuale e in attesa del vaccino) resta il profilattico. Un presidio semplice e inventato fin da tempi antichi per evitare le gravidanze, ma che può costituire una valida arma di difesa contro le malattie sessualmente trasmesse, infezioni tutt'altro che relegate al passato e diffuse anche in Occidente.
Che il preservativo protegga dai contagi per via sessuale è intuibile e lo si è verificato nel caso dell'HIV, della gonorrea, della Chlamydia, del virus dell'Herpes genitalis.
Inserire tra gli esami di routine, come colesterolemia, glicemia o livelli di trigliceridi, anche il test per verificare siero-negatività (o positività) all'Hiv, per tutte le persone sessualmente attive, rappresenterebbe una strategia efficace sia contro la diffusione dell'infezione sia contro la sindrome da immunodeficienza acquisita (Aids) conclamata.

Terapie

Oggi in Italia di Aids non si muore più, grazie alle cure rese disponibili dalla ricerca. Tuttavia, nel nostro Paese le nuove diagnosi restano tante: secondo i dati dell'Istituto Superiore di Sanità, nel 2017, sono state riportate 3443 nuove diagnosi di infezione da Hiv, e 690 nuovi casi di Aids.
Obiettivo comune a tutte le terapie antivirali, compresa quindi quella per l'AIDS, è inibire la replicazione del virus cioè tenere bassa la quantità di virus presente nell'organismo. Se, infatti, non è ancora possibile eradicare completamente l'HIV, grazie alla combinazione dei trattamenti oggi disponibili è possibile aumentare notevolmente le difese immunitarie in quasi tutte le persone colpite.
Inoltre, l'aumento delle conoscenze circa gli effetti collaterali, le interazioni e lo sviluppo di resistenze dei farmaci antiretrovirali hanno affinato il rapporto rischio-beneficio, permettendo una scelta terapeutica sempre più "su misura" delle esigenze del singolo paziente.

La terapia antiretrovirale

Oggi non esiste un singolo farmaco in grado di curare l'Aids; esistono, però, una serie di farmaci (chiamati appunto antiretrovirali), che possono essere impiegati per contrastare la proliferazione dell'HIV. Attualmente sono tre i gruppi di farmaci più utilizzati contro il virus:

Inibitori della trascrittasi inversa (NRTI dal termine inglese "Nucleoside Reverse Transcriptase Inhibitor")

Sono farmaci in grado di bloccare la replicazione del virus interrompendo la formazione della nuova catena di DNA virale. I principali sono a base di AZT, DDI, ddC, 3TC, d4T e Abacavir. Infatti la trascrittasi inversa e un enzima contenuto nei retrovirus, che consente di trasformare l'RNA del virus in DNA, realizzando una copia del DNA a partire dalla singola catena dell'RNA. La Trascrittasi inversa, quindi, è fondamentale per la replicazione del virus stesso.

Inibitori della trascrittasi inversa non nucleosidici (NNRTI dal termine inglese "Non Nucleoside Reverse Transcriptase Inhibitor)

Sono farmaci con la stessa azione dei precedenti ma con caratteristiche chimiche diverse. Lo svantaggio di questi farmaci è che una singola mutazione del virus può causare resistenza incrociata più farmaci. C'è la possibilità di effetti collaterali di diversa gravità (dalle eruzioni cutanee alla sindrome di Stevens Johnson). I principali NNRTI sono Nevirapina e Stocrin.

Inibitori della proteasi (IP)

Sono i farmaci in grado di bloccare la replicazione del virus inibendone la proteasi, enzima essenziale per la maturazione delle nuove particelle virali. Uno degli svantaggi di questi farmaci è l'elevato numero di dosi da assumere durante il giorno (numerose pastiglie 2-3 volte al giorno). Tra i possibili effetti: diarrea, disturbi gastrointestinali, resistenza all'insulina e ridistribuzione del tessuto adiposo. I più comuni: Saquinavir, Indinavir, Ritonavir e Nelfinavir.

Come sempre, la chiave del successo della terapia risiede nella tempestività: quanto più rapidamente inizia dopo l'infezione, tanto maggiori sono le possibilità di bloccare la replicazione virale.
Oggi si tende a scartare qualsiasi terapia con un solo farmaco e tra gli schemi possibili le esperienze più positive riguardano queste combinazioni:
  • Due inibitori della trascrittasi inversa più un inibitore della trascrittasi inversa non nucleosidico, che porta alcuni vantaggi sugli altri
  • Due inibitori della trascrittasi inversa più un inibitore della proteasi, che sconta una certa tossicità
  • Due inibitori della trascrittasi inversa più due inibitori della proteasi
  • Tre inibitori della trascrittasi inversa, indicato soprattutto quando vi è una bassa viremia
Questi sono schemi che si applicano su pazienti non trattati in precedenza (naive). Tuttavia il fallimento della terapia lo sviluppo di intolleranze o di resistenze del virus conducono al cambiamento dello schema. Di norma, si tende a sostituire l'eventuale inibitore della proteasi con un inibitore della trascrittasi inversa non nucleosidico, oppure il contrario. Si cambiano anche tutti i singoli farmaci. Di fatto, comunque, per quanto enormemente aumentate, le conoscenze non sono tali da poter fornire percorsi precisi e "validi per tutti". Si tratta di procedere aggiustando le associazioni in base all'esperienza nel singolo paziente, sia pure sulla base di un certo numero di casi.


Terapia profilattica pre-esposizione (PrEP)

Due società scientifiche britanniche -British HIV Association (BHIVA) e British Association for Sexual Health and HIV (BASHH)- hanno redatto le linee guida per la pratica clinica nella gestione della profilassi pre-esposizione (PrEP) in individui a rischio.
Secondo tali indicazioni il tipo di profilassi varia a seconda della categoria di individui, secondo lo schema seguente.

Raccomandazioni PrEP per individui omosessuali

Individui omosessuali siero-negativi a rischio di HIV che abbiano avuto rapporti sessuali non protetti nei 6 mesi precedenti dovrebbero assumere, quotidianamente o su richiesta, la terapia TD-FTC (tenofovir  disoproxil/emtricitabina) come terapia profilattica pre-esposizione. Lo stesso vale per uomini omosessuali che abbiano avuto rapporti sessuali non protetti con partner sieropositivi, a meno che il partner sia stato già trattato con terapia antiretrovirale per almeno sei mesi e presenti una carica virale inferiore a 200 copie/mL.

Raccomandazioni PrEP per individui eterosessuali

Individui eterosessuali siero-negativi che abbiano avuto rapporti sessuali non protetti con un partner HIV-positivo dovrebbero assumere la stessa terapia come pre-esposizione, a  meno che il partner sia in terapia antiretrovirale da almeno sei mesi e presenti una carica virale inferiore a 200 copie/mL. Individui eterosessuali -uomini e donne- che presentino fattori di rischio per la contrazione dell'infezione da HIV dovrebbero assumere questi farmaci secondo una valutazione caso per caso.
Tenofovir disoproxil fumarato (TDF) in monoterapia può essere offerto in luogo del FTC qualora questo sia controindicato.

Raccomandazioni PrEP per donne trans

Le donne trans sieronegative a rischio aumentato di HIV, a causa di rapporti anali non protetti nei precedenti sei mesi, dovrebbero assumere TD-FTC quotidianamente per via orale.

Donne e uomini trans HIV negativi che abbiano rapporti non protetti con un partner sieropositivo dovrebbero assumere TD-FTC per via orale quotidianamente, a meno che il partner non sia in terapia antiretrovirale da almeno sei mesi e presenti una carica virale inferiore a 200 copie/mL.

Raccomandazioni PrEP per i giovani

Individui omosessualli tra i 15 e i 25 anni di età, ad aumentato rischio di HIV a casua di rapporti sessuali non protetti nei sei mesi precedenti dovrebbero assumere, quotidianamente o su richiesta, TF-FTC come profilassi.
Giovani sieronegativi che abbiano rapporti non protetti con partner HIV-positivi dovrebbero assumere quotidianamente TD-FTC per via orale, a meno che il partner non sia in terapia antiretrovirale da almeno sei mesi e presenti una carica virale inferiore a 200 copie m/L.

Raccomandazioni per iniziare e interrompere la terapia PrEP

Se il fattore di rischio per il contagio da è costituito da rapporti sessuali anali, la terapia PrEP può essere iniziata con una doppia dose di TD-FTC da assumersi da 2 a 24 ore prima del rapporto, e continuata quotidianamente fino a 48 ore dopo l'ultima esposizione a rischio di contagio.


Farmaci

Di seguito è riportato l'elenco dei principi attivi maggiormente utilizzati nella cura di questa patologia. E' sempre necessario consultare il proprio medico per la scelta di un farmaco, del principio attivo e della posologia più indicati per il paziente.



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