Tumore della prostata, ok al Psa ma solo se necessario

15 aprile 2011
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Tumore della prostata, ok al Psa ma solo se necessario



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Di tumore alla prostata si muore sempre meno a giudicare dai numeri forniti dall'Associazione italiana per la ricerca sul cancro. Dei 23.000 nuovi casi diagnosticati ogni anno, di cui il 20% già allo stadio di metastasi, la sopravvivenza a cinque anni supera, infatti, mediamente il 70%. Un dato considerevole per il quale parte del merito va anche al test del Psa, un marcatore prodotto dalla prostata, i cui livelli nel sangue possono essere indice di aumentato rischio tumorale. Ma il test non è inequivocabile e per questa ragione, nel corso della Conferenza nazionale Aiom dedicata alle neoplasie urologiche, il presidente dell'associazione di oncologia medica Carmelo Iacono ha ribadito come non si debba far ricorso al test in modo indiscriminato.

«Il problema» spiega Iacono a Dica33 «è che il test non è adeguato per uno screening generalizzato sulla popolazione, non avendo una così elevata specificità. Così quando ci si trova davanti a valori alti spesso servono ulteriori accertamenti, spesso invasivi come la biopsia per arrivare a una diagnosi più precisa». Quali i rischi? «Innanzitutto quello di sopravvalutare il valore del Psa, sottoponendo a biopsia una quantità enorme di persone, che subiscono così un inutile trattamento aggressivo». Bisogna ricordare che secondo i numeri forniti da Aiom la sensibilità del test varia dal 70 all'80%. Questo significa che il 20-30% delle neoplasie non viene individuato dal Psa. Ma oltre a un eccesso di trattamento, il problema è anche economico. Il prezzo del Psa per il Servizio sanitario nazionale è di circa 15-20 euro e il rimborso è previsto per il follow-up dei pazienti, mentre per la diagnosi primaria si paga soltanto il ticket. «Ogni volta che si fa ricorso a una procedura clinica» precisa il presidente Aiom «si deve valutare il rapporto tra i costi e i benefici e la seconda voce deve prevalere sulla prima. Nel caso del Psa si rischia di gravare troppo sul sistema sanitario e che a prevalere siano i costi sui benefici». Il test, perciò, non può essere considerato come uno screening di medicina sociale, cioè con ricadute sulla popolazione generale, quale per esempio la mammografia. Ciò non toglie che svolga un ruolo di una certa importanza. Quale la modalità corretta di ricorso al test? «Il parametro è fondamentale sui pazienti con neoplasia accertata, per monitorare l'indice di risposta alla terapia» dice Iacono. «Sugli altri soggetti va eseguito solo quando è necessario, dopo i 50 anni, se vi è familiarità diretta per questo tumore e quando si soffre di disturbi urinari». Va ricordato inoltre che non tutti i tumori della prostata esprimono il Psa e che in molti casi un valore alto può non significare tumore della prostata «un valore elevato può essere dovuto a un'infiammazione o a un'infezione» conferma l'oncologo.

Le alternative, peraltro, non mancano come sottolinea Iacono «oggi abbiamo due nuovi marcatori, Phi e Pca3». Di che cosa si tratta? «Il primo è l'indice di salute prostatica, si effettua con un semplice prelievo del sangue e consente, contrariamente al passato, di misurare il Psa in tutte le sue frazioni: Psa totale, Psa libero più una nuova sottounità pro2Psa, individuata di recente. Si tratta di un parametro più specifico» spiega il presidente Aiom «rispetto a chi indirizzare a una biopsia. Il secondo parametro, Pca3 si rileva nelle urine dopo che il medico, nel corso della visita, ha effettuato un massaggio prostatico per via rettale» Si tratta di test già comunemente eseguiti presso tutte le strutture? «Intanto va precisato che non sostituiscono il PSa ma lo affiancano, aumentando gli strumenti di valutazione» precisa Iacono. «Ancora, comunque non si tratta di parametri utilizzabili nella pratica sul territorio, come screening generale. Perciò sono accessibili per i singoli sul territorio nazionale ma non hanno ancora avuto la validazione sulla popolazione generale».

Marco Malagutti



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