29 giugno 2011
Interviste, Speciale Bocca sana
Disfagia, quando deglutire diventa impossibile
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Malattie neurodegenerative, come il morbo di Parkinson, la sclerosi laterale amiotrofica, ma anche ictus cerebrale o terapie chirurgiche che interessano la testa possono portare allo sviluppo di disfagia. Se non riconosciuta e gestita in modo adeguato, può avere complicanze gravi e portare al decesso del paziente, come spiega a Dica33, Tiziana Rossetto, logopedista e presidente della Federazione logopedisti italiani.
Dottoressa Rossetto, che cos'è la disfagia?
Si tratta di un sintomo, non di una patologia. È un segno clinico che si inserisce all'interno di un quadro patologico complesso e che coinvolge la funzione della deglutizione alterata da un problema di coordinazione orofaringea. Questo rende difficile il transito totale o parziale di cibo, bevande, saliva e farmaci che vengono ingoiati con fatica.
Quindi è il sintomo di una patologia?
È un segno clinico rilevante in un quadro di polipatologia, riguarda per lo più gli adulti, o bambini con lesioni cerebrali o neurologiche, e si rileva in soggetti con problemi acuti o in fase post acuta, per esempio dopo un ictus. Infatti, è presente nel 40-80% dei casi di ictus cerebrale nella prima settimana, e nel 3-17% dopo un mese, poiché è possibile recuperare parzialmente la funzione. Inoltre, spesso si associa a disturbi del comportamento e alla comparsa di problemi cognitivi come la demenza senile, o neurodegenerativa. Compare, per esempio, nel 50-90% dei casi di morbo di Parkinson, nel 33-40% dei casi di sclerosi multipla, nella totalità dei casi di sclerosi laterale amiotrofica, e ne 93-100% dei pazienti sottoposti a chirurgia per tumori della testa e del collo.
È un disturbo che può avere conseguenze?
Sì, anche gravi. Innanzitutto, poiché le vie aeree si incrociano con quelle digestive, c'è rischio di un'aspirazione tracheo-bronchiale, cioè il passaggio di cibo nelle vie respiratorie, che può portare alla polmonite, cosiddetta ab ingestis che è una grave complicanza della disfagia. Ma le persone che ne soffrono possono andare incontro a problemi di malnutrizione e disidratazione, soprattutto in soggetti anziani. Inoltre, c'è anche un abbassamento della qualità della vita, e dell'autostima, poiché non possono più nutrirsi e partecipare a momenti di socialità legati al cibo, e insorgenza di depressione.
Quali sono i segnali che indicano che il paziente è disfagico?
Se deglutisce male, anche bevendo poca acqua, ha frequenti colpi di tosse, spesso il cibo gli va di traverso, si raschia la gola dopo aver deglutito e ha voce flebile e tremula è molto probabile che stia sviluppando disfagia. Se poi si tratta di persone anziane, ricoverate in casa di riposo, particolarmente dimagrite, tristi e depresse e di loro gli operatori dicono che non mangia volentieri, è il segno evidente che il problema sussiste.
Chi può fare la diagnosi?
La diagnosi è fondamentale per la gestione del paziente disfagico e può essere fatta da diversi specialisti, come per esempio, il foniatra, il fisiatra, il neurologo, il geriatra, l'otorinolaringoiatra, il gastroenetrologo, ma anche il medico di famiglia, e vede il coinvolgimento della figura del logopedista. Si eseguono valutazioni strumentali con esami specifici che permettono di studiare l'intero atto deglutitorio, dalla bocca allo stomaco. Inoltre, si valuta se il paziente può collaborare, se è cosciente e se può prendere decisioni
È possibile fare una riabilitazione?
Non si può ridurre la disfagia ma evitare che diventi un handicap grave, e il recupero, per esempio dopo l'ictus, dipende dalla sua gravità. Grazie alla riabilitazione, inoltre, si può migliorare la qualità della vita e ritardare l'uso di nutrizione artificiale. La gestione è multidisciplinare e coinvolge l'equipe di medici, i familiari e il paziente che devono essere formati su come posizionare il paziente, su come preparare il cibo e su come mantenere l'igiene orale. Il posizionamento della testa, con un piegatura e inclinazione particolari, serve per compensare la difficoltà di deglutizione, la preparazione del cibo deve prevedere l'uso di sostanze addensanti, anche da aggiungere all'acqua, dal momento che l'acqua gelificata è più facile da deglutire. Il cibo quindi va gestito a seconda della sua consistenza.
Simona Zazzetta
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