Radiazioni in gravidanza, i sì e i no

16 giugno 2014
Aggiornamenti e focus

Radiazioni in gravidanza, i sì e i no



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«È vero che in gravidanza non ci si può sottoporre a una radiografia?». «Posso far fare senza timori una Tac al mio bimbo?». Le perplessità manifestate dai pazienti nei confronti delle radiazioni ionizzanti (i classici raggi X per la diagnostica radiologica e la Tac) sono numerose e si trasformano spesso in una sorta di radiofobia se a sottoporsi all'esame sono le donne in gravidanza e i bambini.

La Aifm (Associazione italiana di fisica medica) ha organizzato un incontro per fare luce sui rischi delle radiazioni per uso medico per queste categorie speciali di popolazione. A volte, infatti, può essere necessario eseguire una radiografia in gravidanza oppure una donna effettua una radiografia quando non sa di essere incinta.

«I rischi sono correlati al periodo della gravidanza in cui si verifica l'esposizione alle radiazioni e alla dose assorbita: sono massimi durante l'organogenesi (in cui si formano gli organi) e il primo periodo fetale, minori nel secondo trimestre e minimi nel terzo» precisa Lorenzo Bianchi, Responsabile Sc di Fisica Sanitaria dell'Ao Ospedale di circolo di Busto Arsizio e Coordinatore Regionale Aifm Lombardia.

Secondo l'International commission on radiological protection nel primo stadio della gravidanza (prime 2 settimane dal concepimento) l'effetto più probabile è l'aborto. Da 2 a 4 settimane e per tutto il periodo dell'organogenesi è alto il rischio di malformazioni.
Da 2 settimane fino al termine esiste il rischio di un ritardo nella crescita.
Il rischio di ritardo mentale è alto da 8 a 15 settimane, ancora presente da 16 a 25, basso o assente negli altri periodi.

«Tali effetti si verificano solo per dosi che sono molto più elevate (da 10 a 100 volte) di quelle che un embrione o un feto possono ricevere per gli esami radiologici o medico nucleari eseguiti a scopo diagnostico. Questo dato fondamentale, in genere, non è noto al pubblico, e non sempre è conosciuto dai medici non specializzati in radiologia o medicina nucleare. Risultato: molte donne dopo l'esposizione in gravidanza, ne decidono successivamente l'interruzione senza che, sulla scorta delle conoscenze scientifiche e delle indicazioni fornite dalle società accreditate, ve ne sia necessità» precisa Bianchi. Nel caso dei bambini, per ridurre la dose di radiazioni erogata nelle procedure radiologiche, si raccomanda di eseguire l'esame solo quando sussiste un evidente beneficio, impiegando la quantità minima di radiazioni e limitando l'esame al distretto anatomico da esaminare. E, se possibile, optare per metodiche alternative (ecografia o risonanza magnetica).

Simona Recanatini



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