16 dicembre 2016
Interviste
Parto in casa: una realtà anche in Italia
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Ci sono gravidanze che richiedono di essere seguite con molta attenzione, e che non possono che concludersi in ospedale, sotto la stretta vigilanza del medico pronto a gestire eventuali emergenze, in un ambiente adeguatamente attrezzato. Ce ne sono però molte altre che potrebbero essere seguite dall'inizio alla fine da un'ostetrica preparata, consapevole dei rischi, ma anche di quanto sia importante evitare di medicalizzare a tutti i costi un evento fisiologico come il parto, assicurando un'esperienza della nascita a domicilio all'insegna di una maggiore serenità.
Ne è convinta Marta Campiotti- che negli anni ottanta, prima del diploma in ostetricia ha preso una laurea in filosofia con indirizzo psicologico con una tesi sul "Parto e nascita senza violenza" - e che oggi è Presidente dell'Associazione nazionale ostetriche parto a domicilio e casa maternità . Oggi si stima che in Italia siano appena un migliaio i bambini che ogni anno nascono in casa: Dica33 ha parlato con lei del parto in casa in Italia, anche alla luce di una ricerca realizzata dalle ostetriche dell'associazione con la supervisione dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, presentata nei giorni scorsi a Milano nel corso di un convegno.
Dottoressa Campiotti, quali sono le situazioni in cui l'assistenza di un'ostetrica può sostituire quella del medico?
«L'ostetrica è una esperta della salute della gravidanza e della nascita: può gestire la gravidanza fisiologica nelle donne sane, e valutare se e quando è necessario consultare un medico sulla base delle linee-guida condivise a livello internazionale. Le competenze vengono acquisite attraverso la laurea triennale e successive specializzazioni, e ovviamente sono anche legate alla formazione pratica, che si arricchisce attraverso corsi di formazione che permettono di acquisire una preziosa esperienza specifica».
Come matura la decisione da parte delle donne di partorire in casa?
«Molte donne sentono il bisogno avere una assistenza più intima e personalizzata, e temono in un ambiente ospedaliero di subire forme di violenza, fisica e psichica, durante il parto. In questi casi il consiglio è quello di parlare con donne che sono passate attraverso l'esperienza del parto in casa, e con le ostetriche professionali che se ne occupano, che spesso offrono colloqui informativi gratuiti fin dalle primissime fasi della gravidanza. Quando una donna esprime questo desiderio si avvia un percorso che prevede l'attenta valutazione dei possibili rischi, l'adozione di tutte le misure di prevenzione e l'individuazione degli elementi che in alcuni casi possono suggerire un parto in ospedale. La certezza di partorire in casa la si ha solo al nono mese. La condizione ideale è l'assistenza di tutta la gravidanza da parte dell'ostetrica che assisterà il parto, affinché possa accompagnare la gestante, e la coppia, durante l'intero periodo. L'obiettivo è quello di assicurare un'assistenza non invasiva e appropriata, che permetta di identificare prontamente eventuali controindicazioni all'assistenza domiciliare».
Sono frequenti le situazioni di emergenza?
«No. Le emergenze impreviste e inevitabili - quelle che richiedono un trasferimento urgente in ospedale - sono rarissime: nella mia esperienza trentennale mi è capitato in tutto quattro volte di dover chiamare l'ambulanza. Può invece capitare che in qualunque fase, prima o dopo il parto, si verifichino situazioni che consigliano di salire in macchina e affidarsi al ginecologo in ospedale, per continuare ad avere la situazione sotto controllo. Nello studio che abbiamo realizzato seguendo 600 gravidanze, tre donne su quattro (precisamente il74%) hanno partorito a domicilio; in un piccolo numero di casi - 8 donne e 11 neonati - dopo il parto c'è stato un trasferimento in ospedale. Anche a distanza di tempo, non è stato osservato nessun evento negativo né tra le donne né tra i neonati assistiti. D'altra parte oltre la metà dei neonati ha potuto usufruire del contatto prolungato della placenta (lotus birth) un modo dolce per entrare nella vita: il cordone ombelicale non viene reciso, e il neonato resta collegato alla sua placenta, ricevendo tutto il sangue placentare sino a quando il cordone si separa in modo naturale dall'ombelico del neonato».
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