26 settembre 2023
Aggiornamenti e focus, Speciale Tecnologie per la salute
ITTBiomed, la piattaforma per valorizzare innovazione e trasferimento tecnologico
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Ricerca di grande livello che parla poco con le industrie: un limite tipico dell'Italia che nei prossimi anni potrebbe essere superato. Anche da iniziative come la piattaforma presentata da Edra nel forum ITTBiomed, Innovation & Technology Transfer in Biomedicine tenuto al Milano Innovation District-MIND, che vede MIND Milano Innovation District - Founding partner, Lendlease - Sponsor e il progetto europeo T-Factor - Media partner. La piattaforma ITTBiomed è parte di una nuova iniziativa editoriale che comprende una nuova testata ed un luogo virtuale per far dialogare stakeholder pubblici, privati, venture capital, start-up, università, ospedali su temi di ricerca pura e traslazionale negli ambiti biotech e farma.
L'obiettivo del progetto, come spiega Giorgio Racagni docente emerito di farmacologia all'Università degli Studi di Milano, è sostenere e valorizzare il potenziale italiano nelle aree dell'innovazione, del trasferimento tecnologico, della produzione e dell'accesso ai farmaci innovativi. La piattaforma, in inglese, faciliterà scambi interdisciplinari fra centri di ricerca italiani e stranieri, mondo industriale, istituzioni come l'Agenzia nazionale del farmaco.
Come spiega Racagni, «il peso del biotech nelle scienze farmaceutiche cresce, dal 20% dei farmaci prodotti nel 2012 andrà a costituire l'80% nel 2030. L'Italia è tra i poli di eccellenza in Europa ma deve aumentare la sua capacità attrattiva verso i venture capital, e favorire la collaborazione tra pubblico e privato». Racagni ricorda come nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza siano previsti finanziamenti in ricerca e sviluppo sia alla Mission 4 Formazione sia alla 6 Salute per un totale di 12 miliardi.
«Il nodo da risolvere è come trasferire la ricerca che facciamo in prodotti per terapia e diagnostica», sintetizza Monica Di Luca Direttrice del Dipartimento di Scienze Farmacologiche e Biomolecolari Unimi, e fa l'esempio delle Neuroscienze, disciplina di cui presiede la Federazione europea. «Le malattie in questo campo interessano 179 milioni di cittadini europei per un costo sociale di 800 miliardi di euro annui. L'Italia vanta una ricerca di eccellenza, ma se già guardiamo la mole di articoli relativi a progetti per i quali la ricerca è effettivamente partita, siamo già sotto la media dell'Unione Europea, e così per i brevetti. Dobbiamo imparare a mettere insieme le forze, è essenziale considerando i tempi per sviluppare un farmaco (per il sistema nervoso centrale sono 18 anni di media contro i 12 delle altre discipline). Bisogna fare squadra, mobilitare investitori, promuovere nuove idee, integrare nuove discipline (un esempio su tutti, l'optogenetica, che unisce l'ottica alla genetica per la cura delle cecità), stimolare la raccolta di una massa critica di dati, e infine avvicinare fisicamente le competenze se leggi obsolete e barriere legali e fiscali non aiutino le sinergie».
Sergio Abrignani, presidente del Dipartimento di Clinical & Community Sciences di Unimi, imputa il difetto italiano di portare poca scienza sul mercato alla mancanza di figure professionali deputate a trasportare le novità scientifiche nella produzione industriale. «Abbiamo pochi ricercatori, 150 mila contro i 450 mila della Germania e i 300 mila di Francia e Regno Unito; gli investimenti pubblici, pur limitati, sono nel complesso paragonabili a quelli di altri stati Ue, costituendo il 40% e passa dei capitali di rischio; forse il problema sta nel come interagiscono pubblico e privato. D'altra parte, bisogna capire la propensione del nostro privato a collegarsi con il mondo della ricerca. Le case farmaceutiche italiane, pur nei loro risultati sorprendenti, non sono "big" bensì spesso medio-piccole e, molte, "familiari"». A ciò si aggiunge la relativamente bassa conoscenza di come si faccia trasferimento tecnologico: «chi sa come si porta la scienza sul mercato ha in genere lavorato in grandi aziende all'estero; serve un investimento aziendale forte nel dotarsi di business developer».
L'Europa sta mettendo in campo sforzi determinanti per avvicinare chi fa ricerca e chi produce e commercializza terapie. Nel forum, Marco Zibellini di Farmindustria e Luca Pani docente di farmacologia Università Modena e Reggio e di Psichiatria all'Università di Miami, citano progetti europei come l'Innovative Institute of Health che fa dialogare protagonisti della ricerca di paesi diversi nell'ambito di colloqui bilaterali forieri di accordi; o locali come FIT-Fondazione Innovazione e Trasferimento di Regione Lombardia che unisce quattro Irccs pubblici (Policlinico, Besta, Tumori, San Matteo). La nuova piattaforma Edra si colloca come luogo di dialogo tra "incubatori" di livello locale ed internazionale. Con un occhio all'esperimento più innovativo, che all'estero ci guardano: il distretto MIND che sta sorgendo tra Milano e Baranzate sul suolo dell'Expo 2015. Un luogo fisico dove si sviluppa il dialogo nella ricerca pre-competitiva tra ricercatori di UniMi, di Human Technopole, del Politecnico di Milano, del nuovo Istituto Galeazzi e di 41 imprese tra start-up e multinazionali del farmaco. Ne parla Paola Testori Coggi, ieri Direttore Generale Salute della Commissione Europea ed oggi Ambassador for Future Healh and Federate Innovation al MIND, che accenna ad un parallelo, determinante cambiamento legislativo epocale in ambito europeo. Si tratta dell'approvazione entro primi del 2024 di un regolamento sull'uso dei dati sanitari e sul loro ri-uso a scopi di ricerca. Oltre che da cittadini e sanitari, i dati potranno essere attinti da aventi interesse e diritto, previa richiesta, senza particolari difficoltà ed in linea con il General Data Protection Regulation. E saranno interoperabili, mutualmente leggibili dai sistemi sanitari dei 27 stati membri. L'Italia è in prima linea nel realizzare un regolamento che contemperi diritti dei pazienti e progresso.
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L'obiettivo del progetto, come spiega Giorgio Racagni docente emerito di farmacologia all'Università degli Studi di Milano, è sostenere e valorizzare il potenziale italiano nelle aree dell'innovazione, del trasferimento tecnologico, della produzione e dell'accesso ai farmaci innovativi. La piattaforma, in inglese, faciliterà scambi interdisciplinari fra centri di ricerca italiani e stranieri, mondo industriale, istituzioni come l'Agenzia nazionale del farmaco.
Come spiega Racagni, «il peso del biotech nelle scienze farmaceutiche cresce, dal 20% dei farmaci prodotti nel 2012 andrà a costituire l'80% nel 2030. L'Italia è tra i poli di eccellenza in Europa ma deve aumentare la sua capacità attrattiva verso i venture capital, e favorire la collaborazione tra pubblico e privato». Racagni ricorda come nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza siano previsti finanziamenti in ricerca e sviluppo sia alla Mission 4 Formazione sia alla 6 Salute per un totale di 12 miliardi.
«Il nodo da risolvere è come trasferire la ricerca che facciamo in prodotti per terapia e diagnostica», sintetizza Monica Di Luca Direttrice del Dipartimento di Scienze Farmacologiche e Biomolecolari Unimi, e fa l'esempio delle Neuroscienze, disciplina di cui presiede la Federazione europea. «Le malattie in questo campo interessano 179 milioni di cittadini europei per un costo sociale di 800 miliardi di euro annui. L'Italia vanta una ricerca di eccellenza, ma se già guardiamo la mole di articoli relativi a progetti per i quali la ricerca è effettivamente partita, siamo già sotto la media dell'Unione Europea, e così per i brevetti. Dobbiamo imparare a mettere insieme le forze, è essenziale considerando i tempi per sviluppare un farmaco (per il sistema nervoso centrale sono 18 anni di media contro i 12 delle altre discipline). Bisogna fare squadra, mobilitare investitori, promuovere nuove idee, integrare nuove discipline (un esempio su tutti, l'optogenetica, che unisce l'ottica alla genetica per la cura delle cecità), stimolare la raccolta di una massa critica di dati, e infine avvicinare fisicamente le competenze se leggi obsolete e barriere legali e fiscali non aiutino le sinergie».
Sergio Abrignani, presidente del Dipartimento di Clinical & Community Sciences di Unimi, imputa il difetto italiano di portare poca scienza sul mercato alla mancanza di figure professionali deputate a trasportare le novità scientifiche nella produzione industriale. «Abbiamo pochi ricercatori, 150 mila contro i 450 mila della Germania e i 300 mila di Francia e Regno Unito; gli investimenti pubblici, pur limitati, sono nel complesso paragonabili a quelli di altri stati Ue, costituendo il 40% e passa dei capitali di rischio; forse il problema sta nel come interagiscono pubblico e privato. D'altra parte, bisogna capire la propensione del nostro privato a collegarsi con il mondo della ricerca. Le case farmaceutiche italiane, pur nei loro risultati sorprendenti, non sono "big" bensì spesso medio-piccole e, molte, "familiari"». A ciò si aggiunge la relativamente bassa conoscenza di come si faccia trasferimento tecnologico: «chi sa come si porta la scienza sul mercato ha in genere lavorato in grandi aziende all'estero; serve un investimento aziendale forte nel dotarsi di business developer».
L'Europa sta mettendo in campo sforzi determinanti per avvicinare chi fa ricerca e chi produce e commercializza terapie. Nel forum, Marco Zibellini di Farmindustria e Luca Pani docente di farmacologia Università Modena e Reggio e di Psichiatria all'Università di Miami, citano progetti europei come l'Innovative Institute of Health che fa dialogare protagonisti della ricerca di paesi diversi nell'ambito di colloqui bilaterali forieri di accordi; o locali come FIT-Fondazione Innovazione e Trasferimento di Regione Lombardia che unisce quattro Irccs pubblici (Policlinico, Besta, Tumori, San Matteo). La nuova piattaforma Edra si colloca come luogo di dialogo tra "incubatori" di livello locale ed internazionale. Con un occhio all'esperimento più innovativo, che all'estero ci guardano: il distretto MIND che sta sorgendo tra Milano e Baranzate sul suolo dell'Expo 2015. Un luogo fisico dove si sviluppa il dialogo nella ricerca pre-competitiva tra ricercatori di UniMi, di Human Technopole, del Politecnico di Milano, del nuovo Istituto Galeazzi e di 41 imprese tra start-up e multinazionali del farmaco. Ne parla Paola Testori Coggi, ieri Direttore Generale Salute della Commissione Europea ed oggi Ambassador for Future Healh and Federate Innovation al MIND, che accenna ad un parallelo, determinante cambiamento legislativo epocale in ambito europeo. Si tratta dell'approvazione entro primi del 2024 di un regolamento sull'uso dei dati sanitari e sul loro ri-uso a scopi di ricerca. Oltre che da cittadini e sanitari, i dati potranno essere attinti da aventi interesse e diritto, previa richiesta, senza particolari difficoltà ed in linea con il General Data Protection Regulation. E saranno interoperabili, mutualmente leggibili dai sistemi sanitari dei 27 stati membri. L'Italia è in prima linea nel realizzare un regolamento che contemperi diritti dei pazienti e progresso.
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