12 gennaio 2016
Interviste
Morire di parto in Italia: ecco perché succede ancora
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Le notizie che si sono accavallate, durante le festività di fine d'anno, sulla morte di numerose donne in gravidanza - in un caso con anche il decesso del nascituro - hanno suscitato preoccupazione e in alcuni casi allarme, al punto da spingere persino il ministero della Salute a condurre un'ispezione negli ospedali coinvolti. I risultati preliminari dell'ispezione non segnalano né errori né omissioni da parte dei medici, a riprova del fatto - per quanto possa sembrare inconcepibile - che ancora oggi può capitare di morire di parto. Dica33 ne ha parlato con Serena Donati, responsabile del sistema di sorveglianza delle morti materne da anni attivo presso l'Istituto superiore di sanità.
Dottoressa Donati, molti esperti hanno ipotizzato subito che l'elevato numero di segnalazioni concentrate in pochi giorni potesse essere dovuto al caso. È così, o c'è motivo di preoccuparsi?
«Non c'è motivo di preoccuparsi. In Italia il rischio di morire durante la gravidanza è molto limitato, ma tutti gli esperti sanno che per quanti sforzi si facciano non sarà mai eliminabile del tutto. Proprio perché si tratta di eventi molto rari, è normale che la loro distribuzione nel tempo sia capricciosa, e possa alle volte concentrarsi in periodi limitati. Insomma, quella che poteva sembrare una piccola epidemia di mortalità materna in realtà è solo uno dei tanti modi in cui questi fatti tragici, per fortuna molto rari, possono presentarsi: non si tratta di un picco anomalo ma di un numero di fatalità compatibili con quelle statisticamente attese».
Di che numeri parliamo? Quanto è frequente morire di parto in Italia, nel 2016, senza che sia colpa di nessuno?
«Si stima che ogni anno ci siano in Italia circa 50 eventi tragici di questo tipo, uno ogni diecimila nascite (che in Italia sono appunto circa 500mila l'anno; tecnicamente si parla di un rapporto di 10 decessi ogni 100mila nati vivi). Per avere dati sempre più affidabili anche sulle cause di morte, il sistema di sorveglianza che coordino presso il reparto Salute della donna e dell'età evolutiva all'Istituto superiore di sanità è stato di recente esteso a 8 regioni (Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Campania, Puglia e Sicilia), e oggi copre circa i tre quarti delle nascite che avvengono in Italia».
Non c'è proprio nulla che si possa fare in questi casi?
«Per ridurre la mortalità materna, che comprende tutti i decessi dall'inizio della gravidanza fino a 42 giorni dopo il parto, si può fare molto, e molto si sta già facendo. Il rapporto citato sopra ci dice che l'Italia figura tra i Paesi avanzati in cui il rischio è più limitato, e anche se tutti gli esperti sono concordi nel dire che non riusciremo mai ad azzerare completamente la mortalità materna, nei Paesi socialmente avanzati si stima che circa la metà dei casi potrebbe essere evitata grazie a migliori standard assistenziali. Il sistema di sorveglianza è nato anche per promuovere su tutto il territorio nazionale le forme di prevenzione possibile e per studiarne di nuove. Mentre in passato ci si basava solo sui certificati di morte per studiare questo fenomeno, il nostro lavoro prevede la raccolta dettagliata e sistematica (in forma anonima) di tutti i casi di morte materna e delle informazioni relative al percorso assistenziale delle donne. Questo ha permesso innanzitutto di avere una valutazione più affidabile del numero dei casi, che in passato venivano sottostimati, e soprattutto di individuare meglio le cause di morte, anche attraverso indagini approfondite affidate a Comitati regionali appositamente istituiti per condurre le indagini confidenziali di tutti i casi di morte materna, così da mettere a punto contromisure efficaci».
Quindi ogni volta che una donna in gravidanza muore viene condotta un'indagine?
«Sì. Per ogni evento il referente del centro avvia una procedura di audit interno, senza che ci debba essere nessun motivo per dubitare che tutto sia stato fatto nel modo giusto da parte dei sanitari, così da raccogliere dati sempre più solidi sulle cause più frequenti di complicazioni. Queste indagini interne servono per mettere a punto contromisure che potrebbero essere adottate in futuro in situazioni simili, così da ridurre la cosiddetta "mortalità evitabile". Per esempio oggi sappiamo che le emorragie e i problemi ipertensivi figurano in cima alle cause di morte materna, e all'Istituto superiore di sanità abbiamo attivato corsi di formazione a distanza su questi argomenti rivolti a medici e ostetriche e stiamo predisponendo una linea guida sulla prevenzione e trattamento dell'emorragia del post partum. Azzerare la mortalità materna è quasi certamente impossibile, ma il nostro obiettivo è quello di arrivare rapidamente a prevenire i casi evitabili».
Fabio Turone
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