Running: come si diventa dipendenti dalla corsa

30 agosto 2016
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Running: come si diventa dipendenti dalla corsa



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Italiani popolo di corridori, che dall'avvento della crisi economica sembrano essersi particolarmente appassionati alla pratica del running. C'è chi corre per restare in forma o ritrovare la linea e chi lo fa per tenere in allenamento il cuore, ma se la pratica della corsa diventa molto assidua - con ritmi che si avvicinano all'ossessione - può essere il campanello di allarme di qualche disagio psicologico.

Evitando qualsivoglia generalizzazione, ci siamo confrontati sul tema con Antonio Dorella, psicanalista di formazione junghiana, che ha spiegato prima di tutto i motivi del dilagare di questa moda - se così si può chiamare - e ha poi fatto il punto sugli aspetti psicanalitici dell'argomento.

«Si tratta di uno sport che è diventato endemico con 36mila runner nel nostro Paese e, senza pretendere di fare un identikit del corridore, per diventare runner e continuare a esserlo bisogna avere un'attenzione crescente al fisico, ai tempi da rispettare e alle distanze che in alcuni casi possono diventare il centro di tutta la giornata». Nell'accesso a questa pratica, dunque, si scorge una possibile deriva ossessiva quando la costanza degli appuntamenti al parco con le scarpe da ginnastica diventa quotidiano e sembra che non se ne possa più fare a meno.

Da cosa scaturisce questa sensazione di bisogno? «A differenza del Tennis o del Calcio, il running è uno sport che si fa per conto proprio e dunque il runner non ha bisogno degli altri per fare quello che fa», in più, nonostante sia uno sport molto difficile e faticoso, «la corsa libera oppioidi endogeni, cioè endorfine, che sono droghe endogene». Se non corri quando di solito lo fai ogni giorno, scatta il meccanismo del "se non lo fai stai male", come succederebbe con la dipendenza da una sostanza psicotropa vere e propria.
«C'è poi la sensazione di dover fare sempre di più per avere lo stesso grado di benessere, cioè quello che in medicina è il tema della tolleranza». Le endorfine, inoltre, hanno anche altre funzioni: «Quella antalgica». Gli stessi reumatologi consigliano di «correre un pochino, magari 40 minuti in maniera leggera o con il passo della marcia, per liberare sostanze cortisoniche», facendo in tal modo sentire meno il dolore ad ossa e articolazioni, «dolori che vengono ridotti se non annullati».

Tornando alle motivazioni psicologiche che possono portare una persona a dedicarsi ossessivamente alla corsa, ci sono anche, stando ai tanti articoli di giornale che escono con frequenza, le delusioni d'amore, che portano spesso a cambi di abitudini, a vere e proprie rivoluzioni negli usi quotidiani. «Uno dei trigger, cioè degli inneschi mentali più frequenti è proprio la situazione di impasse sentimentale che avvia l'esercizio del running che può diventare una dipendenza, ma ha anche degli effetti benefici». Dal punto di vista psicoterapico «l'inizio di un'attività sportiva, anche se di tipo ossessivo, è sempre meglio del rimuginio, che è la caratteristica della depressione negli stati di abbandono». C'è però un'altra caratteristica, a parte la dipendenza da endorfine, che si chiama runner's high (sballo del corridore): «Un momento all'interno della corsa in cui ti senti celestiale, un momento in cui ci si sente rapiti, sempre per motivi legati alla chimica endogena».
Il runner quindi «ha la sensazione di governare se stesso e anche il mondo e le proprie ansie».

Tirando le somme, la corsa, come tutti gli sport, può essere la garanzia di una buona salute, ma può anche essere, se praticata in modo esagerato, una vera e propria dipendenza. Tutto però dipende dalla situazione psicologica di partenza.

Maria Elena Capitanio



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