02 settembre 2016
Interviste, Speciale Tiroide
Ipotiroidismo: riflettori accesi con lo studio “TIAMO”
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Già il nome è tutto un programma: TIAMO, una vera e propria dichiarazione d'amore per la salute della tiroide che sottolinea importanza di conoscere meglio i dati relativi all'ipotiroidismo, condizione medica molto più diffusa di quanto si pensi e spesso sottovalutata. «Al centro dello studio c'è l'appropriatezza, intesa non solo come prescrizione appropriata da parte del medico, ma anche come assunzione appropriata della terapia da parte del paziente» spiega Mauro Campanini, presidente Fadoi, la Federazione dei dirigenti ospedalieri internisti, che ha progettato lo studio pensando di coinvolgere 20 centri in tutta Italia e oltre 1.200 pazienti. E Davide Brancato, in forza alla Uoc di Medicina Interna dell'Ospedale di Partinico diretta da Vincenzo Provenzano, ideatore dello studio assieme a Fadoi ci accompagna in un breve viaggio per conoscere meglio la patologia e i dettagli della ricerca appena iniziata.
Dottor Brancato, cos'è l'ipotiroidismo e quanto è diffuso?
«Con il termine ipotiroidismo si indica una condizione nella quale la tiroide "funziona" meno di quanto dovrebbe causando una serie di sintomi che apparentemente possono sembrare banali ma che influenzano negativamente la qualità di vita di chi ne è affetto: stanchezza, perdita di memoria, depressione dello stato dell'umore, sensazione di gonfiore, aumento di peso, eccetera. È importante sottolineare però che oltre a questi sintomi l'ipotiroidismo può portare conseguenze ben più importanti per la salute dal momento che è legato, per esempio, anche a un significativo aumento del rischio di infarto e scompenso cardiaco. È una patologia molto comune che colpisce circa il 4 per cento della popolazione generale. Nelle donne sopra i 60 anni, la percentuale di persone con qualche forma di ipotiroidismo sale addirittura al 20 per cento, circa 1 donna su 5. In linea generale, l'ipotiroidismo si può manifestare anche in età pediatrica e adolescenziale, ma le probabilità di sviluppare la malattia aumentano con l'aumentare dell'età».
Quanto conta la genetica nell'ipotiroidismo?
«La forma principale di ipotiroidismo è quella causata da una malattia autoimmune, la tiroidite cronica, determinata da una forte componente genetica. In molte persone che hanno questa predisposizione genetica il sistema immunitario tende ad "aggredire" la tiroide in situazioni che per altre persone non creano alcun problema, come infezioni virali anche banali o deficit di selenio o di vitamina D. Nelle persone predisposte i linfociti "impazziscono", attaccano la tiroide e di fatto la distruggono. Scoprire questa componente genetica familiare non è difficile: oggi si conoscono i geni responsabili della malattia, ma non sempre serve cercarli poiché sappiamo che se in famiglia ci sono casi di tiroidite cronica, le probabilità che una donna parente di primo grado del malato abbia anch'essa una tiroidite autoimmune è superiore al 50 per cento. È disponibile inoltre un test che si basa su un prelievo di sangue e sulla ricerca di specifici anticorpi che, se presenti, indicano che molto probabilmente negli anni successivi si potrà sviluppare un ipotiroidismo».
La patologia può essere curata in modo efficace?
«In questo caso le notizie sono ottime. La terapia per l'ipotiroidismo si basa sulla somministrazione di ormoni tiroidei, in particolare la tiroxina che manca all'organismo in caso di malattia. Ciò che viene somministrato è proprio la molecola di tiroxina in una forma chimica identica a quella prodotta dalla tiroide: una terapia sostitutiva apparentemente perfetta che consente di dare esattamente ciò che manca e non qualcosa di simile. Dobbiamo però cercare di dare la dose giusta e questo non è sempre semplice perché non tutto quello che prescriviamo arriva nei tessuti».
Quali sono gli errori più comuni che i pazienti commettono e che possono influenzare l'efficacia della terapia?
«La compressa che contiene la tiroxina si deve sciogliere completamente nello stomaco per poi essere assorbita nell'intestino, ma ci sono tre fattori che possono compromettere questo processo e quindi fare arrivare al paziente una quantità di tiroxina inferiore a quella necessaria:
- Il cibo - la compressa deve essere assunta al mattino circa un'ora prima della colazione;
- Alcuni farmaci - bisogna fare attenzione anche a sostanze comuni, come per esempio il ferro e il calcio, oppure i cosiddetti gastroprotettori (inibitori di pompa protonica), farmaci che vengono utilizzati almeno dal 10-20 per cento della popolazione;
- Alcune patologie - alcune malattie comuni che riguardano stomaco e intestino non consentono l'assorbimento completo della tiroxina in compresse (infezione da H. pylori, gastriti e in genere tutte le malattie dello stomaco, celiachia)».
Si può migliorare l'aderenza alla terapia?
«Nella nostra esperienza oltre il 70 per cento dei pazienti con ipotiroidismo assume la compressa entro 30 minuti dal momento della colazione. L'ideale sarebbe riuscire a svegliarsi prima, ma questo non è sempre semplice. Oggi però ci sono nuove formulazioni disponibili (in particolare una soluzione orale) che facilitano un po' le cose: qui a Partinico, siamo stati i primi a pubblicare dati che dimostravano che la somministrazione della soluzione orale (ovvero tiroxina contenuta in un mezzo liquido) consente di ottenere un assorbimento ottimale anche in prossimità della colazione. Addirittura l'anno scorso al congresso mondiale sulla tiroide assieme ad altri 4 centri (Brescia, Lecce, Perugia e Pisa) abbiamo dimostrato che la soluzione funziona anche se assunta direttamente con la colazione (nel latte, nel caffè o nel tè). È anche fondamentale che il paziente descriva con precisione allo specialista tutti i farmaci che assume e tutte le patologie di cui soffre, per calcolare al meglio le possibili interazioni con la terapia per la tiroide».
Perché uno studio dedicato proprio a questa patologia?
«In estrema sintesi l'obiettivo dello studio è fare una fotografia dell'ipotiroidismo in Italia, raccogliendo informazioni sul numero e la tipologia di pazienti colpiti, ma anche sulle abitudini prescrittive e le conoscenze dei medici sull'argomento e su come le persone aderiscono (se aderiscono) alla terapia prescritta».
Come è strutturato lo studio TIAMO?
«Lo studio partito da poco più di un mese coinvolge 20 centri in tutta Italia e oltre 1.200 pazienti ricoverati nei reparti di Medicina Interna o che si rivolgono agli ambulatori di Medicina Interna. La scelta di questo reparto deriva dal fatto che qui arrivano spesso pazienti anziani e "complessi", con diverse patologie e nei quali, almeno così supponiamo, potrebbe esserci anche ipotiroidismo non diagnosticato. Dopo la fase di raccolta dei dati, si passerà all'analisi degli stessi e alla creazione di interventi su misura in base alle necessità emerse nei singoli reparti. È prevista anche una fase "formativa" direttamente negli ospedali per cercare di risolvere i problemi specifici di quel reparto e una valutazione finale dell'efficacia dell'intervento messo in campo. E i primi risultati saranno già disponibili già a maggio del prossimo anno.
Cristina Ferrario
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