24 ottobre 2016
Interviste
I disturbi psichiatrici in adolescenza si curano anche con dialogo e innovazione
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"Guardare oltre l'orizzonte: innovazione e sviluppo in Neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza": un titolo denso di significato e di aspettative per il XXVII Congresso nazionale della Società italiana di neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza (Sinpia) che si è svolto all'inizio del mese di ottobre ad Alghero e ha visto la partecipazione di diversi specialisti che hanno a che fare quotidianamente con queste problematiche.
«Abbiamo dato vita a una serie di incontri impostati sullo scambio e sull'interattività tra i partecipanti e abbiamo lanciato un appello - tutti i dettagli sul sito Sinpia - nel quale denunciamo le sempre maggiori criticità nelle risposte per chi soffre di disturbi neuropsichici dell'infanzia e dell'adolescenza e per le loro famiglie» dice Antonella Costantino, presidente Sinpia che ci aiuta a conoscere meglio un problema più comune di quanto si creda e spesso sottovalutato o non riconosciuto.
Dottoressa Costantino, quali sono i disturbi psichiatrici più comuni nell'infanzia e nell'adolescenza e quanto sono frequenti?
«Inizio subito col dire che il 50 per cento circa dei disturbi psichiatrici dell'adulto ha la propria radice nell'infanzia e nell'adolescenza. Tra i disturbi più comuni che si riscontrano in bambini e adolescenti ce ne sono senza dubbio alcuni più gravi (ma più rari) come la schizofrenia. C'è poi il disturbo bipolare che ha anche una componente familiare importante e in età pediatrica ha caratteristiche un po' diverse da quelle del disturbo in età adulta. Molto rilevante è anche la parte che riguarda il disturbo da deficit di attenzione con iperattività (Adhd), i disturbi della condotta e del comportamento e i disturbi della personalità. Questi ultimi sono anche quelli più difficili da gestire perché più facilmente confusi con una crisi adolescenziale e perché sono quelli che possono determinare un maggior numero di comportamenti a rischio per la salute: dalla promiscuità sessuale all'abuso di sostanze, all'autolesionismo o alla crisi aggressiva».
Come si arriva quindi alla diagnosi di un disturbo psichiatrico?
«Uno dei campanelli di allarme che anche i genitori possono riconoscere è la presenza del disturbo in più contesti: a casa, a scuola e durante il tempo libero. Deve però esserci anche quello che in gergo si definisce "deficit funzionale", presente quando i ragazzi non riescono a portare a termine i loro compiti evolutivi come imparare o fare le cose che ci si aspetta che un ragazzo di quella età faccia. Inoltre gli specialisti dispongono di strumenti che permettono di arrivare alla diagnosi raccogliendo informazioni sia dalla famiglia sia dagli insegnanti, e coinvolgendo il ragazzo in modo attivo nel percorso».
Si è assistito a un aumento delle diagnosi negli ultimi anni?
«I dati italiani e anche internazionali sembrano suggerire che non è aumentato il numero dei disturbi, ma piuttosto il numero di utenti che si rivolgono ai nostri centri. Di certo il fatto che ci si rivolga con maggior frequenza ai nostri centri indica una maggiore consapevolezza da parte della popolazione e il superamento di uno stigma: sta crollando il tabù della malattia psichiatrica».
E quali sono le terapie?
«Le terapie oggi disponibili sono diverse e in genere efficaci: farmacologiche, psicoterapeutiche cognitivo-comportamentali, psicologiche; dipende dal tipo di disturbo e dal singolo paziente. Molti interventi efficaci richiedono tempo e risorse, quindi non sempre è possibile metterli in campo poiché non si tratta mai solo di prendere una pillola, ma di effettuare interventi complessi e strutturati».
Quali risposte si danno a questi ragazzi?
«Il vero problema è che noi spesso non siamo in grado di dare risposte perché le risorse a nostra disposizione non sono sufficienti e sono diventate sempre più limitate in questi anni. Ne è prova il fatto che spesso i ragazzini con un disturbo psichiatrico non vengono ricoverati in un reparto di neuropsichiatria infantile, ma in un reparto pediatrico o sempre più spesso in un reparto di psichiatria per adulti, ambienti del tutto inappropriati per un ragazzo o un bambino con queste problematiche».
E la famiglia che ruolo ha in queste situazioni?
«Quando si parla di questi disturbi non è possibile fare i conti senza coinvolgere la famiglia, il cui supporto è fondamentale. Spesso però i familiari non sanno come muoversi, hanno bisogno di capire cosa sta succedendo e soprattutto di capire che il disturbo psichiatrico non è un problema di educazione e quindi la colpa della malattia non può ricadere sulla famiglia. Ci sono strategie educative specifiche che ci permettono di gestire il disturbo, ma che non sono quelle che si usano normalmente con gli altri figli ed è quindi comprensibile che un genitore da solo non sia in grado di metterle in atto. Ecco perché, quando abbiamo a disposizione le risorse necessarie, lavoriamo sempre in parallelo con la famiglia, anche per evitare l'estremo del ricovero in una comunità terapeutica o in ospedale».
A quale specialista rivolgersi quindi per la diagnosi e la gestione di un bambino o adolescente con un disturbo psichiatrico?
«Il neuropsichiatra infantile è un po' il "manager", colui che coordina il progetto. Sulle situazioni più complesse intervengono però altre figure: psicologi e psicoterapeuti, educatori professionali, terapisti della riabilitazione psichiatrica, e molti altri ancora. Particolarmente utili sono gli interventi semi-residenziali in centri diurni, dove i ragazzini dopo il ricovero possono recarsi, con attività terapeutiche di gruppo o individuali che favoriscono il confronto e la relativizzazione e aiutano a investire nuovamente sugli aspetti positivi del percorso. O in alcune situazioni particolari possono essere utili anche interventi domiciliari. Perché il lavoro sia efficace serve però una diagnosi precoce e il giusto percorso terapeutico: non intervenire nei tempi e nei modi corretti, porta a conseguenze pesanti per i singoli e per la comunità intera».
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