07 novembre 2016
Interviste
Fibrosi polmonare: sintomi, diagnosi e cura della malattia che ha colpito Dario Fo
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È salita alla ribalta mediatica, per così dire, perché ha colpito Dario Fo, ma la fibrosi polmonare è ancora una malattia di cui si parla troppo poco: anche per questo motivo è spesso diagnosticata quando è troppo tardi per avviare le terapie, che negli ultimi anni sono divenute molto più efficaci, a condizione però di essere appunto avviate tempestivamente. Dica33 ne ha parlato con Carlo Albera, che da molti anni si occupa di questa malattia e che al Dipartimento di scienze cliniche e biologiche dell'Università di Torino è responsabile dell'unità operativa per le malattie interstiziali e polmonari rare, attiva presso l'ospedale San Luigi di Orbassano.
Professor Albera, che cos'è la fibrosi polmonare?
«Spesso per spiegare che cos'è la fibrosi polmonare uso con i miei pazienti un'immagine legata all'alimentazione, e in particolare al pane, confrontando il pancarrè americano, morbido e compatto, al pane casareccio, che presenta molti buchi e fibre assai più rigide. Ebbene il pane americano è un po' come il polmone sano, mentre il pane di casa - che da mangiare è più buono - assomiglia al polmone colpito da fibrosi. Questa viene anche detta "idiopatica" perché non se ne conoscono le cause».
Quanto è diffusa in Italia?
«Non è una malattia molto diffusa, tanto che per le sue caratteristiche epidemiologiche nelle Regioni Piemonte e Toscana è già stata riconosciuta da tempo come "malattia rara", il che comporta alcuni vantaggi per chi ne soffre. Non è semplice fornire cifre esatte, ma sono ragionevoli le stime secondo cui i malati sono circa 15mila in tutta Italia. D'altra parte ci sono molti motivi per credere che sia sottodiagnosticata, e che quindi occorra fare di più per informare i medici e i cittadini sul percorso diagnostico da avviare per far sì che chi ne soffre arrivi alla diagnosi il più presto possibile, quando cioè il danno è ancora limitato e le terapie disponibili offrono i maggiori benefici».
Come si arriva alla diagnosi di fibrosi polmonare?
«Una premessa è importante: chi soffre di fibrosi presenta sintomi molto comuni come tosse, mancanza di fiato e stanchezza. Questi sintomi sono appunto molto comuni, ma quando si presentano in maschi ultrasessantacinquenni che fumano o hanno un passato da fumatori meritano sicuramente un approfondimento diagnostico molto semplice, che consiste nell'auscultazione del torace alla ricerca di un rumore caratteristico che accompagna la respirazione: pressoché in tutti i casi, infatti, la fibrosi polmonare idiopatica è caratterizzata da quelli che tecnicamente si chiamano "rantoli crepitanti", che ricordano il rumore del velcro, determinati dall'apertura degli alveoli polmonari che hanno pareti ispessite e rigide.
Il secondo approfondimento diagnostico molto semplice e poco costoso consiste nella spirometria, un esame che permette di capire se la causa dei sintomi è una bronchite cronica, malattia anch'essa frequente in un paziente assai simile, - come spesso si tende a credere inizialmente - ma caratterizzata da un quadro ostruttivo cioè con polmoni di volume aumentato per l'intrappolamento di aria o una malattia di carattere restrittivo, in cui i polmoni risultano di volume ridotto e molto più rigidi, come appunto la fibrosi.
Non sempre questi esami permettono di giungere con certezza alla diagnosi, che non è quasi mai semplice e sempre richiede il lavoro congiunto di un gruppo multidisciplinare in cui radiologo e anatomopatologo, e altri specialisti, affiancano lo pneumologo. Per questo motivo il passo successivo consiste nella visita specialistica in un centro esperto, dove secondo i casi si procede a esami radiologici o, se necessari, alla biopsia del polmone, e dove si valutano le opzioni migliori per la terapia».
Come si individua il centro esperto di riferimento?
«Al momento non esiste una classificazione ufficiale, anche se per i centri con la maggiore esperienza - attualmente una decina in Italia - è in arrivo il riconoscimento da parte dell'Unione europea dei centri esperti che rispondano a caratteristiche ben determinate nel contesto di una rete europea e valutate da un'apposita commissione internazionale (European Reference Network). In linea di massima si tratta di unità operative già di fatto inserite in una rete nazionale ed internazionale, in cui da più tempo si seguono più pazienti, in cui è disponibile l'accesso a protocolli terapeutici con nuovi farmaci e che sono noti alle autorità sanitarie di ciascuna regione. Poiché la malattia si presenta con caratteristiche diverse e ha un andamento molto variabile da individuo a individuo e non raramente con variabilità nello stesso paziente, l'esperienza del gruppo multidisciplinare di medici è molto importante. Questo è ancor più vero da quando negli ultimi anni sono stati approvati i nuovi farmaci antifibrotici».
Quali sono oggi le terapie disponibili?
«Fino a pochi anni fa per noi medici era molto difficile comunicare la diagnosi ai malati, perché gli strumenti terapeutici di sicura efficacia erano molto limitati, e la prognosi era scoraggiante. Solo per i rari pazienti giovani, con meno di 65 anni, c'era l'opzione del trapianto di polmoni, che rimane un'opzione valida ancora oggi. Attualmente però per molti malati sono disponibili anche alcuni nuovi farmaci che permettono di prolungare significativamente la sopravvivenza assicurando comunque una migliore qualità della vita. Occorre chiarire che i farmaci non sono in grado di restituire la perduta efficienza ai polmoni: non fanno regredire la malattia, ma riescono a rallentare o a fermare la sua progressione. Se si tiene conto della gravità della malattia gli effetti collaterali sono accettabili, e normalmente possono essere gestiti adeguatamente dal medico adeguatamente informato, ma rendono in genere problematico l'inizio della terapia nei pazienti più anziani (oltre gli 83-84 anni), che spesso sono anche quelli che soffrono di altre malattie che complicano la situazione. Anche per questo è importante che la diagnosi sia tempestiva: ancora oggi capita di vedere pazienti che scoprono di avere la fibrosi polmonare quando il danno è già molto avanzato, o addirittura quando è troppo tardi per iniziare la terapia farmacologica».
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