26 luglio 2006
Aggiornamenti e focus
Rischio cuore, nuovi fattori poco utili
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Per poche malattie esistono modelli di previsione del rischio individuale abbastanza attendibili e trasferibili nella medicina pratica come per le cardiovasculopatie, esemplificati dalle Carte del rischio in uso (parziale) anche in Italia. Questi algoritmi si basano su fattori dei quali si è ampiamente indagato il ruolo predisponente, tuttavia il quadro è più complesso e ci si sforza quindi di migliorarli sia per aumentarne l'affidabilità, sia per riuscire a identificare soggetti che possono sembrare a basso rischio ma in realtà non lo sono, così da intervenire sui fattori modificabili con eventuali terapie. Ma ci sono nuovi marker di probabilità di malattie cardiovascolari, altrettanto consolidati di quelli noti, che aggiunti a essi possano potenziare le attuali capacità predittive? Il quesito se lo sono posti epidemiologi americani che hanno condotto lo studio prospettico ARIC (Atherosclerosis Risk in Communities), per individuare attraverso l'analisi di altri studi l'associazione tra lo sviluppo di cardiopatie e un ventaglio di marcatori di rischio evidenziati di recente, rispetto a quelli tradizionali principali, modificabili o curabili (fumo, pressione arteriosa, uso di antipertensivi, colesterolo totale e Hdl, diabete) oppure non modificabili (età, sesso, appartenenza etnica). Nella coorte analizzata, 17 mila persone che avevano dai 45 ai 74 anni nel 1987-9, si sono considerate la presenza dei fattori modificabili inizialmente e ogni tre anni e l'incidenza delle malattie cardiovascolari; dopo la stratificazione anche per quelli non modificabili si è valutato il peso dei nuovi marker. Questi riguardavano l'infiammazione, la funzione endoteliale, la formazione della fibrina, la fibrinolisi, determinate infezioni, ruolo di vitamine del gruppo B, con appartenenti più "famosi" come la proteina C reattiva o CRP emersa da vari studi quale fattore infiammatorio, e poi la fosfolipasi A2 associata alla lipoproteina o LpPLA2, l'omocisteina, l'1-inibitore dell'attivazione del plasminogeno o PAI-1, l'acido folico e la vitamina B6, gli anticorpi contro Chlamydia pneumoniae e Cytomegalovirus. La predittività individuale è stata calcolata attraverso le AUC, letteralmente aree sotto la curva, una misura della probabilità che una persona che va incontro a un evento patologica in un certo tempo (in questo caso cinque anni) abbia un rischio maggiore rispetto a chi nello stesso periodo non si ammala.
La maggior parte dei nuovi marker è risultata significativamente associata con l'insorgenza di cardiopatia, per esempio per la CRP il valore era uguale a quello del colesterolo totale, ma considerando le AUC, l'aggiunta di tali fattori a quelli tradizionali ha determinato incrementi di predittività modesti o nulli, con i maggiori incrementi per la LpPLA2 (l'unico statisticamente significativo), la vitamina B6, l'interleuchina 6 e la trombomodulina. Questo non significa che i nuovi fattori di rischio siano poco importanti per la patogenesi o che non siano bersagli adatti per interventi preventivi, ricordando che a volte bastano piccole modificazioni per ridurre notevolmente l'impatto sanitario: questo vale per esempio per l'ipercolesterolemia ma anche per l'emergente CRP, che ha un ruolo rilevante nell'aterogenesi e negli eventi aterotrombotici. Va anche detto che l'interpretazione del peso dei fattori di rischio di malattia dipende dai metodi utilizzati per l'analisi e dalle caratteristiche del campione, e più in generale che forse andrebbero considerati archi temporali maggiori (più lunghi anche dei dieci anni dei modelli di riferimento). Ciò non toglie che alla luce di quest'analisi il monitoraggio di routine dei nuovi marker cardiovascolari non sembra utile al momento per aumentare la predittività dei modelli tradizionali: da un'altra angolazione, questo semmai rafforza la necessità di focalizzarsi per la prevenzione sui noti fattori di rischio modificabili, almeno in attesa di aumentare le conoscenze su quelli più recenti, o di individuarne altri, o di puntare più a identificare i profili di basso rischio invece che alto ai quali tendere con le strategie di prevenzione.
Elettra Vecchia
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Prevenzione centrata sui parametri noti
La maggior parte dei nuovi marker è risultata significativamente associata con l'insorgenza di cardiopatia, per esempio per la CRP il valore era uguale a quello del colesterolo totale, ma considerando le AUC, l'aggiunta di tali fattori a quelli tradizionali ha determinato incrementi di predittività modesti o nulli, con i maggiori incrementi per la LpPLA2 (l'unico statisticamente significativo), la vitamina B6, l'interleuchina 6 e la trombomodulina. Questo non significa che i nuovi fattori di rischio siano poco importanti per la patogenesi o che non siano bersagli adatti per interventi preventivi, ricordando che a volte bastano piccole modificazioni per ridurre notevolmente l'impatto sanitario: questo vale per esempio per l'ipercolesterolemia ma anche per l'emergente CRP, che ha un ruolo rilevante nell'aterogenesi e negli eventi aterotrombotici. Va anche detto che l'interpretazione del peso dei fattori di rischio di malattia dipende dai metodi utilizzati per l'analisi e dalle caratteristiche del campione, e più in generale che forse andrebbero considerati archi temporali maggiori (più lunghi anche dei dieci anni dei modelli di riferimento). Ciò non toglie che alla luce di quest'analisi il monitoraggio di routine dei nuovi marker cardiovascolari non sembra utile al momento per aumentare la predittività dei modelli tradizionali: da un'altra angolazione, questo semmai rafforza la necessità di focalizzarsi per la prevenzione sui noti fattori di rischio modificabili, almeno in attesa di aumentare le conoscenze su quelli più recenti, o di individuarne altri, o di puntare più a identificare i profili di basso rischio invece che alto ai quali tendere con le strategie di prevenzione.
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