29 settembre 2006
Aggiornamenti e focus
Troppa lipoproteina fa male al cuore
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Uno studio prospettico condotto su 27791 donne nel corso di 10 anni ha dimostrato che livelli particolarmente alti di lipoproteina (a) nel sangue, se associati ad alti livelli di LDL-C, aumentano il rischio di malattie cardiovascolari. Gli autori della ricerca non ritengono che la misurazione della lipoproteina (a) possa essere utile allo screening nella popolazione, ma potrebbe comunque rivestire importanza clinica nelle pazienti a rischio.
La lipoproteina (a) è una proteina del plasma già da tempo sospettata di poter aumentare i rischi di cardiopatia. La sua struttura è molto simile a quella delle LDL-C e al plasminogeno, può favorire la formazione di trombi e i suoi livelli sono correlati ad aterosclerosi delle coronarie e ispessimento delle carotidi. Gli studi di epidemiologia condotti fino ad ora hanno sempre dato risultati poco chiari circa l'utilità della sua misurazione. L'associazione tra alti livelli della lipoproteina e le malattie cardiovascolari non sempre è stata confermata, anche perché spesso veniva misurata con metodiche differenti, che davano risultati discordanti. Solo recentemente si dispone di una tecnica, utilizzata per questo studio, che ne permette una titolazione affidabile. Allo scopo di verificare l'associazione tra livelli di lipoproteina (a) ed infarto, i livelli della proteina sono stati misurati tra il 1992 ed il 1995 in di 27 mila donne sane. Nei successivi 10 anni, 899 di esse hanno avuto un infarto. A parità di fattori come età, pressione sanguigna, fumo, indice di massa corporea, LDL-C, diabete e uso di ormoni, le donne con livelli maggiori di 44mg/dL avevano un rischio una volta e mezza superiore di sviluppare malattie cardiovascolari rispetto a quelle con valori inferiori a 3,4 mg/dL.
Anche se il dato riveste un certo interesse, i ricercatori escludono che possa supportare uno screening generalizzato nella popolazione perché solo livelli particolarmente alti sono associati al rischio di infarto. Dal punto di vista clinico, la maggior parte delle terapie utilizzate per l'iperlipidemia non è attiva nel ridurre i livelli di lipoproteina (a). L'unico trattamento efficace si è dimostrato l'acido nicotinico alla dose di 3-4 g/d, dose che però richiede un attento monitoraggio del paziente e che è difficilmente tollerato. Oltre tutto, non c'è alcuna evidenza clinica che a un abbassamento della lipoproteina corrisponda un minore rischio di infarto. Dal momento però che il trattamento aggressivo per abbassare i livelli di LDL-C si è dimostrato efficace nel ridurre il rischio di infarto - a sua volta associato ad elevati livelli di lipoproteina (a) - l'obiettivo primario quando i livelli della proteina sono troppo elevati rimane quello di ridurre quelli di LDL-C tramite statina o niacina. Lo studio suggerisce infine che il valore soglia fino a ora considerato per la liproteina (a), pari a 30 mg/dL, potrebbe richiedere una modifica, e che la determinazione di livelli particolarmente elevati della proteina potrebbe essere uno strumento diagnostico in più nei casi già a rischio.
Raffaella Bergottini
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Una proteina sfuggente
La lipoproteina (a) è una proteina del plasma già da tempo sospettata di poter aumentare i rischi di cardiopatia. La sua struttura è molto simile a quella delle LDL-C e al plasminogeno, può favorire la formazione di trombi e i suoi livelli sono correlati ad aterosclerosi delle coronarie e ispessimento delle carotidi. Gli studi di epidemiologia condotti fino ad ora hanno sempre dato risultati poco chiari circa l'utilità della sua misurazione. L'associazione tra alti livelli della lipoproteina e le malattie cardiovascolari non sempre è stata confermata, anche perché spesso veniva misurata con metodiche differenti, che davano risultati discordanti. Solo recentemente si dispone di una tecnica, utilizzata per questo studio, che ne permette una titolazione affidabile. Allo scopo di verificare l'associazione tra livelli di lipoproteina (a) ed infarto, i livelli della proteina sono stati misurati tra il 1992 ed il 1995 in di 27 mila donne sane. Nei successivi 10 anni, 899 di esse hanno avuto un infarto. A parità di fattori come età, pressione sanguigna, fumo, indice di massa corporea, LDL-C, diabete e uso di ormoni, le donne con livelli maggiori di 44mg/dL avevano un rischio una volta e mezza superiore di sviluppare malattie cardiovascolari rispetto a quelle con valori inferiori a 3,4 mg/dL.
I risvolti pratici
Anche se il dato riveste un certo interesse, i ricercatori escludono che possa supportare uno screening generalizzato nella popolazione perché solo livelli particolarmente alti sono associati al rischio di infarto. Dal punto di vista clinico, la maggior parte delle terapie utilizzate per l'iperlipidemia non è attiva nel ridurre i livelli di lipoproteina (a). L'unico trattamento efficace si è dimostrato l'acido nicotinico alla dose di 3-4 g/d, dose che però richiede un attento monitoraggio del paziente e che è difficilmente tollerato. Oltre tutto, non c'è alcuna evidenza clinica che a un abbassamento della lipoproteina corrisponda un minore rischio di infarto. Dal momento però che il trattamento aggressivo per abbassare i livelli di LDL-C si è dimostrato efficace nel ridurre il rischio di infarto - a sua volta associato ad elevati livelli di lipoproteina (a) - l'obiettivo primario quando i livelli della proteina sono troppo elevati rimane quello di ridurre quelli di LDL-C tramite statina o niacina. Lo studio suggerisce infine che il valore soglia fino a ora considerato per la liproteina (a), pari a 30 mg/dL, potrebbe richiedere una modifica, e che la determinazione di livelli particolarmente elevati della proteina potrebbe essere uno strumento diagnostico in più nei casi già a rischio.
Raffaella Bergottini
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