16 aprile 2008
Aggiornamenti e focus
Nemica delle coronarie
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Il rischio di malattia coronarica è legato a diversi fattori ben individuati, molti modificabili e qualcuno no, relativi a età, sesso, fumo, indice di massa corporea, ipertensione arteriosa, eccesso di colesterolo totale o trigliceridi, diabete mellito. Fattori anche associati tra loro e connessi ad altri, quali la lipoproteina(a), una lipoproteina a bassa densità che quando è a livelli elevati nel sangue predispone all'aterosclerosi e alla trombosi, e per la quale diversi studi epidemiologici hanno indicato una connessione con il rischio cardiovascolare. Dal 2000 ci sono stati 18 studi prospettici che hanno riguardato i livelli di Lp(a) in rapporto alla coronaropatia, mostrando per la maggior parte, ma non per tutti, un'associazione positiva. Pochi di essi avevano però una potenza sufficiente per chiarire meglio aspetti importanti, come il tipo di curva, cioè se ci sia una relazione continua o meno, o come rischio in sottogruppi con diversi livelli di fattori predisponenti noti. Un gruppo di ricerca internazionale ha analizzato dati prospettici di uno studio su larga scala per approfondire questi aspetti, con l'idea di contribuire a capire se la relazione tra Lp(a) e coronaropatia sia causale. In effetti sembra che la lipoproteina sia un fattore di rischio indipendente e l'associazione sia continua: riscontri che possono avere un peso per la prevenzione.
La lipoproteina(a) in pratica è una lipoproteina a bassa densità simile alle più note LDL, anch'esse implicate nell'aumentato rischio cardiovascolare; è sintetizzata nel fegato attraverso il legame tra apolipoproteina B e apolipoproteina(a). Gli autori dello studio hanno utilizzato dati sui livelli di Lp(a) relativi a 2.047 persone che avevano subito un primo infarto miocardico non fatale o erano morti in seguito a coronaropatia, confrontati con quelli di 3.921 soggetti controllo, nell'ambito del vasto Reykjavik Study avviato in Islanda nel 1967. Le misurazioni sono state poi condotte dodici anni dopo separatamente per 372 partecipanti, al fine di quantificare le fluttuazioni tra individui della lipoproteina. Si sono ovviamente considerati tutti i principali fattori noti predisponenti la malattia coronarica prima ricordati. Ed ecco i risultati. Per i livelli basali di Lp(a) si è dimostrata una correlazione debole o assente con altri fattori di rischio, come età, sesso, colesterolemia totale e pressione arteriosa. Per i livelli di Lp(a) è apparsa una relazione approssimativamente continua con il rischio di futura coronaropatia, in contrasto con alcuni precedenti evidenze di nessuna associazione o di associazione soltanto per valori di Lp(a) molto alti. Il rischio di coronaropatia in caso di livelli elevati di Lp(a) era comparabile a quello legato alla pressione sistolica e al limite altrettanto elevato a quello legato alla proteina C reattiva e ai trigliceridi, tuttavia mentre per questi ultimi due si attenuava dopo la correzione per i fattori predisponenti per la Lp(a) cambiava di poco. Ciò significa che i valori di Lp(a) erano associati alla probabilità di coronaropatia in modo indipendente rispetto agli altri fattori; il rischio è apparso simile in sottogruppi clinicamente rilevanti di soggetti, per esempio in uomini o donne, o per differenti livelli dei fattori predisponenti stabiliti.
Un'associazione indipendente, dunque, continua e in un ampio range di persone tra Lp(a) e probabilità di malattia coronarica, con livelli di lipoproteina altamente stabili tra individui nell'arco di molti anni e solo debolmente correlati con i noti fattori di rischio. Quali possono essere le implicazioni di queste osservazioni? Per gli autori indicherebbero la mancanza di una sostanziale correlazione con caratteristiche relative allo stile di vita (la dieta ricca di grassi trans aumenta la Lp(a), per esempio, o con fattori predisponenti definiti, e sottolineerebbero semmai una forte influenza genetica sui livelli di Lp(a). Inoltre, commentano, il rischio progressivo con l'aumentare di questi livelli rende importanti strategie anche nuove in grado di modificarli; andrebbero poi condotti studi che aiutino a definire se i valori di lipoproteina(a) siano coinvolti in senso causale nella coronaropatia. Di fatto, la Lp(a) sembra posizionata con gli altri fattori noti nella black list dei nemici delle coronarie.
Elettra Vecchia
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Stabilità tra individui negli anni
La lipoproteina(a) in pratica è una lipoproteina a bassa densità simile alle più note LDL, anch'esse implicate nell'aumentato rischio cardiovascolare; è sintetizzata nel fegato attraverso il legame tra apolipoproteina B e apolipoproteina(a). Gli autori dello studio hanno utilizzato dati sui livelli di Lp(a) relativi a 2.047 persone che avevano subito un primo infarto miocardico non fatale o erano morti in seguito a coronaropatia, confrontati con quelli di 3.921 soggetti controllo, nell'ambito del vasto Reykjavik Study avviato in Islanda nel 1967. Le misurazioni sono state poi condotte dodici anni dopo separatamente per 372 partecipanti, al fine di quantificare le fluttuazioni tra individui della lipoproteina. Si sono ovviamente considerati tutti i principali fattori noti predisponenti la malattia coronarica prima ricordati. Ed ecco i risultati. Per i livelli basali di Lp(a) si è dimostrata una correlazione debole o assente con altri fattori di rischio, come età, sesso, colesterolemia totale e pressione arteriosa. Per i livelli di Lp(a) è apparsa una relazione approssimativamente continua con il rischio di futura coronaropatia, in contrasto con alcuni precedenti evidenze di nessuna associazione o di associazione soltanto per valori di Lp(a) molto alti. Il rischio di coronaropatia in caso di livelli elevati di Lp(a) era comparabile a quello legato alla pressione sistolica e al limite altrettanto elevato a quello legato alla proteina C reattiva e ai trigliceridi, tuttavia mentre per questi ultimi due si attenuava dopo la correzione per i fattori predisponenti per la Lp(a) cambiava di poco. Ciò significa che i valori di Lp(a) erano associati alla probabilità di coronaropatia in modo indipendente rispetto agli altri fattori; il rischio è apparso simile in sottogruppi clinicamente rilevanti di soggetti, per esempio in uomini o donne, o per differenti livelli dei fattori predisponenti stabiliti.
Strategie per ridurne i livelli
Un'associazione indipendente, dunque, continua e in un ampio range di persone tra Lp(a) e probabilità di malattia coronarica, con livelli di lipoproteina altamente stabili tra individui nell'arco di molti anni e solo debolmente correlati con i noti fattori di rischio. Quali possono essere le implicazioni di queste osservazioni? Per gli autori indicherebbero la mancanza di una sostanziale correlazione con caratteristiche relative allo stile di vita (la dieta ricca di grassi trans aumenta la Lp(a), per esempio, o con fattori predisponenti definiti, e sottolineerebbero semmai una forte influenza genetica sui livelli di Lp(a). Inoltre, commentano, il rischio progressivo con l'aumentare di questi livelli rende importanti strategie anche nuove in grado di modificarli; andrebbero poi condotti studi che aiutino a definire se i valori di lipoproteina(a) siano coinvolti in senso causale nella coronaropatia. Di fatto, la Lp(a) sembra posizionata con gli altri fattori noti nella black list dei nemici delle coronarie.
Elettra Vecchia
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