Pazienti illusi

13 giugno 2008
Aggiornamenti e focus

Pazienti illusi



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Nonostante i progressi nelle cure la prognosi per i pazienti con un arresto cardiaco è piuttosto scarsa. Meno di cinque anni in media. Eppure per le persone con la malattia in forma grave la mortalità a un anno si avvicina al 90% e quasi la metà di questi casi fatali sono dovuti a un progressivo deteriorarsi del muscolo cardiaco, che si manifesta in modo improvviso. La prognosi dipende da una serie di svariate caratteristiche del paziente e sono molti i modelli prognostici disponibili sviluppati per predire la sopravvivenza dei pazienti con arresto cardiaco. Proprio in considerazione della natura progressiva della malattia, del suo alto tasso di mortalità e del suo manifestarsi in particolare in persone anziane, i temi di fine vita dovrebbero essere rilevanti nella gestione dei pazienti infartuati. Ecco perché le linee guida pratiche della maggior parte delle società cardiovascolari includono considerazioni sul tema del fine vita, che mirano a tutelare il paziente e la famiglia riguardo alla prognosi su qualità di vita e sopravvivenza. Ma non sempre succede.

La percezione conta


I dati sull'argomento in relazione alle malattie cardiache sono rari, rispetto, per esempio, al cancro. Il risultato è che non si sa quanto i pazienti con problemi cardiaci abbiano chiara la loro prognosi e i pochi studi disponibili sull'argomento vedono sempre indicate tra le preferenze la rianimazione. La mancanza di studi sull'argomento ha indotto un gruppo di ricerca statunitense a valutare quale sia la reale percezione della loro prognosi dei pazienti con insufficienza cardiaca. Un fatto già valutato per altre patologie. E da non sottovalutare. La percezione dei pazienti, infatti, condiziona la scelta medica in merito a farmaci, trapianti, dispositivi medici e cure di fine vita. Studi analoghi condotti in pazienti oncologici, per esempio, dimostrano che un paziente convinto di poter sopravvivere è propenso a una terapia più aggressiva. Oltretutto con la sempre maggiore disponibilità di terapie salva-vita, spesso costose e invasive, capire quale sia la percezione del paziente è basilare per effettuare scelte appropriate. L'obiettivo dello studio statunitense, pubblicato sull'ultimo numero di JAMA, è proprio quello di quantificare le aspettative di vita dei pazienti ambulatoriali con insufficienza cardiaca e di confrontarla con i modelli disponibili.

Aspettative poco realistiche


La percezione, concludono i ricercatori, è piuttosto scarsa. I pazienti, infatti, mediamente sovrastimano la loro aspettativa di vita. Un fenomeno che si manifesta, in particolare, per i pazienti più giovani e meno depressi, ma anche per quelli con i casi più severi. Quello che viene detto ai pazienti e quello che loro sentono sono due cose ben diverse, spiegano gli esperti. L'indagine è stata condotta su 122 soggetti con insufficienza cardiaca con un'aspettativa di vita prevista clinicamente. Il modello prognostico utilizzato tiene in considerazione aspetti come l'età, i farmaci assunti e i dati di laboratorio. Ben il 63% dei pazienti considerati sovrastimava la propria aspettativa di vita di una media di tre anni. Una quota significativa, tenuto conto che dalle stime dei CDC quasi cinque milioni di persone negli Stati Uniti soffrono di insufficienza cardiaca, con una mortalità diretta di 55mila morti e indiretta di altre 230mila, e con una prognosi che nella maggior parte dei casi è al di sotto dei cinque anni. Ecco perché è fondamentale che i medici si accertino della chiarezza del loro messaggio, così come può essere utile ai pazienti essere assistiti da una persona di supporto che aiuti a interpretare le parole del medico. Mai come in questo caso la chiarezza è di vitale importanza.

Marco Malagutti



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