Educare alla prevenzione dopo l'infarto

13 marzo 2009
Aggiornamenti e focus

Educare alla prevenzione dopo l'infarto



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La riabilitazione e la prevenzione secondaria sta assumendo sempre più una natura globale e olistica, al punto che dopo un infarto non è più sufficiente pensare di fare solo esercizio fisico per qualche tempo e poi riprendere la vita di prima. Approcci strategici più ampi non vengono proposti a caso ma hanno dietro un percorso di valutazione fatto di studi che hanno dimostrato la differenza tra un intervento, magari breve, basato solo sull'attività fisica e programmi di intervento più lunghi in cui il paziente veniva spinto anche a smettere di fumare, a mangiare in modo corretto e a imparare a gestire lo stress psicologico. Uno di questi è stato testato dai ricercatori dell'IRCCS Fondazione Salvatore Maugeri di Veruno (NO) nello studio GOSPEL (Global Secondary Prevention Strategies to Limit Event Recurrence After Myocardial Infarction) durato tre anni.

Un programma lungo e intenso


Il gruppo di lavoro, guidato da Pantaleo Giannuzzi, primario della Divisione di Cardiologia Riabilitativa dell'Istituto e direttore scientifico e coordinatore del progetto, ha confrontato l'efficacia di due strategie di prevenzione secondaria di diversa intensità e durata, avviate successivamente alla riabilitazione cardiovascolare standard dopo un infarto. Circa 1600 pazienti sono stati inseriti in programmi di sei mesi tipici del proprio centro cui facevano riferimento, altrettanti hanno invece seguito un protocollo educazionale più complesso della durata di tre anni. Tutti quanti, a sei mesi, a uno, due e tre anni venivano sottoposti a visita di controllo. Nel programma le sessioni erano individuali e nei primi sei mesi gli incontri erano mensili e prevedevano esercizi aerobici per circa mezz'ora e poi sedute di educazione sui fattori di rischio e sugli stili di vita e infine interventi di rinforzo e motivazione sul perseguire gli obiettivi. Ai partecipanti veniva consegnato un piccolo manuale che spiegava come fare gli esercizi, come gestire la dieta, come smettere di fumare e gestire lo stress. Gli incontri diventavano semestrali per gli anni successivi e a ogni visita di controllo gli operatori verificavano quanto i soggetti avessero aderito alle indicazioni suggerite loro durante gli incontri, oltre ai valori di colesterolemia, pressione sanguigna, indice di massa corporea.

Dopo tre anni la differenza c'è


Gia a sei mesi, cioè quando il programma tradizionale terminava, si registravano differenze: in entrambi i gruppi rispetto all'inizio (dato al basale) e tra di essi si notavano delle differenze statisticamente significative. L'attività fisica era aumentata del 24,3% nel gruppo di intervento rispetto al 18,2% del gruppo controllo, differenze che si sono mantenute per tutta la durata dello studio. In generale il 26,1% dei pazienti aveva abitudini alimentari tipiche della dieta mediterranea, ma dopo sei mesi la percentuale era salita al 59,6%, in media tra tutti i pazienti. Tuttavia, mentre nel programma più specifico l'incremento del punteggio che misurava le abitudini alimentari era di 18 punti percentuali, nel gruppo controllo era del 14,1%. Cambiava anche la capacità di gestire lo stress, più marcata nel gruppo di intervento e tale si manteneva rispetto al controllo per tutto il periodo di osservazione. Inoltre, c'erano maggiori probabilità di smettere di fumare nel primo gruppo (80,2% vs. 75,1%). Tali variazioni erano coerenti con gli effetti registrati per i parametri clinici: il profilo lipidico migliorava in tutti, con qualche differenza in favore del gruppo di intervento più intenso in cui registrava anche un incremento minore dell'indice di massa corporea (1,7% vs. 2.1%). La pressione sanguigna aveva raggiunto i valori-obiettivo (target) in tutti e due i gruppi senza grandi differenze, mentre l'aderenza alle terapie, con statine e ACE inibitori era aumentata in modo più evidente nel gruppo di intervento intensivo. Il tutto si è tradotto nella riduzione del 33% di morte cardiovascolare più attacco cardiaco e ictus non fatale (3,2% nel gruppo di intervento vs. il 4,8% nel gruppo con assistenza tradizionale), nella riduzione del 36 % di morte cardiaca più attacco cardiaco non fatale (2,5% vs. 4%) e nella riduzione del 48% degli attacchi cardiaci non fatali (1,4% vs. 2,7%).

Simona Zazzetta



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