22 giugno 2007
Aggiornamenti e focus
Non siamo gli americani
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Le linee guida costituiscono uno strumento importante, dal punto di vista medico e sanitario. Soprattutto per malattie o disturbi molto diffusi come l’ipertensione. Però , come tutti gli strumenti scientifici, anche le linee guida vanno aggiornate e migliorate nel tempo, per tenere conto dei risultati ottenuti nella ricerca. Di qui l’importanza del XVII congresso della European Hypertension Society, (15- 19 giugno, Milano), dove è stata presentata, tra l’altro la nuova revisione delle linee guida europee. La specificazione “europee” è doverosa, perché in effetti esiste una certa differenza tra l’Unione e gli Stati Uniti, ma anche tra gli stessi paesi europei, come ha spiegato Giuseppe Mancia, direttore della Clinica medica dell’Università di Milano-Bicocca. Rispetto alla precedente edizione che cosa è cambiato? Innanzitutto si conferma un atteggiamento meno aggressivo, ma comunque vigile, degli europei. E’ vero che se una persona presenta valori di poco superiori a 140/90 mmHg è ipertesa a tutti gli effetti, ma questo lieve rialzo, in assenza di altri fattori di rischio (diabete, ipercolesterolemia…) può essere trattato anche per lunghi periodi con le sole modificazioni della dieta e dell’attività fisica, passando ai farmaci in caso di insuccesso. “Al contrario, se la pressione è molto alta, superiore a 160/100 mmHg” prosegue Mancia “anche in assenza di altri fattori di rischio si deve intervenire subito farmacologicamente”. Infine, anche di fronte a una pressione normale, ma spostata verso l’alto, come 130/80 accompagnata però da uno o più fattori di rischio non si deve attendere l’evoluzione della situazione per intervenire. Insomma la parola d’ordine è flessibilità che si ripropone anche nella scelta dell’obiettivo una volta iniziata la cura: tutti gli ipertesi devono essere riportati sotto la soglia di 140/90, ma in presenza di fattori di rischio o peggio ancora di precedenti di infarto, aneurisma, ictus, è necessario abbassare ulteriormente i valori, almeno a 130/80.
Flessibilità che si riscontra anche in campo terapeutico. Le linee guida statunitensi, a questo proposito, sono piuttosto rigide, dettano una gerarchia dei farmaci netta. Si parte con il diuretico e poi a salire. Per le linee guida europee, invece, non si può stabilire un ordine di questo genere: tutti i farmaci sono di prima o seconda linea a in funzione della risposta del paziente. A questo proposito, secondo Mancia è stato un errore bandire o quasi i beta-bloccanti, come hanno fatto i britannici, per l’effetto sulla glicemia. “I betabloccanti sono comunque utili, anche se non rappresentano più la scelta ideale in alcune categorie di pazienti. Quelli con iperglicemia, quelli esposti al rischio di diabete” ha detto il presidente del congresso. Inoltre, resta inteso che visti molti meccanismi coinvolti nello sviluppo dell’ipertensione, quasi sempre si deve ricorrere a più farmaci, magari associati in una singola pastiglia.
Un altro aspetto che è stato ulteriormente rivalutato è l’automisurazione, che è effettivamente importante per la terapia. Infatti, spesso la misurazione nell0’ambulatorio può essere influenzata dalla reazione emotiva alla visita, mentre a casa propria questo è meno probabile. Però, ovviamente, cambiano i valori: proprio perché l’ambiente è meno ansiogeno, il risultato può essere considerato nella norma se si resta entro 130/85 mmHg. Ma l’automisurazione vale anche per rilevare l’effetto opposto, cioè l’ipertensione mascherata, una condizione nella quale la persona mostra valori normali in ambulatorio e alterati a casa propria. Una condizione abbastanza frequente, una persona su sette.
Però, anche con l’automisurazione non si deve eccedere: c’è chi si fa prendere la mano facendo continue misurazioni, che i risultati siano normali o meno, alla caccia di successive conferme. A meno che il medico non indichi diversamente, due misurazioni la settimana sono sufficienti. Ovviamente, vanno rispettate alcune regole: impiegare strumenti omologati che andranno periodicamente tarati; effettuare la misurazione tra le 8 e le 10 del mattino e, per gli ipertesi in trattamento, prima di assumere i farmaci; nel caso in cui l'automisurazione rivelasse valori alterati informare subito il medico. E, naturalmente, farsi misurare la pressione dal medico periodicamente.
Infine, un aspetto fondamentale: è necessario controllare sistematicamente, prima che divenga evidente, anche il danno d’organo, cioè quello che l’elevata pressione arteriosa genera sui bersagli: rene e cuore in particolare. Per il rene, già un esame semplice come quello delle urine può essere fondamentale. La presenza di microalbuminuria (piccole quantità di proteina nelle urine) indica che i piccoli vai del rene sono in sofferenza e, quindi, va resa più aggressiva la terapia. Lo stesso vale per i test come l’ecpocardiografia, che possono rivelare l’ipertrofia ventricolare, cioè il rimodellamento del cuore costrettoi a un superlavoro.
Maurizio Imperiali
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Farmaci sul piede di parità
Flessibilità che si riscontra anche in campo terapeutico. Le linee guida statunitensi, a questo proposito, sono piuttosto rigide, dettano una gerarchia dei farmaci netta. Si parte con il diuretico e poi a salire. Per le linee guida europee, invece, non si può stabilire un ordine di questo genere: tutti i farmaci sono di prima o seconda linea a in funzione della risposta del paziente. A questo proposito, secondo Mancia è stato un errore bandire o quasi i beta-bloccanti, come hanno fatto i britannici, per l’effetto sulla glicemia. “I betabloccanti sono comunque utili, anche se non rappresentano più la scelta ideale in alcune categorie di pazienti. Quelli con iperglicemia, quelli esposti al rischio di diabete” ha detto il presidente del congresso. Inoltre, resta inteso che visti molti meccanismi coinvolti nello sviluppo dell’ipertensione, quasi sempre si deve ricorrere a più farmaci, magari associati in una singola pastiglia.
Un altro aspetto che è stato ulteriormente rivalutato è l’automisurazione, che è effettivamente importante per la terapia. Infatti, spesso la misurazione nell0’ambulatorio può essere influenzata dalla reazione emotiva alla visita, mentre a casa propria questo è meno probabile. Però, ovviamente, cambiano i valori: proprio perché l’ambiente è meno ansiogeno, il risultato può essere considerato nella norma se si resta entro 130/85 mmHg. Ma l’automisurazione vale anche per rilevare l’effetto opposto, cioè l’ipertensione mascherata, una condizione nella quale la persona mostra valori normali in ambulatorio e alterati a casa propria. Una condizione abbastanza frequente, una persona su sette.
Controllarsi senza esagerare
Però, anche con l’automisurazione non si deve eccedere: c’è chi si fa prendere la mano facendo continue misurazioni, che i risultati siano normali o meno, alla caccia di successive conferme. A meno che il medico non indichi diversamente, due misurazioni la settimana sono sufficienti. Ovviamente, vanno rispettate alcune regole: impiegare strumenti omologati che andranno periodicamente tarati; effettuare la misurazione tra le 8 e le 10 del mattino e, per gli ipertesi in trattamento, prima di assumere i farmaci; nel caso in cui l'automisurazione rivelasse valori alterati informare subito il medico. E, naturalmente, farsi misurare la pressione dal medico periodicamente.
Infine, un aspetto fondamentale: è necessario controllare sistematicamente, prima che divenga evidente, anche il danno d’organo, cioè quello che l’elevata pressione arteriosa genera sui bersagli: rene e cuore in particolare. Per il rene, già un esame semplice come quello delle urine può essere fondamentale. La presenza di microalbuminuria (piccole quantità di proteina nelle urine) indica che i piccoli vai del rene sono in sofferenza e, quindi, va resa più aggressiva la terapia. Lo stesso vale per i test come l’ecpocardiografia, che possono rivelare l’ipertrofia ventricolare, cioè il rimodellamento del cuore costrettoi a un superlavoro.
Maurizio Imperiali
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