22 febbraio 2008
Aggiornamenti e focus
Aderire per non rischiare
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Uno degli aspetti più problematici parlando di ipertensione è quello dell'adesione alle terapie, in inglese compliance, la cui scarsità, non manca occasione per ribadirlo, richiede correttivi. Tra gli studi sull'argomento uno recente, pubblicato sugli Archives of Internal Medicine, sottolineava come un paziente su tre non è abbastanza scrupoloso e non segue adeguatamente le terapie. Un fatto che rende difficile ai medici capire se è la terapia che non funziona o quanto, nell'insuccesso, conti la non aderenza. Che sia colpa dei pazienti che sottovalutano il problema e considerano che ci si possa scordare di prendere il farmaco o dei medici che non informano adeguatamente, l'esito è comunque negativo. Oltretutto è piuttosto diffusa l'idea tra i pazienti che una volta raggiunto l'obiettivo si possano interrompere le terapie. E il paradosso è che spesso sono i pazienti che ne hanno più bisogno a essere meno "compliant". E' ancora uno studio pubblicato dagli Archives, a ribadire come il mancato rispetto delle prescrizioni sia una delle principali ragioni per cui i livelli pressori spesso restano elevati nonostante la terapia sia stata intensificata.
Il problema non è da poco, anche perché, come sottolineano gli autori nella loro premessa, il mancato controllo della pressione arteriosa tra i pazienti con malattia coronarica, oltre 13 milioni negli Stati Uniti, è associato al rischio di eventi cardiovascolari. Di mancato controllo della pressione, perciò, si può anche morire. Secondo le recenti linee guida pubblicate dal Joint National Committee l'obiettivo è di scendere sotto la soglia 140/90 mmHg per i pazienti con malattia coronarica, anche se livelli ancora più bassi potrebbero essere vantaggiosi. Eppure meno del 50% dei pazienti ipertesi in trattamento raggiungono i livelli raccomandati dalle linee guida. Lo studio in questione, però, invece che soffermarsi, come molti precedenti sulle caratteristiche dei pazienti, ha cercato di valutare l'impatto dell'adesione alla terapia e della sua intensificazione per raggiungere i livelli di pressione previsti dalle linee guida. Uno studio, dicono gli autori, dalle importanti implicazioni per valutare la gestione della pressione nei pazienti con malattia coronarica e per definire come migliorare gli esiti per i pazienti.
Lo studio retrospettivo ha considerato oltre 10000 pazienti con malattia coronarica per valutare l'impatto della non adesione e del potenziamento della terapia nel perseguire i target desiderati. Ebbene i risultati hanno evidenziato come nella coorte di pazienti esaminata il 12% avesse la pressione fuori controllo, un numero che va scendendo, dopo 4,6 anni di osservazione, al 5%. Ma in particolare i pazienti con pressione non controllata erano quelli che avevano rafforzato la terapia e che erano poco aderenti alla terapia stessa. Un fatto che spiegherebbe come, nonostante una maggiore prescrizione, i livelli di pressione si mantenessero alti. Non basta perciò prescrivere più farmaci, se poi non vengono assunti con regolarità. E l'adesione alla terapia sembra anche segnale di adesione ad altre scelte di vita salutari. Ora si tratta di valutare con successivi studi interventi da indirizzare ai pazienti poco aderenti e di definire se questi interventi possano migliorare gli esiti e ridurre le lacune esistenti nella cura.
Marco Malagutti
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Pressione fuori controllo
Il problema non è da poco, anche perché, come sottolineano gli autori nella loro premessa, il mancato controllo della pressione arteriosa tra i pazienti con malattia coronarica, oltre 13 milioni negli Stati Uniti, è associato al rischio di eventi cardiovascolari. Di mancato controllo della pressione, perciò, si può anche morire. Secondo le recenti linee guida pubblicate dal Joint National Committee l'obiettivo è di scendere sotto la soglia 140/90 mmHg per i pazienti con malattia coronarica, anche se livelli ancora più bassi potrebbero essere vantaggiosi. Eppure meno del 50% dei pazienti ipertesi in trattamento raggiungono i livelli raccomandati dalle linee guida. Lo studio in questione, però, invece che soffermarsi, come molti precedenti sulle caratteristiche dei pazienti, ha cercato di valutare l'impatto dell'adesione alla terapia e della sua intensificazione per raggiungere i livelli di pressione previsti dalle linee guida. Uno studio, dicono gli autori, dalle importanti implicazioni per valutare la gestione della pressione nei pazienti con malattia coronarica e per definire come migliorare gli esiti per i pazienti.
Potenziare serve a poco
Lo studio retrospettivo ha considerato oltre 10000 pazienti con malattia coronarica per valutare l'impatto della non adesione e del potenziamento della terapia nel perseguire i target desiderati. Ebbene i risultati hanno evidenziato come nella coorte di pazienti esaminata il 12% avesse la pressione fuori controllo, un numero che va scendendo, dopo 4,6 anni di osservazione, al 5%. Ma in particolare i pazienti con pressione non controllata erano quelli che avevano rafforzato la terapia e che erano poco aderenti alla terapia stessa. Un fatto che spiegherebbe come, nonostante una maggiore prescrizione, i livelli di pressione si mantenessero alti. Non basta perciò prescrivere più farmaci, se poi non vengono assunti con regolarità. E l'adesione alla terapia sembra anche segnale di adesione ad altre scelte di vita salutari. Ora si tratta di valutare con successivi studi interventi da indirizzare ai pazienti poco aderenti e di definire se questi interventi possano migliorare gli esiti e ridurre le lacune esistenti nella cura.
Marco Malagutti
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