01 luglio 2005
Aggiornamenti e focus
Paura dell'insulina
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L'ormone insulina è la causa scatenante del diabete di tipo 1. È quanto emerge dai risultati di due studi americani indipendenti, pubblicati lo scorso maggio sulla rivista "Nature". Il diabete di tipo 1 colpisce, nei soli Stati Uniti, un giovane su 450 ed è una malattia autoimmune. Infatti, le cellule beta del pancreas, deputate alla produzione dell'insulina, sono distrutte in seguito a una risposta anomala del sistema immunitario, che le aggredisce come elementi estranei all'organismo. Come questo sia possibile, era poco chiaro fino ad ora.
Convincenti evidenze sperimentali hanno dimostrato che l'insulina ha un ruolo fondamentale come autoantigene primario in grado di scatenare l'autoimmunità. Il gruppo di ricerca di Maki Nakayama ha inattivato i geni insulin1 e insulin2, che codificano per le due catene dell'insulina, in topi NOD (Non-Obese Diabetic, diabetici non obesi), animali-modello per lo studio in laboratorio del diabete di tipo 1. In tal modo, i topi NOD non sono in grado di produrre naturalmente l'ormone. Affinchè non muoiano a causa dell'assenza d'insulina, è stato inserito un transgene, vale a dire un gene modificato che codifica per una molecola d'insulina mutata. L'insulina transgenica mantiene la sua funzione ormonale ma non è riconosciuta dai linfociti del sistema immunitario come autoantigene. I risultati di questi esperimenti mostrano che i topi NOD transgenici non presentano segni di una risposta autoimmune: nel loro sangue non sono presenti anticorpi contro le cellule beta e non sviluppano diabete.
Quanto sono rilevanti queste scoperte per il diabete umano? I risultati delle ricerche di Sally Kent supportano l'idea che l'insulina sia un autoantigene anche nel caso del diabete di tipo 1 umano. Sono stati isolati i linfociti provenienti dai linfonodi pancreatici d'individui malati di diabete di tipo 1 e, in seguito, sono state analizzate le proteine che questi linfociti sono in grado di riconoscere. Il 50% riconosce come autoantigene uno specifico frammento della catena A della molecola dell'insulina. Contrariamente, nessun soggetto sano, preso come controllo, possedeva linfociti capaci di legare questa sequenza dell'insulina. Per riconoscerla come antigene, i linfociti devono entrare in contatto con una molecola d'insulina presente sulla membrana di cellule chiamate APC (Antigen-Presenting Cells), che raccolgono frammenti di proteine da cellule beta agonizzanti e li mostrano sulla loro superficie cellulare. A ulteriore conferma del ruolo essenziale dell'insulina nello sviluppo del diabete di tipo 1 anche nell'uomo, è stato dimostrato che la proteina di membrana delle APC in grado di legare e mostrare il frammento della catena A dell'insulina è codificata da un gene (DR4) che conferisce suscettibilità al diabete di tipo 1.
Prospettive ancora lontane
Queste scoperte gettano una nuova luce sulla comprensione dei meccanismi biologici e molecolari che sono alla base di questa grave malattia. Tuttavia, una questione rimane aperta: se l'insulina è cruciale per la risposta immunitaria che dà inizio al diabete di tipo 1, quali altri fattori sono coinvolti nello sviluppo e nel decorso della malattia? Sembra chiaro, dunque, che c'è ancora molto da scoprire e da capire prima di arrivare a nuove possibilità preventive e terapeutiche.
Sara Labella
Vera Ventura
Claudio Gilardelli
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Nei topi la chiave è l'insulina.
Convincenti evidenze sperimentali hanno dimostrato che l'insulina ha un ruolo fondamentale come autoantigene primario in grado di scatenare l'autoimmunità. Il gruppo di ricerca di Maki Nakayama ha inattivato i geni insulin1 e insulin2, che codificano per le due catene dell'insulina, in topi NOD (Non-Obese Diabetic, diabetici non obesi), animali-modello per lo studio in laboratorio del diabete di tipo 1. In tal modo, i topi NOD non sono in grado di produrre naturalmente l'ormone. Affinchè non muoiano a causa dell'assenza d'insulina, è stato inserito un transgene, vale a dire un gene modificato che codifica per una molecola d'insulina mutata. L'insulina transgenica mantiene la sua funzione ormonale ma non è riconosciuta dai linfociti del sistema immunitario come autoantigene. I risultati di questi esperimenti mostrano che i topi NOD transgenici non presentano segni di una risposta autoimmune: nel loro sangue non sono presenti anticorpi contro le cellule beta e non sviluppano diabete.
E nell'uomo?
Quanto sono rilevanti queste scoperte per il diabete umano? I risultati delle ricerche di Sally Kent supportano l'idea che l'insulina sia un autoantigene anche nel caso del diabete di tipo 1 umano. Sono stati isolati i linfociti provenienti dai linfonodi pancreatici d'individui malati di diabete di tipo 1 e, in seguito, sono state analizzate le proteine che questi linfociti sono in grado di riconoscere. Il 50% riconosce come autoantigene uno specifico frammento della catena A della molecola dell'insulina. Contrariamente, nessun soggetto sano, preso come controllo, possedeva linfociti capaci di legare questa sequenza dell'insulina. Per riconoscerla come antigene, i linfociti devono entrare in contatto con una molecola d'insulina presente sulla membrana di cellule chiamate APC (Antigen-Presenting Cells), che raccolgono frammenti di proteine da cellule beta agonizzanti e li mostrano sulla loro superficie cellulare. A ulteriore conferma del ruolo essenziale dell'insulina nello sviluppo del diabete di tipo 1 anche nell'uomo, è stato dimostrato che la proteina di membrana delle APC in grado di legare e mostrare il frammento della catena A dell'insulina è codificata da un gene (DR4) che conferisce suscettibilità al diabete di tipo 1.
Prospettive ancora lontane
Queste scoperte gettano una nuova luce sulla comprensione dei meccanismi biologici e molecolari che sono alla base di questa grave malattia. Tuttavia, una questione rimane aperta: se l'insulina è cruciale per la risposta immunitaria che dà inizio al diabete di tipo 1, quali altri fattori sono coinvolti nello sviluppo e nel decorso della malattia? Sembra chiaro, dunque, che c'è ancora molto da scoprire e da capire prima di arrivare a nuove possibilità preventive e terapeutiche.
Sara Labella
Vera Ventura
Claudio Gilardelli
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