23 settembre 2005
Aggiornamenti e focus
Ru 486: il ministro dice stop
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E’ chiamata pillola anche questa, ma è bene non fare confusioni. La RU486 o mifepristone non è un anticoncezionale, neanche del giorno dopo. E’ un mezzo farmacologico per ottenere l’aborto. Ed è al centro dell’ultimo provvedimento, in ordine di tempo, del ministero della Salute, che ha sospeso la sperimentazione in atto all’Ospedale Sant’Anna di Torino, condotta tra gli altri da Marco Massobrio e Mario Campogrande. La RU486, come si può leggere in un altro articolo, ha avuto una storia molto contrastata. E’ usata da tempo in Francia, ma non in Spagna, è disponibile in Canada da quasi altrettanto tempo e negli Stati Uniti è stata introdotta con notevoli difficoltà.
Il termine sperimentazione è a suo modo fuorviante, in quanto non c’è molto da sperimentare nel senso classico: efficacia, effetti collaterali e altri aspetti cruciali per qualsiasi farmaco sono già noti. D’altra parte accade spesso che in Italia l’introduzione di terapie già autorizzate all’estero assuma le vesti di una sperimentazione. E’ accaduto, per esempio, con alcuni farmaci destinati all’Alzheimer che, autorizzati altrove, qui sono stati impiegati nell’ambito di un progetto di somministrazione controllata, il progetto Cronos. In quel caso la somministrazione controllata trovava giustificazione nel fatto che, per quei farmaci, non era stata ancora messa a punto una griglia delle caratteristiche dei pazienti che effettivamente si sarebbero giovati del trattamento, costoso e dall’efficacia molto variabile in funzione dello stadio della malattia. Qui queste motivazioni non ci sono, ve ne sono semmai di culturali. L’aborto è un tema controverso, soggetto a polemiche periodiche, e non solo in Italia o negli Stati Uniti (anche se soprattutto), malgrado un referendum abbia sancito l’orientamento dei cittadini.
Va detto che comunque la decisione del Ministero è stata preceduta da un’ispezione di funzionari, che hanno riscontrato alcune irregolarità nella ricerca in atto, ed è logico attendere che queste irregolarità vengano spiegate. D’altra parte non si può non registrare il commento del dottor Massobrio, rilasciato mentre si svolge l'81° Congresso della Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia in corso a Bologna. “Mi meraviglia questa decisione del ministro Storace” ha detto Massobrio “perché la sperimentazione era stata approvata dal Ministero della Salute che aveva già inviato propri ispettori i quali non avevano accertato nulla di non corretto. La sperimentazione aveva avuto anche l'ok da parte del Comitato Etico dell'Ospedale". Peraltro, da parte sua il dottor Campogrande aveva dichiarato di aver saputo del provvedimento dai giornali, ma questa è ormai pratica corrente.L’unico elemento reso noto sarebbe il caso di una paziente dimessa che avrebbe poi avuto un evento emorragico. Episodio peraltro smentito dai clinici del Sant’Anna.
La differenza tra l’aborto chirurgico, sia pure nella forma mini-invasiva oggi in uso, e l’aborto farmacologico è che, piaccia o meno, i rischi sono minori. C’è un’antica massima della medicina che dice: “Non si prende una pillola se se ne può fare a meno, non si fa un’iniezione se si può prendere una pillola, non si fa un intervento chirurgico se si può fare un’iniezione”. Ci sono meno disagi e, se poi si vuole andare fino al fondo della questione, c’è anche un minor utilizzo delle risorse delle strutture ospedaliere. Nell’ambito del congresso della SIGO, difatti, è stato reso noto un sondaggio condotto tra i ginecologi, che al 65% sono favorevoli a questa metodica, ovviamente col vincolo che la somministrazione sia effettuata in ospedale. Una posizione ben riassunta dal professor Domenico de Aloysio, ginecologo bolognese e co-presidente del congresso della SIGO: "Opportuno sarebbe che il Ministro Storace” ha detto “ favorisca uno stretto legame tra la donna che prende la pillola abortiva e le strutture assistenziali ospedaliere, perché questo è importante per ridurre i rischi dell'interruzione volontaria di gravidanza anche se contenuti. E invito il Ministro a favorire la cultura della contraccezione. Non vi è alcun dubbio che la scelta abortiva rappresenti un fallimento della contraccezione e che per la donna rappresenta comunque un lutto. Per questo la pillola abortiva rappresenta solo una via meno traumatica, pur nella drammaticità dell'evento".
Si è sempre obiettato che rendere più semplice un aborto sia una sorta di deresponsabilizzazione della donna, e i più estremisti hanno a volte lasciato intendere che fosse quasi un’istigazione a delinquere. Peccato che l’aborto in Italia non sia un reato ma una possibilità estrema alla quale, chi voglia, ha il diritto di accedere e non si vede perché debba essere sottoposto a disincentivi di questo tipo. Senza contare che solo chi non abbia mai avuto contati diretti con le vicende personali di chi giunge alla decisione dell’aborto può pensare che la “comodità” faccia la differenza.
In ogni caso si attende la pubblicazione di tutti i rilievi degli ispettori ministeriali.
Maurizio Imperiali
Salute oggi:
...e inoltre su Dica33:
Il termine sperimentazione è a suo modo fuorviante, in quanto non c’è molto da sperimentare nel senso classico: efficacia, effetti collaterali e altri aspetti cruciali per qualsiasi farmaco sono già noti. D’altra parte accade spesso che in Italia l’introduzione di terapie già autorizzate all’estero assuma le vesti di una sperimentazione. E’ accaduto, per esempio, con alcuni farmaci destinati all’Alzheimer che, autorizzati altrove, qui sono stati impiegati nell’ambito di un progetto di somministrazione controllata, il progetto Cronos. In quel caso la somministrazione controllata trovava giustificazione nel fatto che, per quei farmaci, non era stata ancora messa a punto una griglia delle caratteristiche dei pazienti che effettivamente si sarebbero giovati del trattamento, costoso e dall’efficacia molto variabile in funzione dello stadio della malattia. Qui queste motivazioni non ci sono, ve ne sono semmai di culturali. L’aborto è un tema controverso, soggetto a polemiche periodiche, e non solo in Italia o negli Stati Uniti (anche se soprattutto), malgrado un referendum abbia sancito l’orientamento dei cittadini.
In attesa dei chiarimenti
Va detto che comunque la decisione del Ministero è stata preceduta da un’ispezione di funzionari, che hanno riscontrato alcune irregolarità nella ricerca in atto, ed è logico attendere che queste irregolarità vengano spiegate. D’altra parte non si può non registrare il commento del dottor Massobrio, rilasciato mentre si svolge l'81° Congresso della Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia in corso a Bologna. “Mi meraviglia questa decisione del ministro Storace” ha detto Massobrio “perché la sperimentazione era stata approvata dal Ministero della Salute che aveva già inviato propri ispettori i quali non avevano accertato nulla di non corretto. La sperimentazione aveva avuto anche l'ok da parte del Comitato Etico dell'Ospedale". Peraltro, da parte sua il dottor Campogrande aveva dichiarato di aver saputo del provvedimento dai giornali, ma questa è ormai pratica corrente.L’unico elemento reso noto sarebbe il caso di una paziente dimessa che avrebbe poi avuto un evento emorragico. Episodio peraltro smentito dai clinici del Sant’Anna.
Meno invasiva, più sicura
La differenza tra l’aborto chirurgico, sia pure nella forma mini-invasiva oggi in uso, e l’aborto farmacologico è che, piaccia o meno, i rischi sono minori. C’è un’antica massima della medicina che dice: “Non si prende una pillola se se ne può fare a meno, non si fa un’iniezione se si può prendere una pillola, non si fa un intervento chirurgico se si può fare un’iniezione”. Ci sono meno disagi e, se poi si vuole andare fino al fondo della questione, c’è anche un minor utilizzo delle risorse delle strutture ospedaliere. Nell’ambito del congresso della SIGO, difatti, è stato reso noto un sondaggio condotto tra i ginecologi, che al 65% sono favorevoli a questa metodica, ovviamente col vincolo che la somministrazione sia effettuata in ospedale. Una posizione ben riassunta dal professor Domenico de Aloysio, ginecologo bolognese e co-presidente del congresso della SIGO: "Opportuno sarebbe che il Ministro Storace” ha detto “ favorisca uno stretto legame tra la donna che prende la pillola abortiva e le strutture assistenziali ospedaliere, perché questo è importante per ridurre i rischi dell'interruzione volontaria di gravidanza anche se contenuti. E invito il Ministro a favorire la cultura della contraccezione. Non vi è alcun dubbio che la scelta abortiva rappresenti un fallimento della contraccezione e che per la donna rappresenta comunque un lutto. Per questo la pillola abortiva rappresenta solo una via meno traumatica, pur nella drammaticità dell'evento".
Si è sempre obiettato che rendere più semplice un aborto sia una sorta di deresponsabilizzazione della donna, e i più estremisti hanno a volte lasciato intendere che fosse quasi un’istigazione a delinquere. Peccato che l’aborto in Italia non sia un reato ma una possibilità estrema alla quale, chi voglia, ha il diritto di accedere e non si vede perché debba essere sottoposto a disincentivi di questo tipo. Senza contare che solo chi non abbia mai avuto contati diretti con le vicende personali di chi giunge alla decisione dell’aborto può pensare che la “comodità” faccia la differenza.
In ogni caso si attende la pubblicazione di tutti i rilievi degli ispettori ministeriali.
Maurizio Imperiali
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