Ovaio stimolato e sicuro

13 febbraio 2009
Aggiornamenti e focus

Ovaio stimolato e sicuro



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Negli ultimi 20 anni, da quando si è iniziato a parlare della possibilità reale di ricorrere alla fecondazione assistita, si sono susseguiti nel tempo studi atti a chiarire i rischi delle terapie farmacologiche necessarie per preparare la donna alle procedure. Assumere farmaci ad azione ormonale, magari per numerosi cicli successivi lasciava aperte ipotesi di incremento di rischio di tumori tipici della donna, in particolare delle ovaie vista la tipologia di ormoni che si somministrano che agiscono in modo specifico su questo tessuto.

Dati discordanti


La maggior parte di queste neoplasie si presume che nasca dallo strato di cellule epiteliali (tumore epiteliale) che circondano l'ovaio e si è ipotizzato che cicli ripetuti di danno e riparazione che si verificano con l'ovulazione possano provocare un danno al DNA delle cellule e potenzialmente sviluppare il tumore. Se, come avviene con questi farmaci, l'ovulazione viene stimolata in maniera spinta, i rischi potrebbero aumentare (ipotesi dell'ovulazione incessante). L'altra ipotesi è che la semplice esposizione alle gonadotropine, usate nei trattamenti di stimolazione ovarica, aumenti il rischio di tumore ovarico. Dal momento che, in alcuni casi, le donne si sottopongono anche a 12 cicli di trattamento, gli esperti non hanno mai smesso di domandarsi quali e quanti fossero i rischi. Anche perchè i risultati di diverse ricerche condotte andavano in direzioni diverse, alcuni dati epidemiologici indicavano un aumento del rischio, non confermato da altri. In genere erano studi piccoli che peraltro non distinguevano gli effetti dei farmaci per trattare l'infertilità da possibili cause dell'infertilità stessa, che avrebbero potuto influenzare il rischio di neoplasia ovarica.

Farmaci a basso rischio


Per superare questi dubbi, e magari togliere a molte donne questa fonte di ansia, la Danish Cancer Society ha supportato uno studio molto ampio che ha incluso una coorte di oltre 54mila donne che tra il 1963 e il 1998 si erano rivolte a un centro specializzato per l'infertilità. Coloro che si erano sottoposte a trattamenti per la fertilità avevano assunto gonadotropine, clomifene, gonadotropina corionica umana oppure ormone di rilascio delle gonadotropine (GnRH) e tutte erano state monitorate fino all'età di 47 anni. Nel complesso sono stati riscontrati 156 casi di tumore ovarico, un campione ben più grande di quelli finora considerati, che ha permesso di fare un confronto, statisticamente significativo, tra donne infertili che si erano sottoposte o meno al trattamento farmacologico. Confronto che ha permesso di riscontrare che il rischio generale di tumore ovarico non era influenzato in modo significativo dall'uso di questi farmaci, il rischio relativo infatti era sempre molto basso: 0,83 per le gonadotropine, 1,14 per il clomifene, 0,89 per la gonadotropina corionica e 0,80 per il GnRH, quindi molto simile a quello di donne con la neoplasia ma non trattate. E lo stesso risultato si otteneva anche quando i farmaci erano in combinazione e a parità di altre variabili come la contraccezione, le cause di infertilità e il numero di parti precedenti. L'unico rischio che aumentava interessava i tumori ovarici sierosi, del 67%, ma non meno frequenti di quelli epiteliali, focus della ricerca. Motivo di cautela da parte degli autori della ricerca, è l'età media in cui il monitoraggio si è fermato, mentre il picco di massima prevalenza è all'inizio dei 60 anni, considerazione che li ha portati a non escludere del tutto la possibilità di un piccolo incremento del rischio.

Simona Zazzetta



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