31 maggio 2005
Aggiornamenti e focus
Questione di lunga data
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Qualche parola per chiarire il senso complessivo della questione, nella speranza di non aggiungere altra confusione. Della fecondazione medicalmente assistita si parla da tanti anni, e già negli anni novanta erano presenti posizioni molto diverse. Per esempio, a un congresso nazionale dell'allora Società Italiana della Fertilità e della Sterilità, tra il bioetico Maurizio Mori e uno dei partecipanti al dibattito vi fu uno scambio sulla questione della fecondazione eterologa, in particolare nel caso di una coppia di lesbiche. "Non si può" disse il ginecologo. Mori rispose: "D'accordo, ma se la signora abborda qualcuno in bar e ottiene così la gravidanza, che si fa? Le si toglie il figlio". Questo per dire che sono questioni che poco si prestano a disposizioni draconiane, che entrano nelle scelte individuali di ciascuno, che possono o non possono essere orientate da convinzioni religiose, filosofiche, ideali in senso ampio. E nelle quali la prudenza liberale vorrebbe si entrasse in punta di piedi. Questo vale anche per l'aspetto della natura dell'embrione. E' un individuo? E' una persona? I due termini non coincidono: con rispetto parlando, anche il gatto è un individuo, ma non una persona titolare di diritti (e fin qui magari si potrebbe obiettare) ma anche di doveri. Nel dibattito su questo aspetto, peraltro, molti ritengono che vi sia una fase in cui l'embrione non è nemmeno un individuo, in quanto potrebbe diventare anche due individui: insomma ha possibilità di sviluppo tale che è difficile attribuirgli un'identità anche solo biologica. Sono le fasi in cui si tratta di una masserella di cellule. Poi si forma la stria primitiva e c'è l'individuo. Ovviamente questa posizione viene rifiutata dalla visione cristiana cattolica, per la quale nel momento in cui c'è vita c'è individuo e c'è persona. Però, appunto, è una posizione.
Di qui parte la questione della ricerca sugli embrioni, perché è proprio sulle uova fecondate "in sovrappiù" rispetto alle esigenze procreative che è nato questo filone di indagine. Ma, si dice, operare su un embrione significa distruggerlo, e altri rispondono che in natura non sono poi così tanti gli embrioni, anche in fase più avanzata di quella iniziale, che poi giungono a sviluppo, perché la natura è per suo conto abortiva.Si può concludere che era sbagliato comunque fare una legge? Secondo qualcuno sì, secondo altri mancava invece qualche paletto. In effetti questo tipo di terapie, inutile nasconderselo, sono state anche un business, nel quale non tutti entravano esattamente con le carte in regola dal punto di vista clinico e organizzativo e, semmai, si doveva definire per tempo "la buona pratica clinica". E' chiaro che poi se viene alla luce "il caso" della mamma-nonna si ha buon gioco a screditare anche chi opera seriamente o a girare tutto in burletta. Qui è stata un po' carente per qualche tempo l'iniziativa da parte medica.Un altro timore che viene agitato è quello dell'eugenetica, cioè della selezione a priori di embrioni che abbiano le caratteristiche volute. Ma è semplicemente fantascienza, e forse anche gli sceneggiatori di Star Trek considererebbero un plot di questo genere un po' stantio: semplicemente mancano le capacità tecniche posto che vi sia l'interesse.
Quindi gli aspetti principali sono almeno due, quello della ricerca sull'embrione e quello sulla procreazione vera e propria. Per quanto riguarda quest'ultimo aspetto, Robert Edwards, che con Patrick Steptoe portò a compimento la nascita di Louise Brown nel 1978, quando gli si chiedeva se era logico limitare a solo certe persone il ricorso alla FIVET, rispondeva che non capiva "those horrible No-men". Gli orribili signori "no". Ma è un po' semplice. Probabilmente, come in molti casi bioetici, vale quel che raccontò al Congresso mondiale di chirurgia svoltosi a Milano nel 1989 un'assistente sociale francese, impegnata nel comitato etico di un ospedale. "Io non so se su questa o quella questione ha ragione il Papa, o il Rabbino capo, o il Gran Mufti" disse. "Io ascolto singole persone con singoli problemi, cerco di avere le orecchie più grandi della bocca". Le leggi, insomma dovrebbero consentire finché possibile, di poter risolvere questi singoli problemi di singole persone, non necessariamente tutte uguali.
Maurizio Imperiali
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La ricerca viene dopo la procreazione
Di qui parte la questione della ricerca sugli embrioni, perché è proprio sulle uova fecondate "in sovrappiù" rispetto alle esigenze procreative che è nato questo filone di indagine. Ma, si dice, operare su un embrione significa distruggerlo, e altri rispondono che in natura non sono poi così tanti gli embrioni, anche in fase più avanzata di quella iniziale, che poi giungono a sviluppo, perché la natura è per suo conto abortiva.Si può concludere che era sbagliato comunque fare una legge? Secondo qualcuno sì, secondo altri mancava invece qualche paletto. In effetti questo tipo di terapie, inutile nasconderselo, sono state anche un business, nel quale non tutti entravano esattamente con le carte in regola dal punto di vista clinico e organizzativo e, semmai, si doveva definire per tempo "la buona pratica clinica". E' chiaro che poi se viene alla luce "il caso" della mamma-nonna si ha buon gioco a screditare anche chi opera seriamente o a girare tutto in burletta. Qui è stata un po' carente per qualche tempo l'iniziativa da parte medica.Un altro timore che viene agitato è quello dell'eugenetica, cioè della selezione a priori di embrioni che abbiano le caratteristiche volute. Ma è semplicemente fantascienza, e forse anche gli sceneggiatori di Star Trek considererebbero un plot di questo genere un po' stantio: semplicemente mancano le capacità tecniche posto che vi sia l'interesse.
Problemi individuali
Quindi gli aspetti principali sono almeno due, quello della ricerca sull'embrione e quello sulla procreazione vera e propria. Per quanto riguarda quest'ultimo aspetto, Robert Edwards, che con Patrick Steptoe portò a compimento la nascita di Louise Brown nel 1978, quando gli si chiedeva se era logico limitare a solo certe persone il ricorso alla FIVET, rispondeva che non capiva "those horrible No-men". Gli orribili signori "no". Ma è un po' semplice. Probabilmente, come in molti casi bioetici, vale quel che raccontò al Congresso mondiale di chirurgia svoltosi a Milano nel 1989 un'assistente sociale francese, impegnata nel comitato etico di un ospedale. "Io non so se su questa o quella questione ha ragione il Papa, o il Rabbino capo, o il Gran Mufti" disse. "Io ascolto singole persone con singoli problemi, cerco di avere le orecchie più grandi della bocca". Le leggi, insomma dovrebbero consentire finché possibile, di poter risolvere questi singoli problemi di singole persone, non necessariamente tutte uguali.
Maurizio Imperiali
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