01 dicembre 2006
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Tecnologie da rivedere
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Le speranze di molti ostetrici andranno deluse dopo che uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine ha concluso come l'ossimetria fetale non sia associata a una riduzione del tasso di parti cesarei ne a un miglioramento delle condizioni dei neonati. Anche se lo studio nello stesso tempo aiuterà molte donne e molti neonati, dispensandoli dal ricorso a una procedura invasiva e a questo punto non sempre utile. Il dispositivo che serve a monitorare la saturazione dell'ossigeno del feto, è caratterizzato da un sensore che introdotto nell'utero si appoggia sulla faccia del bambino ed è molto utilizzato nei reparti di ginecologia, dove ormai macchinari di ogni tipo per il monitoraggio della gravidanza la fanno da padroni. Ma sono sempre utili? Nel caso specifico sembrerebbe di no, e non è la prima volta come spiega un editoriale di supporto allo studio.
La notizia, spiega l'editoriale, non è poi così negativa, si è, infatti, verificato che una nuova tecnologia non è poi così provvidenziale e si eviterà, come succede con altre tecnologie, di utilizzarle in modo acritico e con grossa spesa. L'ossimetro è stato inizialmente pensato per l'uso con il monitoraggio della frequenza cardiaca fetale, che è utilizzata nell'85% delle nascite negli Stati Uniti. Ma anche il monitoraggio cardiaco è piuttosto controverso. Da che viene utilizzato, infatti, cioè a partire dagli anni '70, ha portato a un numero più alto di cesarei ma non a bambini più sani. L'effetto del monitoraggio indiscriminato ha generato, cioè, molti falsi allarmi. L'idea di partenza, perciò, era che abbinando anche la valutazione dell'ossigeno fetale la situazione sarebbe migliorata, avendo un quadro più completo della situazione fetale. Un'idea molto stuzzicante. Ma il timore, a questo punto fondato, che si utilizzasse una tecnologia prima di averla testata a sufficienza, è stato da subito molto diffuso. Quando peraltro il dispositivo è stato approvato e successivamente messo sul mercato nel 2000, la condizione era che ci sarebbero state ulteriori ricerche. E le risposte sono arrivate puntualmente.
Lo studio ha preso in considerazione 5341 donne nullipare in gravidanza, o più precisamente nel travaglio iniziale di una gravidanza a termine. Le donne sono state divise in due gruppi: uno sottoposto alla misurazione dell'ossimetria fetale in aperto, l'altro mascherata. Ossia nel primo gruppo i valori erano visibili per il medico, nel secondo invece il sensore è stato inserito e i dati registrati ma senza che fossero visibili per il medico. Ebbene non è stata osservata una differenza significativa nel tasso complessivo di parti cesarei fra il gruppo in aperto e quello mascherato e lo stesso vale per quelli associati a indicazioni di ritmo cardiaco fetale non compensato. In più neanche la condizione generale dei neonati differiva significativamente. Come a dire che il monitoraggio della saturazione dell'ossigeno fetale non è associato ne a una riduzione del tasso di parti cesarei ne a un miglioramento delle condizioni di vita. Una vera doccia fredda. Al punto che l'azienda produttrice ha interrotto la produzione. Un po' quello che è successo con ritardo per il monitoraggio cardiaco: sembrava una panacea per gli episodi di paralisi cerebrale neonatale, ma ha fallito in questo obiettivo. Il dibattito in campo ginecologico è aperto. L'editorialista in modo provocatorio sostiene che l'ideale sarebbe tornare all'infermiera con lo stetoscopio. Un'esagerazione probabilmente, visto che una delle autrici dello studio è convinta che si troveranno nuove applicazioni. Indietro non si torna.
Marco Malagutti
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Le premesse
La notizia, spiega l'editoriale, non è poi così negativa, si è, infatti, verificato che una nuova tecnologia non è poi così provvidenziale e si eviterà, come succede con altre tecnologie, di utilizzarle in modo acritico e con grossa spesa. L'ossimetro è stato inizialmente pensato per l'uso con il monitoraggio della frequenza cardiaca fetale, che è utilizzata nell'85% delle nascite negli Stati Uniti. Ma anche il monitoraggio cardiaco è piuttosto controverso. Da che viene utilizzato, infatti, cioè a partire dagli anni '70, ha portato a un numero più alto di cesarei ma non a bambini più sani. L'effetto del monitoraggio indiscriminato ha generato, cioè, molti falsi allarmi. L'idea di partenza, perciò, era che abbinando anche la valutazione dell'ossigeno fetale la situazione sarebbe migliorata, avendo un quadro più completo della situazione fetale. Un'idea molto stuzzicante. Ma il timore, a questo punto fondato, che si utilizzasse una tecnologia prima di averla testata a sufficienza, è stato da subito molto diffuso. Quando peraltro il dispositivo è stato approvato e successivamente messo sul mercato nel 2000, la condizione era che ci sarebbero state ulteriori ricerche. E le risposte sono arrivate puntualmente.
Lo studio
Lo studio ha preso in considerazione 5341 donne nullipare in gravidanza, o più precisamente nel travaglio iniziale di una gravidanza a termine. Le donne sono state divise in due gruppi: uno sottoposto alla misurazione dell'ossimetria fetale in aperto, l'altro mascherata. Ossia nel primo gruppo i valori erano visibili per il medico, nel secondo invece il sensore è stato inserito e i dati registrati ma senza che fossero visibili per il medico. Ebbene non è stata osservata una differenza significativa nel tasso complessivo di parti cesarei fra il gruppo in aperto e quello mascherato e lo stesso vale per quelli associati a indicazioni di ritmo cardiaco fetale non compensato. In più neanche la condizione generale dei neonati differiva significativamente. Come a dire che il monitoraggio della saturazione dell'ossigeno fetale non è associato ne a una riduzione del tasso di parti cesarei ne a un miglioramento delle condizioni di vita. Una vera doccia fredda. Al punto che l'azienda produttrice ha interrotto la produzione. Un po' quello che è successo con ritardo per il monitoraggio cardiaco: sembrava una panacea per gli episodi di paralisi cerebrale neonatale, ma ha fallito in questo obiettivo. Il dibattito in campo ginecologico è aperto. L'editorialista in modo provocatorio sostiene che l'ideale sarebbe tornare all'infermiera con lo stetoscopio. Un'esagerazione probabilmente, visto che una delle autrici dello studio è convinta che si troveranno nuove applicazioni. Indietro non si torna.
Marco Malagutti
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