15 aprile 2005
Aggiornamenti e focus
Per la culla c'è molto da fare
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Il progresso è continuo, la tecnologia fa passi da gigante eppure le cifre che descrivono la salute di alcune categorie di persone continuano a essere agghiaccianti se rapportate alla realtà attuale. Le stime arrivano puntuali dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che nel Rapporto mondiale sulla salute 2005, riporta cifre da capogiro già solo per quello che riguarda la salute, e quindi la vita, di madri, neonati e bambini. Si parla di centinaia di milioni di donne e bambini che non hanno accesso a cure che potrebbero, almeno potenzialmente salvare le loro vite.
Sono 530 mila le donne che ogni anno muoiono in gravidanza o durante il parto, più di tre milioni di bambini nascono morti, più di quattro milioni di neonati muoiono nel primo giorno di vita o nella prima settimana; e al primo anno di vita mancano all'appello già 10,6 milioni di bambini. Secondo il rapporto dell'OMS, quasi il 90% dei decessi dei bambini sotto i cinque anni sono riconducibili a poche condizioni patologiche. Il 37% di questi casi si spiega con malattie acute neonatali, nascita pretermine, infezioni e asfissia; il 19% con infezioni delle basse vie respiratorie , per lo più polmonite; il 18% con diarrea; l'8% con la malaria; il 4% con il morbillo; il 3% con HIV e AIDS. Salta all'occhio subito non si tratta né di malattie rare, né tanto meno - con l'eccezione dell'AIDS - incurabili, anzi tutt'altro; la maggior parte di queste morti infatti si eviterebbero con interventi terapeutici gia disponibili, semplici e di provata efficacia: antibiotici, reidratazione, insetticidi, vitamine, vaccinazioni, allattamento al seno, assistenza specializzata durante la gravidanza e il parto. Nelle aree rurali più depresse il primo motivo per cui le madri sono escluse dalle cure salva-vita durante il parto è proprio la mancanza di assistenza specializzata e di ostetriche. In uno studio su 2,7 milioni di parti in paesi in via di sviluppo, solo il 32% delle donne riceveva i trattamenti salva-vita di cui avevano bisogno alla nascita del bambino. Ma le difficoltà sussistono anche per l'interruzione volontaria della gravidanza: più di 18 milioni di aborti in un anno vengono eseguiti da mani non esperte o in ambienti non idonei, che mancano degli standard sanitari minimi. Già solo per questo motivo sono 68 mila le donne che muoiono ogni anno.
L'attenzione del rapporto è spostata ovviamente verso i paesi in via di sviluppo, dove i progressi nell'ambito della salute materna e infantile è stagnante o addirittura in regressione. In queste aree meno della metà delle madri e dei neonati riceve cure. Ma insieme al rapporto è stato anche presentato un progetto "Make every mother and child count", cioè "fare contare" ogni madre e ogni bambino e capire quali sono gli ostacoli che le donne devono affrontare nel momento più delicato e vulnerabile della loro vita, e nei mesi che seguono. Ciò che ne emerge in prima battuta è che in molti paesi sono proprio queste le categorie che vengono escluse dai servizi sanitari di base, quelli che assicurerebbero quanto meno la sopravvivenza. E' come se essere donna o essere poveri fosse una ragione per essere discriminati e quindi subire abusi, vedersi negare i trattamenti, ricevere poche spiegazioni sulle procedure eseguite. Sempre secondo il rapporto, questo potrebbe essere il risultato di un pregiudizio degli operatori sanitari che a volte considerano le donne ignoranti e quindi incapaci di comprendere. Una battaglia, dunque, che non richiede soltanto farmaci e strutture, ma anche formazione per medici e personale assistenziale.
Simona Zazzetta
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...e inoltre su Dica33:
Morti evitabili
Sono 530 mila le donne che ogni anno muoiono in gravidanza o durante il parto, più di tre milioni di bambini nascono morti, più di quattro milioni di neonati muoiono nel primo giorno di vita o nella prima settimana; e al primo anno di vita mancano all'appello già 10,6 milioni di bambini. Secondo il rapporto dell'OMS, quasi il 90% dei decessi dei bambini sotto i cinque anni sono riconducibili a poche condizioni patologiche. Il 37% di questi casi si spiega con malattie acute neonatali, nascita pretermine, infezioni e asfissia; il 19% con infezioni delle basse vie respiratorie , per lo più polmonite; il 18% con diarrea; l'8% con la malaria; il 4% con il morbillo; il 3% con HIV e AIDS. Salta all'occhio subito non si tratta né di malattie rare, né tanto meno - con l'eccezione dell'AIDS - incurabili, anzi tutt'altro; la maggior parte di queste morti infatti si eviterebbero con interventi terapeutici gia disponibili, semplici e di provata efficacia: antibiotici, reidratazione, insetticidi, vitamine, vaccinazioni, allattamento al seno, assistenza specializzata durante la gravidanza e il parto. Nelle aree rurali più depresse il primo motivo per cui le madri sono escluse dalle cure salva-vita durante il parto è proprio la mancanza di assistenza specializzata e di ostetriche. In uno studio su 2,7 milioni di parti in paesi in via di sviluppo, solo il 32% delle donne riceveva i trattamenti salva-vita di cui avevano bisogno alla nascita del bambino. Ma le difficoltà sussistono anche per l'interruzione volontaria della gravidanza: più di 18 milioni di aborti in un anno vengono eseguiti da mani non esperte o in ambienti non idonei, che mancano degli standard sanitari minimi. Già solo per questo motivo sono 68 mila le donne che muoiono ogni anno.
Cure discriminatorie
L'attenzione del rapporto è spostata ovviamente verso i paesi in via di sviluppo, dove i progressi nell'ambito della salute materna e infantile è stagnante o addirittura in regressione. In queste aree meno della metà delle madri e dei neonati riceve cure. Ma insieme al rapporto è stato anche presentato un progetto "Make every mother and child count", cioè "fare contare" ogni madre e ogni bambino e capire quali sono gli ostacoli che le donne devono affrontare nel momento più delicato e vulnerabile della loro vita, e nei mesi che seguono. Ciò che ne emerge in prima battuta è che in molti paesi sono proprio queste le categorie che vengono escluse dai servizi sanitari di base, quelli che assicurerebbero quanto meno la sopravvivenza. E' come se essere donna o essere poveri fosse una ragione per essere discriminati e quindi subire abusi, vedersi negare i trattamenti, ricevere poche spiegazioni sulle procedure eseguite. Sempre secondo il rapporto, questo potrebbe essere il risultato di un pregiudizio degli operatori sanitari che a volte considerano le donne ignoranti e quindi incapaci di comprendere. Una battaglia, dunque, che non richiede soltanto farmaci e strutture, ma anche formazione per medici e personale assistenziale.
Simona Zazzetta
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