Virus scaccia virus

01 dicembre 2006
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Virus scaccia virus



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Quando i farmaci non assolvono più il loro compito bisogna ingegnarsi per mettere l’organismo malato nelle condizioni di potersi proteggere e magari anche autoguarire. In questa direzione vanno le ricerche che tentano di ingegnerizzare cellule autologhe, di solito del sistema immunitario, per armarle contro il patogeno, di solito un virus. Tentativi in questo senso sono stati fatti con il virus dell’Aids, l’HIV, con metodi che sfruttano la capacità dei vettori di natura virale di trasportare geni dentro le cellule da modificare. Tutto ciò, ovviamente, dopo averli resi inoffensivi per l'uomo, a quel punto si presentano come ideali macchine per il trasporto di geni esogeni.

Armi ben nascoste


I vettori virali impiegati per tentare di curare la malattia sono retrovirus, cioè virus che per struttura e comportamento sono simili all’HIV. Tra questi, in alcuni esperimenti sono stati usati i lentivirus. Oltre che renderli innocui, i vettori vanno anche modificati per renderli funzionali all’obiettivo. In studi preclinici, cioè senza sperimentazione sull’uomo, alcuni ricercatori sono riusciti a sviluppare un sistema per implementare colture di cellule T del sistema immunitario (linfociti) e un lentivirus contenente una lunga sequenza genica antisenso per l’envelope, cioè l’involucro esterno dell’HIV. Il ruolo di una sequenza antisenso è quello di annullare l’attività biologica dei frammenti di RNA (il materiale genetico dei retrovirus) impedendo la codificazione del prodotto genico, in questo caso l’envelope virale. Il lentivirus così modificato è stato chiamato VRX496. Essendo una fase ancora precoce della ricerca, per ora i ricercatori non sono ancora alla ricerca dell’efficacia ma in primo luogo della fattibilità del metodo utilizzando cellule T autologhe, di quanto il vettore persiste nell’organismo ospite. E soprattutto della sua sicurezza.

Questione di punti di vista


La sperimentazione è stata svolta su cinque pazienti, con infezione da HIV resistente alle terapie antiretrovirali, con una carica virale di oltre 5000 copie per ml e conteggio di linfociti T CD4+ tra 200 e 500 unità per mm3. Le CD4+ autologhe modificate sono state infuse nel paziente in dose singola e a distanza prima di pochi giorni, poi di mesi, i pazienti sono stati monitorati. Nell'arco di nove mesi non sono stati registrati eventi avversi, a sostegno della sicurezza del vettore e del metodo, e alcuni dei timori si sono dimostrati infondati. Come, per esempio, la possibilità che il lentivirus tornasse a essere competente e capace di replicare, oppure la sua mobilizzazione, cioè la disseminazione del lentivirus nell'ospite. Inoltre è stata osservata una persistenza a lungo termine delle cellule T modificate.
Anche se non cercate, sono state notate evidenze di miglioramento nella salute di alcuni pazienti, in quattro c'è stata una risposta cellulare all'infezione e tre hanno migliorato la memoria immunitaria delle cellule T. Solo in uno dei pazienti si è verificata una robusta risposta antivirale con un calo della carica virale.
I risultati ottenuti si possono guardare da un duplice punto di vista. Da quello clinico non si solleva certo entusiasmo, perché il successo su un solo paziente non è assolutamente sufficiente per dimostrare l'efficacia, per di più, neanche gli autori sono in grado di spiegare bene i meccanismi biologici. Dal punto di vista della ricerca di base, invece i risultati di sicurezza sono un punto a favore e incoraggiano a proseguire la ricerca.

Simona Zazzetta



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