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01 giugno 2004
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L'epatite è una malattia infiammatoria provocata da virus che aggrediscono le cellule del fegato. In particolare l'epatite C si trasmette attraverso il contatto con sangue infetto che può avvenire accidentalmente o per scambio di aghi o oggetti che perforano la pelle infetti. "In realtà - sostiene Antonio Craxì dell'Istituto di Clinica Medica Cattedra di Gastroenterologia Università degli Studi di Palermo - ogni qualvolta la pelle viene lesa o perforata si apre ai virus una via di trasmissione. Certamente esistono comportamenti a rischio che devono essere resi noti ed evitati. Sono stati documentati almeno tre casi di epatite causati da iniezioni eseguite con siringhe monouso riempite però dalla stessa fiala".

L'epatite C può comparire in forma acuta o cronica. Dopo due settimane dal probabile inoculo del virus o dal comportamento a rischio è possibile fare il dosaggio del virus nel sangue e ripeterlo dopo 15 giorni. Se entro un mese dall'infezione la concentrazione di virus nel sangue diminuisce la prognosi di guarigione è certa nel 90% dei casi. Se al terzo mese il calo non si verifica si tratta di una forma cronica. "Già a questo punto è possibile ed è importante intervenire - afferma Massimo Colombo del Dipartimento Malattie dell'Apparato Digerente ed Endocrinologia dell'Ospedale Maggiore Policlinico - la terapia precoce assicura il successo nel 50% dei pazienti."
Per migliorare l'efficacia della terapia e la percentuale di successi nella forma cronica è necessaria la collaborazione del medico di medicina di base che deve affiancare il lavoro dei centri specializzati. Ma raggiungere questo obiettivo è il medico di famiglia stesso che deve liberarsi di certe convinzioni e credenze popolari che spesso spingono a consigliare una vita anche troppo morigerata, quando in realtà l'unico veto è imposto sul consumo di alcol.

Cura facilitata


Il medico di famiglia è certamente più vicino al paziente e quindi in grado di sostenerlo nella cura a base di interferone alfa che provoca affaticamento e vulnerabilità emotiva. La somministrazione del farmaco è anche complicata da un dosaggio che deve essere tarato in funzione del peso, così che il 30-40% dei malati ha bisogno dell'aiuto dei familiari. Per risolvere l'inconveniente è stato recentemente messo in commercio un dispositivo simile a una penna contenente la dose necessaria per la somministrazione. Grazie a un ghiera con i riferimenti per il peso corporeo è possibile dosare il farmaco con un gesto molto semplice, il dispositivo è dotato di un piccolo ago e provvede a eliminare anche l'aria dal preparato. In questo modo l'interferone alfa può essere assunto con più facilità, con minor spreco dando la possibilità di una maggiore aderenza alla terapia.

Quale interferone?


Gli interferoni si somministrano per via parenterale, gli alfa sia intramuscolo sia endovena. Il farmaco innesca nelle cellule bersaglio una serie di reazioni a catena che attaccano il virus su due fronti: demoliscono l'RNA messaggero virale, quindi uccidono il virus quando si sta replicando, e inattivano la sintesi proteica virale, processo indispensabile per la sopravvivenza del virus stesso.
"Attualmente sono disponibili in commercio due molecole di interferone - prosegue Colombo - con la stessa indicazione, ma non sono stati fatti studi comparativi randomizzati prima della loro commercializzazione". Vale a dire che non è stato provato se, dando i due farmaci a caso a un campione di pazienti, ci sia una differenza di efficacia. E una volta che il farmaco è in vendita la legge vieta questo tipo di disegno sperimentale. Massimo Colombo ha dichiarato di aver inoltrato una richiesta di autorizzazione per allestire questo tipo di studio ma per ora il Ministero della Salute non ha dato segnali.

Simona Zazzetta



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