05 ottobre 2007
Aggiornamenti e focus
Delicata diagnosi della B
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Se i nuovi casi di epatite B fortunatamente sono più rari, quantomeno in Italia e in genere dove si procede alla vaccinazione, resta il fatto che esiste un numero non trascurabile di persone che soffrono della malattia cronica. Oggi la disponibilità di trattamenti antivirali efficaci consente di modificare significativamente il decorso della malattia, a patto di attuare un attento monitoraggio dei marker epatici e della carica virale. Lo conferma, in un'intervista, Gaetano Ideo, epatologo clinico, autore di oltre 400 pubblicazioni. "La vaccinazione resa obbligatoria dal 1991 ai neonati e ai ragazzi di 12 anni ha permesso di evitare un gran numero di epatiti nei bambini, che rischiano di infettarsi all'asilo, e nei giovani con i primi rapporti sessuali. Tuttavia, ancora un relativamente alto numero di persone che non sono rientrate nella categoria dei soggetti sottoposti a vaccinazione obbligatoria e non l'hanno eseguita volontariamente, si infettano con il virus dell'epatite B per attività sessuale a rischio, manicure, pedicure e, sia pure più raramente, dopo interventi sanitari invasivi, come quelli odontoiatrici, chirurgici o endoscopici" spiega Idéo.
Quindi, anche nell'epatite B come in molte altre malattie croniche è fondamentale la tempestività della diagnosi, anche se in alcuni casi non è semplice e, come spiega il professor Idéo, l'importanza dei diversi marcatori e le stesse definizioni stanno cambiando. "Nella diagnosi di epatite B cronica, oltre alla valutazione dei livelli di transaminasi, sono essenziali la ricerca di specifici antigeni e anticorpi e la quantizzazione del genoma virale nel plasma dell'ospite. Si può, quindi, formulare diagnosi di epatite B cronica se si osserva un persistente o intermittente incremento delle transaminasi; se la ricerca dell'HBsAg è positiva per almeno 6 mesi e se le immunoglobuline specifiche per l'HBcAb sono elevate. Per quanto riguarda, invece, l'antigene "e" e il rispettivo anticorpo HbeAb essi possono essere positivi o negativi. Infine, il DNA del virus B deve essere persistentemente o intermittentemente superiore alle 20.000UI/ml, anche se a volte si osserva malattia evolutiva anche con quantitativo di HBVDNA costantemente inferiore a 20.000 UI/ml". Un tempo, poi si parlava di portatori sani mentre oggi la definizione è "portatori inattivi", e si tratta delle persone, circa il 30% di quelli positivi per l'HbsAg, che presentano costantemente transaminasi normali e DNA virale non determinabile o valori estremamente bassi, con IGM antiHBc negativi. E' importante tenere sotto controllo anche i portatori inattivi, in quanto alcuni di questi soggetti possono presentare delle riattivazioni della malattia.
Negli ultimi anni, comunque, si è avuta anche un'evoluzione dei mezzi diagnostici, per quanto riguarda la ricerca del DNA del virus ma anche per altri aspetti. "La ricerca del DNA virale è sicuramente una strategia diagnostica efficace. E' da sottolineare, però, la diversa sensibilità dei metodi che valutano la quantità di HBVDNA nel siero: alcune metodiche hanno, infatti, un limite inferiore intorno al valore di 200.000 U.I/ml, mentre il test PCR (Polymerase Chain Reaction) ha un limite inferiore a 20-200 U.I./ml e risulta perciò molto utile". Una vera innovazione, invece, è giunta nel campo della diagnosi istologica: si tratta di un dispositivo chiamato Fibroscan, proposto nel 2004, che esegue un esame che ricorda l'ecografia. "Si tratta, infatti, di una strumentazione dotata di una sonda, che viene appoggiata sulla cute in corrispondenza del lobo destro del fegato. Questa sonda emette una vibrazione meccanica che "viaggia" all'interno del fegato con una velocità tanto maggiore quanto è più estesa la fibrosi" spiega l'epatologo. "La sonda è collegata a un computer che calcola la velocità con cui le vibrazioni meccaniche si spostano nel fegato e le traduce in un numero che, confrontato con la biopsia epatica (soprattutto in corso di epatite cronica C), ha rivelato una concordanza di risultati per quanto riguarda la fibrosi epatica. Infatti, è assai utile valutare nei pazienti quanto sia estesa la fibrosi per conoscere a quale stadio di malattia sia giunto il fegato e in molti casi per decidere se consigliare un trattamento, ed è ovviamente auspicabile controllare nel tempo l'eventuale velocità di peggioramento della fibrosi per formulare una prognosi precisa del paziente. Questo perchè tutte le malattie croniche del fegato indipendentemente dalle cause che le hanno provocate (virus, alcol, autoimmunità, ecc.) inducono sofferenza e distruzione delle cellule epatiche che vengono sostituite da tessuto cicatriziale, con comparsa cioè di fibrosi. Più la malattia è aggressiva e più si prolunga nel tempo, più le cicatrici aumentano fino all'evoluzione in cirrosi, dove sono presenti anche noduli di rigenerazione epatica non funzionanti".
Il nuovo esame probabilmente non sostituisce del tutto la biopsia, conclude Idéo, in quanto questa può anche valutare il grado di infiammazione, di necrosi e la quantità di grasso presente nell'organo, ma può limitarne l'uso determinando il grado di fibrosi, la sua progressione nel tempo e l'eventuale miglioramento dovuto alle cure.
Ilaria Ponte
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Diagnosi tempestiva
Quindi, anche nell'epatite B come in molte altre malattie croniche è fondamentale la tempestività della diagnosi, anche se in alcuni casi non è semplice e, come spiega il professor Idéo, l'importanza dei diversi marcatori e le stesse definizioni stanno cambiando. "Nella diagnosi di epatite B cronica, oltre alla valutazione dei livelli di transaminasi, sono essenziali la ricerca di specifici antigeni e anticorpi e la quantizzazione del genoma virale nel plasma dell'ospite. Si può, quindi, formulare diagnosi di epatite B cronica se si osserva un persistente o intermittente incremento delle transaminasi; se la ricerca dell'HBsAg è positiva per almeno 6 mesi e se le immunoglobuline specifiche per l'HBcAb sono elevate. Per quanto riguarda, invece, l'antigene "e" e il rispettivo anticorpo HbeAb essi possono essere positivi o negativi. Infine, il DNA del virus B deve essere persistentemente o intermittentemente superiore alle 20.000UI/ml, anche se a volte si osserva malattia evolutiva anche con quantitativo di HBVDNA costantemente inferiore a 20.000 UI/ml". Un tempo, poi si parlava di portatori sani mentre oggi la definizione è "portatori inattivi", e si tratta delle persone, circa il 30% di quelli positivi per l'HbsAg, che presentano costantemente transaminasi normali e DNA virale non determinabile o valori estremamente bassi, con IGM antiHBc negativi. E' importante tenere sotto controllo anche i portatori inattivi, in quanto alcuni di questi soggetti possono presentare delle riattivazioni della malattia.
Novità nello screening
Negli ultimi anni, comunque, si è avuta anche un'evoluzione dei mezzi diagnostici, per quanto riguarda la ricerca del DNA del virus ma anche per altri aspetti. "La ricerca del DNA virale è sicuramente una strategia diagnostica efficace. E' da sottolineare, però, la diversa sensibilità dei metodi che valutano la quantità di HBVDNA nel siero: alcune metodiche hanno, infatti, un limite inferiore intorno al valore di 200.000 U.I/ml, mentre il test PCR (Polymerase Chain Reaction) ha un limite inferiore a 20-200 U.I./ml e risulta perciò molto utile". Una vera innovazione, invece, è giunta nel campo della diagnosi istologica: si tratta di un dispositivo chiamato Fibroscan, proposto nel 2004, che esegue un esame che ricorda l'ecografia. "Si tratta, infatti, di una strumentazione dotata di una sonda, che viene appoggiata sulla cute in corrispondenza del lobo destro del fegato. Questa sonda emette una vibrazione meccanica che "viaggia" all'interno del fegato con una velocità tanto maggiore quanto è più estesa la fibrosi" spiega l'epatologo. "La sonda è collegata a un computer che calcola la velocità con cui le vibrazioni meccaniche si spostano nel fegato e le traduce in un numero che, confrontato con la biopsia epatica (soprattutto in corso di epatite cronica C), ha rivelato una concordanza di risultati per quanto riguarda la fibrosi epatica. Infatti, è assai utile valutare nei pazienti quanto sia estesa la fibrosi per conoscere a quale stadio di malattia sia giunto il fegato e in molti casi per decidere se consigliare un trattamento, ed è ovviamente auspicabile controllare nel tempo l'eventuale velocità di peggioramento della fibrosi per formulare una prognosi precisa del paziente. Questo perchè tutte le malattie croniche del fegato indipendentemente dalle cause che le hanno provocate (virus, alcol, autoimmunità, ecc.) inducono sofferenza e distruzione delle cellule epatiche che vengono sostituite da tessuto cicatriziale, con comparsa cioè di fibrosi. Più la malattia è aggressiva e più si prolunga nel tempo, più le cicatrici aumentano fino all'evoluzione in cirrosi, dove sono presenti anche noduli di rigenerazione epatica non funzionanti".
Il nuovo esame probabilmente non sostituisce del tutto la biopsia, conclude Idéo, in quanto questa può anche valutare il grado di infiammazione, di necrosi e la quantità di grasso presente nell'organo, ma può limitarne l'uso determinando il grado di fibrosi, la sua progressione nel tempo e l'eventuale miglioramento dovuto alle cure.
Ilaria Ponte
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