Stare all'erta contro l'epatite B

25 giugno 2008
Aggiornamenti e focus

Stare all'erta contro l'epatite B



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Contro l'epatite B occorre rialzare la guardia. E' un indubbio successo il continuo calo dei tassi d'infezione dagli anni Ottanta: merito della vaccinazione, che l'Italia per prima ha reso obbligatoria nel 1991 in neonati e dodicenni venendo in seguito copiata da altri, e poi dello screening sul sangue, dell'uso di materiale sanitario a perdere, di una certa prudenza di comportamenti con l'insorgere della paura dell'AIDS. La prevalenza infatti è scesa dal 2,4-3% degli anni Settanta allo 0,8% degli anni recenti. "La popolazione sopra i 29 anni d'età, che aveva cioè più di 12 anni nel 1991, non ha ricevuto la protezione" spiega Massimo Colombo, direttore 1° Divisione di Gastroenterologia del Policlinico, Mangiagalli, Regina Elena di Milano, in un incontro sulle strategie terapeutiche di gestione dell'epatite B "perciò, escludendo i molti che venuti a contatto con il virus hanno sviluppato l'anticorpo, milioni di persone restano formalmente esposte. Se il continuo calo d'incidenza e prevalenza dovrebbe rassicurare, negli ultimi anni tuttavia c'è evidenza di una ripresa dell'epatite B, soprattutto trasmessa per via sessuale, cioè quella principale da noi, seguita dall'uso di strumenti contaminati, di droghe per via venosa e di pratiche come piercing e tatuaggi". Va ricordato che il virus dell'epatite B è cento volte più contagioso dell'HIV. "La ripresa sembra dovuta essenzialmente a due motivi" prosegue Colombo. "In parte c'è un calo d'attenzione alla prevenzione legato all'idea che comunque ci si può curare. Inoltre nel nostro paese sono immigrate molte persone provenienti da aree dove l'infezione è endemica, non solo Asia e Africa, ma anche paesi dell'Europa orientale ed ex Unione Sovietica, importanti serbatoi dell'epatite B e anche della Delta che le si associa nel 5% dei casi. Un numero crescente di adulti/anziani non immunizzati viene contagiata sessualmente da portatori dell'infezione e sviluppa una forma acuta che a volte cronicizza. E aumentano casi prima rari, epatiti B croniche antigene e positive, ad alto livello di replicazione virale e quindi contagiosità già in fase precoce (primi 10-15 anni)".

Casi sfuggenti a lungo asintomatici


I nuovi casi si aggiungono ai circa 500 mila portatori cronici di epatite B che si ritiene ci siano nel nostro paese, dei quali almeno metà ha qualche forma di malattia del fegato. La condizione di portatore non significa malattia ma può diventare epatite cronica attiva quando si arriva all'attacco del sistema immunitario che provoca l'infiammazione e i danni successivi. Il rischio è che la forma cronica evolva in cirrosi e altre complicanze, fino all'epatocarcinoma. Il fatto è che molto spesso la malattia non viene diagnosticata per anni o decenni, in quanto resta a lungo asintomatica; solo se progredisce cominciano segni dagli iniziali stanchezza e mancanza d'appetito ai successivi ittero, nausea, urine scure e feci chiare. "Fattori che accelerano il decorso" aggiunge Colombo "sono sesso maschile, età meno giovane, sovrappeso, abuso alcolico, fumo e probabilmente modalità dell'infezione, tipo genetico del virus, co-infezione virale (agente Delta e in quota minore virus dell'epatite C". Una conseguenza dell' "importazione" di nuovi portatori è anche l'arrivo in Italia di genotipi virali diversi, in particolare le nuove epatiti HBeAg positive , invece del genotipo D predominante da noi, vedono in causa il B e il C, asiatici e africani. Questo ha ripercussioni sul piano terapeutico: poiché la risposta ai diversi farmaci cambia, è necessario tipizzare tipizzare geneticamente il virus; inoltre pone il problema di come rivedere la strategia vaccinale, che era rivolta ai soggetti a maggior rischio di cronicizzazione, come i bambini.

Resistenze sul lungo periodo


Quanto a interrompere la progressione con i farmaci attuali è possibile, oltre che con gli interferoni (terapia a tempo) che riducono l'attività virale ma con una buona parte di soggetti non responder e risultati nellungo termine bassi, con gli analoghi di nucleotidi o nucleosidi che vanno però somministrati a tempo indeterminato. "La strategia terapeutica va ben ponderata in base al paziente e al farmaco" sottolinea Stefano Fagioli, direttore USC Gastroenterologia degli Ospedali Riuniti di Bergamo. "Il soggetto più delicato è quello più giovane con decenni di trattamento davanti a sé, per il quale la strategia terapeutica sarà più decisa; vanno poi considerate gravità ed evolutività distinguendo forma HBeAg positiva o negativa, presenza di cirrosi compensata o scompensata. Nel trattamento a lungo termine il rischio è quello delle mutazioni del virus e quindi delle farmaco-resistenze. Si sa che più precocemente e decisamente si abbassa la viremia, cioè il farmaco è potente e rapido, meno probabilmente insorgeranno mutazioni. In quest'ottica si inseriscono molecole di nuova generazione che sembrano più efficaci nell'impedire lo sviluppo di mutazioni virali: come il più recente, tenofovir, che sopprime rapidamente la viremia, con risposte già nel primo anno dell'80% nei pazienti e positivi e del 100% negli e negativi". La nuova opzione è stata appena approvato dall'EMEA per la terapia dell'epatite B cronica sia in soggetti mai trattati sia in malati farmaco-resistenti.

Elettra Vecchia



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