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12 novembre 2004
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Il trapianto di fegato è l'unica alternativa possibile in molte malattie croniche o acute che colpiscono questo organo: dalla cirrosi alcolica all'epatite C cronica all'intossicazione da farmaci. L'intervento è in se ormai di routine, ma finora gli studi al riguardo avevano mostrato che non tutti i pazienti hanno le stesse probabilità di sopravvivenza dopo il trapianto né le stesse probabilità di sopravvivenza dell'organo impiantato. In particolare sembravano svantaggiate le persone che erano avviate all'intervento a causa della cronicizzazione dell'epatite C, che peraltro è la causa più frequente di trapianto di fegato sia negli Stati Uniti sia in Europa.
Questo dato viene oggi smentito da uno studio statunitense, che ha seguito per 12 anni 165 pazienti epatitici che avevano ricevuto un fegato "nuovo". Si tratta di uno studio di grande importanza, che è stato condotto grazie al data-base del National Institute of Digestive and Kidney Diseases, in quanto finora le ricerche si erano fermate a cinque anni dal momento dell'intervento. A lungo termine si è visto che i risultati non sono differenti rispetto alle altre categorie di pazienti. Il dato complessivo mostra che la sopravvivenza a 10 anni, aggiustata per gli altri fattori, è del 64% nelle persone affette da HCV e del 51% per gli altri.

L'impatto del virus finalmente prevedibile


Questo non significa che la presenza del virus non influenzi la situazione, tutt'altro, ma l'effetto dell'HCV può essere ora stimato in anticipo ed è possibile prendere alcune precauzioni. Per esempio, si è visto che l'età avanzata del ricevente e quella del donatore rendono più facile il fallimento, così come un'elevata viremia (presenza di alti livelli di RNA del virus nel sangue del paziente) nel periodo precedente l'intervento o ancora l'assenza di anticorpi IgG contro il Cytomegalovirus. A questi si aggiungono dati di laboratorio di routine come la creatininemia, la bilirubinemia e il tempo di protrombina. In base a questi fattori, tutti facilmente identificabili, è possibile attribuire al candidato un punteggio, così da migliorare la selezione. Infatti l'analisi dei dati ha mostrato che quanti hanno un basso punteggio, cioè un profilo favorevole, mostrano un tasso di mortalità e/o perdita dell'organo a 1 e 5 anni pari al 10 e al 22%, mentre i pazienti con punteggio elevato totalizzano rispettivamente il 22 e il 39%. Questo peraltro non significa necessariamente escludere il paziente dal trapianto, visto che è possibile ovviare almeno ad alcune di queste circostanze sfavorevoli. Nel caso della viremia, per esempio, si può avviare un ciclo di trattamento che la riduca a livelli accettabili prima di procedere. Nel caso di un paziente epatitico anziano, invece, si può attendere la disponibilità di un organo prelevato da un donatore giovane.

I progressi della tecnica


Visto che le donazioni sono cronicamente inferiori alle necessità, qualsiasi elemento che aiuti a renderle più proficue è più che benvenuto. A un utilizzo razionale delle donazioni non contribuisce soltanto l'attenta valutazione dei casi. Anzi, negli ultimi anni si è assistito a una serie di progressi nella tecnica chirurgica che hanno notevolmente migliorato la situazione. Nel caso dei prelievi da cadavere, per cominciare, oggi si riesce con ottimo successo a trattare due riceventi: un adulto e un bambino. Infatti per i bambini è sufficiente poter impiantare il segmento laterale sinistro, mentre la parte restante dell'organo può essere impiantata in un adulto. Se si considera che la mortalità in lista d'attesa in età pediatrica è elevatissima, con punte del 40%, si può capire l'importanza di questa metodica. Peraltro è ormai abbastanza diffusa la creazione di due impianti per due adulti sempre da un solo organo. L'altro grande progresso è costituito dal trapianto da donatore vivente. L'asportazione di una parte dell'organo si è rivelata sicura per il donatore ed efficace per il ricevente. Anzi, siccome si tratta di consanguinei, il rischio di rigetto è drasticamente ridotto: in alcune casistiche si registra la sopravvivenza sia del paziente sia dell'organo al 94%. Anche in questo caso si è cominciato con i riceventi bambini: teoricamente è possibile anche procedere in questo modo anche con gli adulti, ma è chiaro che essendo necessario prelevare una frazione maggiore dell'organo gli ostacoli sono di gran lunga superiori. Il futuro va però nella direzione del trapianto di epatociti, cioè singole cellule epatiche in grado di guidare la rigenerazione dell'organo, e dello xenotrapianto, cioè dell'uso di organi animali. Emtrembi sviluppi ancora alla fase sperimentale

Maurizio Imperiali



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