10 ottobre 2007
Aggiornamenti e focus
Antinfluenzale salva anziani?
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E' ottobre e come sempre si accendono i riflettori sull'influenza, nell'imminenza della stagione della vaccinazione, che è però consigliato effettuare dalla metà di novembre. Quest'anno si chiama Pacifica, è prevista di media intensità e in arrivo dopo Natale ed è veicolata dai ceppi AH1N1 Salomone e B Malesia, insieme all'AH3N2 Wisconsin. Nel frattempo si è riaccesa, anche una disputa scientifica. Quella sull'effettiva protezione salvavita del vaccino proprio nei principali destinatari, gli anziani, che contano i tre quarti dei decessi per complicanze dell'infezione. A lanciare il sasso nello stagno delle certezze sull'anti-influenzale è stato uno studio statunitense pubblicato sul Lancet in cui dopo aver analizzato la letteratura scientifica si sostiene che l'efficacia del vaccino nel ridurre la mortalità legata all'influenza negli over 65 sia in realtà molto inferiore a quanto affermato, e che il reale beneficio resti da accertare. La replica arriva da un altro studio americano appena uscito sul New England Journal of Medicine, che dopo un'indagine ampia per area geografica e arco temporale depone nettamente per la validità dell'immunizzazione nell'anziano, rispetto al rischio di ospedalizzazione per polmonite o influenza e alla mortalità.
Il lavoro sul Lancet osserva innanzitutto che l'efficacia dei vaccini antinfluenzali è stata chiaramente dimostrata in trial controllati contro placebo relativi a giovani adulti, ma pochi hanno incluso soggetti anziani, in particolare sopra i 70 anni. Dall'esame di diversi studi osservazionali, poi, emerge una riduzione del rischio totale di mortalità in inverno nella fascia d'età oltre i 65 pari al 50%: ma gli autori rilevano che questo è in contraddizione con ricerche più recenti che attribuiscono all'influenza circa il 5% dei decessi invernali degli anziani, un decimo del beneficio attribuito all'antinfluenzale. Queste ricerche più recenti non sono in grado di documentare un declino di mortalità dagli anni Ottanta, nonostante negli Usa la copertura vaccinale degli anziani sia aumentata dal 15% fino al 65% attuale. Ci sarebbe quindi una sovrastima dell'efficacia salvavita del vaccino in età avanzata, per mancanza di studi randomizzati e controllati contro placebo condotti negli anziani, e a causa limiti metodologici di quelli condotti in relazione alla selezione dei soggetti e all'analisi statistica che non avrebbe evitato fattori confondenti. Problemi sottolineati nel commento di Tom Jefferson e Carlo Di Pietrantoni, della collaborazione Cochrane che monitora i farmaci, il primo dei quali li aveva già sollevati un anno fa dopo un'ampia revisione dei trial sugli anziani. Ma è proprio sul piano metodologico che trae i suoi punti di forza la ricerca del New England.
Uno dei limiti dei precedenti studi osservazionali, spiega l'editoriale della seconda ricerca, è che hanno preso in considerazione soltanto una o due stagioni influenzali o sono stati condotti in una sola zona, con morbilità che varia a seconda dell'anno e del luogo. Nel nuovo lavoro invece si è analizzato l'effetto della vaccinazione nell'arco di ben dieci stagioni influenzali e in tre diverse aree degli Stati Uniti, studiando 18 coorti di anziani ultra 65enni in case di riposo; nelle tre zone i tassi di vaccinazione erano stati intorno al 58%. Dopo aver valutato una serie di fattori confondenti, soprattutto relativi a eventuali patologie, l'immunizzazione è risultata associata a una diminuzione del 27% del rischio di ospedalizzazione per polmonite o influenza, e a una riduzione del 48% di quello di morte, con andamenti stabili tra sottogruppi di età e rischio. Una leggera diminuzione dell'efficacia nel ridurre i ricoveri c'è stata solo in due anni nei quali si è verificato uno scostamento antigenico tra il vaccino e i ceppi virali circolanti. Si sono considerati anche possibili fattori confondenti non inclusi nel database, in base ai quali ci sarebbe potuta essere una mortalità più bassa tra i vaccinati. Un'ulteriore analisi di sensibilità ha mostrato che anche se un fattore confondente non individuato avesse causato una sovrastima dell'efficacia nell'analisi principale, la vaccinazione avrebbe portato ancora a una riduzione significativa, benché più bassa, delle ospedalizzazioni e delle morti. L'editoriale sottolinea che, pur essendo dubbia l'esatta quantificazione del beneficio in questa fascia d'età, la pericolosità dell'infezione e l'efficacia del vaccino sono inconfutabili, e questo studio è una conferma della strategia dell'immunizzazione antinfluenzale negli anziani; è anche vero che il vaccino inattivato non è la soluzione perfetta e occorrono preparati più immunogenici per questa fascia d'età. A questo punto, salvo prova contraria, resterebbero dunque validi gli obiettivi vaccinali per l'anziano, non ancora raggiunti in America come in Italia.
Elettra Vecchia
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I dubbi di Lancet
Il lavoro sul Lancet osserva innanzitutto che l'efficacia dei vaccini antinfluenzali è stata chiaramente dimostrata in trial controllati contro placebo relativi a giovani adulti, ma pochi hanno incluso soggetti anziani, in particolare sopra i 70 anni. Dall'esame di diversi studi osservazionali, poi, emerge una riduzione del rischio totale di mortalità in inverno nella fascia d'età oltre i 65 pari al 50%: ma gli autori rilevano che questo è in contraddizione con ricerche più recenti che attribuiscono all'influenza circa il 5% dei decessi invernali degli anziani, un decimo del beneficio attribuito all'antinfluenzale. Queste ricerche più recenti non sono in grado di documentare un declino di mortalità dagli anni Ottanta, nonostante negli Usa la copertura vaccinale degli anziani sia aumentata dal 15% fino al 65% attuale. Ci sarebbe quindi una sovrastima dell'efficacia salvavita del vaccino in età avanzata, per mancanza di studi randomizzati e controllati contro placebo condotti negli anziani, e a causa limiti metodologici di quelli condotti in relazione alla selezione dei soggetti e all'analisi statistica che non avrebbe evitato fattori confondenti. Problemi sottolineati nel commento di Tom Jefferson e Carlo Di Pietrantoni, della collaborazione Cochrane che monitora i farmaci, il primo dei quali li aveva già sollevati un anno fa dopo un'ampia revisione dei trial sugli anziani. Ma è proprio sul piano metodologico che trae i suoi punti di forza la ricerca del New England.
Le conferme del New England
Uno dei limiti dei precedenti studi osservazionali, spiega l'editoriale della seconda ricerca, è che hanno preso in considerazione soltanto una o due stagioni influenzali o sono stati condotti in una sola zona, con morbilità che varia a seconda dell'anno e del luogo. Nel nuovo lavoro invece si è analizzato l'effetto della vaccinazione nell'arco di ben dieci stagioni influenzali e in tre diverse aree degli Stati Uniti, studiando 18 coorti di anziani ultra 65enni in case di riposo; nelle tre zone i tassi di vaccinazione erano stati intorno al 58%. Dopo aver valutato una serie di fattori confondenti, soprattutto relativi a eventuali patologie, l'immunizzazione è risultata associata a una diminuzione del 27% del rischio di ospedalizzazione per polmonite o influenza, e a una riduzione del 48% di quello di morte, con andamenti stabili tra sottogruppi di età e rischio. Una leggera diminuzione dell'efficacia nel ridurre i ricoveri c'è stata solo in due anni nei quali si è verificato uno scostamento antigenico tra il vaccino e i ceppi virali circolanti. Si sono considerati anche possibili fattori confondenti non inclusi nel database, in base ai quali ci sarebbe potuta essere una mortalità più bassa tra i vaccinati. Un'ulteriore analisi di sensibilità ha mostrato che anche se un fattore confondente non individuato avesse causato una sovrastima dell'efficacia nell'analisi principale, la vaccinazione avrebbe portato ancora a una riduzione significativa, benché più bassa, delle ospedalizzazioni e delle morti. L'editoriale sottolinea che, pur essendo dubbia l'esatta quantificazione del beneficio in questa fascia d'età, la pericolosità dell'infezione e l'efficacia del vaccino sono inconfutabili, e questo studio è una conferma della strategia dell'immunizzazione antinfluenzale negli anziani; è anche vero che il vaccino inattivato non è la soluzione perfetta e occorrono preparati più immunogenici per questa fascia d'età. A questo punto, salvo prova contraria, resterebbero dunque validi gli obiettivi vaccinali per l'anziano, non ancora raggiunti in America come in Italia.
Elettra Vecchia
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