Per molti ma non per tutti

30 settembre 2005
Aggiornamenti e focus

Per molti ma non per tutti



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Vaccinare si o no? Il dilemma è legittimo per molti genitori italiani. E tra i pediatri la questione non è risolta. C'è, infatti, chi sostiene che la vaccinazione dovrebbe essere estesa a tutti i bambini, e chi, invece, è convinto che vadano vaccinati solo quelli a rischio per condizioni particolari, come asma, cardiopatie e fibrosi cistica, o immunocompromessi. Se ne era occupato anche il Congresso dell'Associazione Culturale Pediatri (ACP), qualche tempo fa, riuscendo a fare chiarezza sull'argomento.

I bambini e l'influenza


Secondo Giorgio Bartolozzi, pediatra fiorentino, è ormai accertato che durante le epidemie d'influenza si verifica un brusco aumento delle visite per i soggetti al di sotto dei 15 anni, insieme a un aumento, altrettanto rapido, del consumo di farmaci (anti-infiammatori non steroidei e antibiotici), di assenze dalla scuola (non è raro che in una classe siano presenti all'acme dell'epidemia meno del 20% dei bambini), di ammissioni in ospedale per l'insorgenza di complicanze, soprattutto a carico delle vie aeree e un incremento nel numero delle morti. L'aspetto caratteristico dell'influenza nel bambino è la sua aspecificità. Spesso, infatti, si presenta con febbre elevata ma senza segni di sofferenza d'organo o d'apparato. Per quel che riguarda, invece, il rischio correlato all'età, i bambini in età inferiore a un anno sono ospedalizzati per malattia attribuibile all'influenza con una frequenza simile a quella dei soggetti adulti ad alto rischio; dopo quest'età, pur diminuendo progressivamente, nei primi 5 anni di vita essa rimane superiore a quella presente nei soggetti fra 5 e 15 anni. Un bambino di meno di 6 mesi ha più probabilità di ricovero per complicanze influenzali circa 25 volte superioririspetto a un bambino fra 5 e 15 anni.

Il bambino "untore"


Un altro aspetto significativo riguarda il bambino come fonte di diffusione del virus. Inevitabilmente, infatti, quando frequenta l'asilo nido o la scuola materna o la scuola elementare, introduce l'infezione influenzale nella famiglia, nella quale a breve distanza si ammalano gli adulti. Lo conferma una prova indiretta raccolta di recente in Giappone dove dal 1962 al 1994 sono stati vaccinati quasi tutti i bambini in età scolare. L'effetto di questa vaccinazione di massa è stata la riduzione dell'incidenza della malattia tra i bambini ma anche nelle persone anziane. Con una prevenzione della mortalità infantile stimata tra i 37000 e i 49000 morti per anno. La sospensione della vaccinazione nel 1994 ha riportato ad un aumento della mortalità per influenza. Il vaccino, così, non solo garantisce una protezione individuale, ma è utile anche come mezzo di prevenzione collettiva. Su questa linea sembrerebbero anche i CDC che hanno esteso, di recente, la raccomandazione alla profilassi ai bambini dai 6 ai 23 mesi e il Ministero della salute italiano che ha affermato nel comunicato stampa di presentazione della campagna ministeriale del 2003 che la vaccinazione "anche nelle persone di tutte le età che desiderano prevenire la malattia e contribuire all'interruzione della catena epidemiologica dell'infezione, determina sostanziali riduzioni della morbosità". Quindi che fare?

Vaccino di massa?

A far luce alla questione ha contribuito il dottor Bartolozzi con il suo intervento al congresso ACP. Non vi è dubbio che i bambini rappresentano una categoria a rischio, visto che al di sotto dei 15 anni rappresentano il 40% dei soggetti che si ammalano d'influenza ogni anno, e che sono i principali diffusori del virus. L'indicazione dell'Accademia Americana di Pediatria è di vaccinare annualmente contro l'influenza tutti i soggetti sani in età inferiore ai 2 anni e tutti i soggetti in età superiore ai 6 mesi che presentino fattori di rischio. In Italia per il momento è ragionevole, però, limitare le vaccinazioni ai gruppi a rischio. Non ci sono, infatti, le dosi di vaccino sufficienti a soddisfare una richiesta maggiore, in attesa del vaccino vivo attenuato per spray nasale già in uso negli Stati Uniti, che potrebbe far riconsiderare la questione. Oltretutto si deve tener conto del sovraccarico di lavoro che si pretenderebbe dai centri autorizzati e dai pediatri già impegnati in altre vaccinazioni, tra l'altro - ha sottolineato Bartolozzi - molto più importanti e urgenti, come quelle per morbillo e rosolia. Per il momento quindi la vaccinazione va elargita con giudizio, limitando l'indicazione a condizioni particolari e lasciando la scelta al pediatra, per i bambini sani, caso per caso.

Marco Malagutti



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