15 giugno 2007
Aggiornamenti e focus
Zanzare globalizzate
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In natura esistono essere viventi talmente abituati ai cambiamenti delle condizioni ambientali che la loro plasticità genetica, fisiologica o comportamentale non è in grado di trovare giovamento, se il cambiamento comporta un miglioramento dell'habitat in cui vivono. Per esempio, se normalmente, per assicurarsi la sopravvivenza della stirpe o della specie, ogni individuo investe molto nella prole, quando le condizioni in cui avviene la riproduzione diventano favorevoli, una florida proliferazione è più che assicurata.
Sulla base di questo principio biologico si possono spiegare gli andamenti della diffusione di insetti, microrganismi e malattie. Una triade ben consolidata che ha saputo trarre vantaggio dai mutamenti climatici orientati verso la tropicalizzazione dei climi temperati.
Il primo anello di questa catena, gli insetti, sono organismi che rispondono molto bene a questo schema di adattamento, in particolare le specie che devono adattarsi a climi più caldi non fanno altro che spostare verso livelli maggiori il tasso massimo di crescita della popolazione. Con una rapidità e una prontezza rilevata da diversi studi che hanno dimostrato che per questi animali warmer is better. E quando ad avvantaggiarsene sono zanzare il problema oltre che ambientale può diventare anche di pubblica sanità. Sono insetti che in sé rappresentano un problema fastidioso in quanto provocano una reazione allergica pruriginosa nel punto in cui pungono. Ma la questione prende dimensioni più ampie e più pericolose quando a pungere sono specie che trasmettono malattie come malaria, febbre gialla, Dengue, filariosi, leishmaniosi. Non è un caso quindi che, secondo il World Health Report, un documento pubblicato ogni anno dall'Organizzazione mondiale della sanità, i cambiamenti climatici sono, almeno per ora, responsabili del 2% di tutti i casi di malaria, del 6% se si restringe ai paesi a medio reddito e del 7% dei casi di febbre di Dengue in alcuni paesi industrializzati.
Normalmente si tratta di malattie che hanno sempre interessato aree tropicali e paesi in via di sviluppo o comunque con scarse condizioni igieniche. Il resto del mondo quindi si è sempre sentito al sicuro, nella convinzione di conoscere e di poter controllare queste patologie. Ma alcune di queste certezze potrebbero crollare, soprattutto quando gli agenti patogeni e i vettori che diffondono la malattia sono strettamente correlati alle condizioni climatiche e alla disponibilità di acqua. L'aumento della temperatura e delle piogge, inatteso in certe aree geografiche, espone la popolazione locale al rischio di proliferazione dei patogeni e/o dei loro vettori. La variazione di uno degli elementi del ciclo vitale dell'agente eziologico comporterebbe una variazione dell'epidemiologia della malattia e quindi una perdita del controllo da parte degli strumenti oggi efficaci per combatterla.
La preoccupazione dei ricercatori, per altro, è l'adattamento evolutivo, cioè un cambiamento più radicale nelle specie che consolida per esempio le caratteristiche della specie o la catena alimentare. Anche perchè l'adattamento biochimico a temperature più calde non è l'unica risposta al riscaldamento del clima, per esempio alcune specie possono evadere le temperature più alte spostandosi verso habitat più freschi o alterare il normale avvicendamento delle attività stagionali. Ammesso che reggano al riscaldamento terrestre, che non si arrivi ad avere la malaria anche ai Poli?
Simona Zazzetta
Salute oggi:
...e inoltre su Dica33:
Sulla base di questo principio biologico si possono spiegare gli andamenti della diffusione di insetti, microrganismi e malattie. Una triade ben consolidata che ha saputo trarre vantaggio dai mutamenti climatici orientati verso la tropicalizzazione dei climi temperati.
Più caldo è meglio
Il primo anello di questa catena, gli insetti, sono organismi che rispondono molto bene a questo schema di adattamento, in particolare le specie che devono adattarsi a climi più caldi non fanno altro che spostare verso livelli maggiori il tasso massimo di crescita della popolazione. Con una rapidità e una prontezza rilevata da diversi studi che hanno dimostrato che per questi animali warmer is better. E quando ad avvantaggiarsene sono zanzare il problema oltre che ambientale può diventare anche di pubblica sanità. Sono insetti che in sé rappresentano un problema fastidioso in quanto provocano una reazione allergica pruriginosa nel punto in cui pungono. Ma la questione prende dimensioni più ampie e più pericolose quando a pungere sono specie che trasmettono malattie come malaria, febbre gialla, Dengue, filariosi, leishmaniosi. Non è un caso quindi che, secondo il World Health Report, un documento pubblicato ogni anno dall'Organizzazione mondiale della sanità, i cambiamenti climatici sono, almeno per ora, responsabili del 2% di tutti i casi di malaria, del 6% se si restringe ai paesi a medio reddito e del 7% dei casi di febbre di Dengue in alcuni paesi industrializzati.
Areali in via di espansione
Normalmente si tratta di malattie che hanno sempre interessato aree tropicali e paesi in via di sviluppo o comunque con scarse condizioni igieniche. Il resto del mondo quindi si è sempre sentito al sicuro, nella convinzione di conoscere e di poter controllare queste patologie. Ma alcune di queste certezze potrebbero crollare, soprattutto quando gli agenti patogeni e i vettori che diffondono la malattia sono strettamente correlati alle condizioni climatiche e alla disponibilità di acqua. L'aumento della temperatura e delle piogge, inatteso in certe aree geografiche, espone la popolazione locale al rischio di proliferazione dei patogeni e/o dei loro vettori. La variazione di uno degli elementi del ciclo vitale dell'agente eziologico comporterebbe una variazione dell'epidemiologia della malattia e quindi una perdita del controllo da parte degli strumenti oggi efficaci per combatterla.
La preoccupazione dei ricercatori, per altro, è l'adattamento evolutivo, cioè un cambiamento più radicale nelle specie che consolida per esempio le caratteristiche della specie o la catena alimentare. Anche perchè l'adattamento biochimico a temperature più calde non è l'unica risposta al riscaldamento del clima, per esempio alcune specie possono evadere le temperature più alte spostandosi verso habitat più freschi o alterare il normale avvicendamento delle attività stagionali. Ammesso che reggano al riscaldamento terrestre, che non si arrivi ad avere la malaria anche ai Poli?
Simona Zazzetta
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