23 dicembre 2004
Aggiornamenti e focus
L'Alzheimer precoce si combatte
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Cure definitive ed efficaci per il morbo di Alzheimer non ce ne sono, e mancano anche strumenti indiscutibili per diagnosticarlo; la lotta contro questa patologia si prospetta tutt'altro che facile. Ecco perché si cerca di dare ascolto e spazio a tutte le ipotesi e ricerche che vanno in questa direzione. Una di queste per esempio continua a tenere sotto osservazione l'azione degli inibitori della colinesterasi, farmaci introdotti per trattare l'Alzheimer ma che, non essendo altamente specifici, trovano anche altre applicazioni in campo neurologico. Ma, sempre a causa della loro non specificità d'azione sulla trasmissione colinergica centrale, gli inibitori della colinesterasi sono tuttavia responsabili di una serie di effetti indesiderati di tipo colinergico periferico, con frequenza variabile.
Un recente lavoro ha focalizzato l'attenzione sull'efficacia di un principio attivo, il donepezil, che agisce con questo meccanismo, ma nella fase iniziale della malattia, quindi nel momento in cui è ancora considerata leggera o moderata. A questo stadio i sintomi cognitivi sono ancora lievi e la quotidianità del paziente non è ancora compromessa. La somministrazione del farmaco e del placebo è durata 24 settimane, dopo le prime sei il dosaggio è stato raddoppiato. Le condizioni dei 96 pazienti trattati con il farmaco e dei 57 trattati con placebo sono state valutate con gli indici normalmente impiegati per questo tipo di disturbo neurologico. In primo luogo è stato misurato l'ADA-cog, ovvero l'Alzheimer Disease Assessment Scale-cognitive, mentre come esiti secondari del trattamento sono stati presi in considerazione altre scale di valutazione.
I punteggi ottenuti dai pazienti dei due gruppi sono stati confrontati in varie fasi della terapia: dopo 12 e dopo 24 settimane la scala ADA-cog deponeva a favore del donepezil, con una differenza, rispettivamente, di 1,9 e 2,3 punti. Anche le altre scale mostravano lo stesso andamento. Per esempio, a sei, a 12 e a 24 settimane, dai test di memoria fatti con l'aiuto dei computer (previsti nella batterie del CMBT o Computerized Memory Battery Test) emergeva un miglioramento nei pazienti in trattamento nel riconoscere i volti, nell'acquisizione totale di nome e cognome e nell'associazione di nomi e volti quando lo si chiedeva a distanza di tempo. Il donepezil si è dimostrato sicuro e ben tollerato e gli eventi avversi gravi si sono verificati con frequenza simile in entrambi i gruppi. Le conclusioni degli autori dello studio sono quindi a favore del donepezil e ne sostengono l'uso precoce nel trattamento delle fasi iniziali della patologia alzheimeriana, proprio per migliorare le funzioni cognitive, anche se non si esprimono sull'uso prolungato o comunque sui benefici a lungo termine. Resta però il problema di essere in grado di diagnosticarla in fase iniziale, cosa che ancora non accade spesso: solitamente la diagnosi arriva con un ritardo medio di 2-3,5 anni rispetto all'insorgenza della malattia, un ritardo che rappresenta ancora un grosso svantaggio.
Simona Zazzetta
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Scale a punti
Un recente lavoro ha focalizzato l'attenzione sull'efficacia di un principio attivo, il donepezil, che agisce con questo meccanismo, ma nella fase iniziale della malattia, quindi nel momento in cui è ancora considerata leggera o moderata. A questo stadio i sintomi cognitivi sono ancora lievi e la quotidianità del paziente non è ancora compromessa. La somministrazione del farmaco e del placebo è durata 24 settimane, dopo le prime sei il dosaggio è stato raddoppiato. Le condizioni dei 96 pazienti trattati con il farmaco e dei 57 trattati con placebo sono state valutate con gli indici normalmente impiegati per questo tipo di disturbo neurologico. In primo luogo è stato misurato l'ADA-cog, ovvero l'Alzheimer Disease Assessment Scale-cognitive, mentre come esiti secondari del trattamento sono stati presi in considerazione altre scale di valutazione.
La mente migliora
I punteggi ottenuti dai pazienti dei due gruppi sono stati confrontati in varie fasi della terapia: dopo 12 e dopo 24 settimane la scala ADA-cog deponeva a favore del donepezil, con una differenza, rispettivamente, di 1,9 e 2,3 punti. Anche le altre scale mostravano lo stesso andamento. Per esempio, a sei, a 12 e a 24 settimane, dai test di memoria fatti con l'aiuto dei computer (previsti nella batterie del CMBT o Computerized Memory Battery Test) emergeva un miglioramento nei pazienti in trattamento nel riconoscere i volti, nell'acquisizione totale di nome e cognome e nell'associazione di nomi e volti quando lo si chiedeva a distanza di tempo. Il donepezil si è dimostrato sicuro e ben tollerato e gli eventi avversi gravi si sono verificati con frequenza simile in entrambi i gruppi. Le conclusioni degli autori dello studio sono quindi a favore del donepezil e ne sostengono l'uso precoce nel trattamento delle fasi iniziali della patologia alzheimeriana, proprio per migliorare le funzioni cognitive, anche se non si esprimono sull'uso prolungato o comunque sui benefici a lungo termine. Resta però il problema di essere in grado di diagnosticarla in fase iniziale, cosa che ancora non accade spesso: solitamente la diagnosi arriva con un ritardo medio di 2-3,5 anni rispetto all'insorgenza della malattia, un ritardo che rappresenta ancora un grosso svantaggio.
Simona Zazzetta
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