01 dicembre 2006
Aggiornamenti e focus
Quel che conta è fare in fretta
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Come per l'infarto, anche per l'ictus ischemico (che alla fine è un infarto del cervello), si possono ridurre notevolmente le conseguenze peggiori se si riesce a ripristinare un flusso adeguato di sangue nell'arteria occlusa e, quindi, la corretta ossigenazione del tessuto circostante, cerebrale o miocardico che sia. Le strategia, nel caso dell'ictus, sono soprattutto farmacologiche, vista le difficoltà di applicare tecniche interventistiche, come l'angioplastica con o senza applicazione dello stent. I farmaci proposti allo scopo sono parecchi, e qualcuno è già stato accettato, per esempio l'rt-PA, usato anche per l'infarto. Ma le ricerche continuano: la più recente risale all'ultimo numero di Lancet, e riguarda l'impiego di una sostanza, l'ancrod, che è una frazione purificata del veleno di una vipera tipica della Malesia. Lo studio non ha avuto successo, ma un editoriale a commento dice che proprio per questo ha un enorme valore.
Un valore enorme per almeno due motivi: il primo è che è scorretto, iniquo e pericoloso non pubblicare gli studi in cui il risultato è diverso da quello che il ricercatore si aspetta (anche se magari è comodo per l'industria ma anche per gli accademici), il secondo è che questo studio ha avuto un esito opposto a un altro, condotto negli Stati Uniti, con lo stesso farmaco che in quell'occasione si è dimostrato efficace. Ed è nell'elemento che distingue i due studi a fornire il secondo motivo per cui la pubblicazione è importante. Lo studio europeo prevedeva per il trattamento dei pazienti una "finestra" di sei ore, mentre quello statunitense ne ammetteva soltanto tre. L'ancrod, come gli altri farmaci assimilabili, ha il compito di rimuovere i coaguli dalle arterie (trombolisi) ma se le condizioni non sono ottimali, l'uso di queste sostanze può essere peggiore del placebo, soprattutto per il rischio emorragico. D'altra parte, ricorda l'autore del commento, è successa la stessa cosa con i due studi che valutavano l'rt-PA, quello in cui il tempo limite per la somministrazione al paziente era più breve mostrava l'efficacia del trattamento, l'altro no.
C'è poi un' altra variante è la selezione dei casi. Infatti, una ricerca condotta con un terzo farmaco, il desmoteplase, ottenuto da una sostanza contenuta nella saliva di un pipistrello vampiro, il Desmodus rotundus. In questo studio si è visto che i pazienti potevano beneficiare del farmaco anche dopo le 3 ore canoniche. Merito del farmaco? Meglio la saliva del vampiro del veleno della vipera? Non esattamente, il fatto è che i pazienti da trattare sono stati scelti effettuando la risonanza magnetica cerebrale, così da valutare la presenza di quelle zone di penombra che indicano il tessute cerebrale sofferente per mancanza di ossigeno ma che può ancora essere salvato se si ricanalizza l'arteria colpita. E' vero che il desmoteplase ha un'azione leggermente differente dalle altre sostanze citate, ma secondo gli esperti non è questo il punto centrale. I buoni risultati ottenuti dipendono dal ricorso all'imaging diagnostico.E allora, potrebbe essere la conclusione, l'efficacia del farmaco da sola non basta: occorrono team capaci di decidere in fretta, preparati e forniti dei supporti diagnostici necessari rovesciando il discorso, però, è anche vero che la corsa all'ultimissimo venuto all'interno di una famiglia di farmaci comunque efficaci può avere poco peso, se ne ha, sui risultati clinici quando il resto è carente. E soprattutto è vero che se per l'infarto si dice "il tempo è muscolo", la stessa cosa vale per l'ictus.
Maurizio Imperiali
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Il farmaco da solo non basta
Un valore enorme per almeno due motivi: il primo è che è scorretto, iniquo e pericoloso non pubblicare gli studi in cui il risultato è diverso da quello che il ricercatore si aspetta (anche se magari è comodo per l'industria ma anche per gli accademici), il secondo è che questo studio ha avuto un esito opposto a un altro, condotto negli Stati Uniti, con lo stesso farmaco che in quell'occasione si è dimostrato efficace. Ed è nell'elemento che distingue i due studi a fornire il secondo motivo per cui la pubblicazione è importante. Lo studio europeo prevedeva per il trattamento dei pazienti una "finestra" di sei ore, mentre quello statunitense ne ammetteva soltanto tre. L'ancrod, come gli altri farmaci assimilabili, ha il compito di rimuovere i coaguli dalle arterie (trombolisi) ma se le condizioni non sono ottimali, l'uso di queste sostanze può essere peggiore del placebo, soprattutto per il rischio emorragico. D'altra parte, ricorda l'autore del commento, è successa la stessa cosa con i due studi che valutavano l'rt-PA, quello in cui il tempo limite per la somministrazione al paziente era più breve mostrava l'efficacia del trattamento, l'altro no.
Il tempo è cruciale
C'è poi un' altra variante è la selezione dei casi. Infatti, una ricerca condotta con un terzo farmaco, il desmoteplase, ottenuto da una sostanza contenuta nella saliva di un pipistrello vampiro, il Desmodus rotundus. In questo studio si è visto che i pazienti potevano beneficiare del farmaco anche dopo le 3 ore canoniche. Merito del farmaco? Meglio la saliva del vampiro del veleno della vipera? Non esattamente, il fatto è che i pazienti da trattare sono stati scelti effettuando la risonanza magnetica cerebrale, così da valutare la presenza di quelle zone di penombra che indicano il tessute cerebrale sofferente per mancanza di ossigeno ma che può ancora essere salvato se si ricanalizza l'arteria colpita. E' vero che il desmoteplase ha un'azione leggermente differente dalle altre sostanze citate, ma secondo gli esperti non è questo il punto centrale. I buoni risultati ottenuti dipendono dal ricorso all'imaging diagnostico.E allora, potrebbe essere la conclusione, l'efficacia del farmaco da sola non basta: occorrono team capaci di decidere in fretta, preparati e forniti dei supporti diagnostici necessari rovesciando il discorso, però, è anche vero che la corsa all'ultimissimo venuto all'interno di una famiglia di farmaci comunque efficaci può avere poco peso, se ne ha, sui risultati clinici quando il resto è carente. E soprattutto è vero che se per l'infarto si dice "il tempo è muscolo", la stessa cosa vale per l'ictus.
Maurizio Imperiali
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