03 marzo 2006
Aggiornamenti e focus
Il sonno del giusto
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Per decidere quale livello di colesterolo sia “giusto”, o quale valore della glicemia, sono necessari grandi studi, o revisioni di studi, che partono dai valori riscontrati nelle popolazione e li mettono in relazione a quello che succede, nel tempo, a seconda del valore presentato. Non stupisce dunque, che ogni tanto questi valori vengano aggiornati, a volte con qualche polemica. C’è però un “parametro” che non è stato oggetto di tante indagini ma viene accettato da tutti, forse frettolosamente. E’ il numero delle ore di sonno “necessarie”. Più o meno da sempre si ritiene che servano otto ore di riposo al giorno, ma verifiche sperimentali non ce ne sono. Qualche tempo fa, nel 2002, venne pubblicato uno studio in cui si analizzavano sotto questo aspetto i dati prodotti dal Cancer Prevention Study II, dove si era valutata la prevalenza di insonnia tra i partecipanti (oltre un milione di uomini e donne da 30 a 102 anni di età), così come il numero di ore di sonno. I risultati sono stati per qualche verso sorprendenti.
Infatti, si è visto che la maggiore sopravvivenza si aveva tra coloro che dormivano 7 ore per notte, mentre le cose andavano progressivamente peggio per chi dormiva di più o di meno. In dettaglio, le persone che dormivano più di otto ore e mezzo avevano un 15% in più di rischio, e lo stesso si osservava per chi dormiva meno di 4,5. Al contrario, chi riportava di soffrire di insonnia non mostrava un aumento della mortalità. Però, in chi faceva uso di sonniferi l’aumento c’era, anche depurando il dato dall’effetto delle ore di sonno e della presenza di insonnia. Quest’ultimo dato confermava una situazione nota da tempo, e cioè che si fa presto a dire “soffro di insonnia”, ma non sempre è così, tanto che chi ha dichiarato il disturbo rientrava nella fascia delle scarse ore di sonno (meno di 6) ma poteva anche collocarsi nella fascia delle otto ore e più. Il fatto è che c’è chi fatica ad addormentarsi, oppure si sveglia nel corso della notte, oppure ancora anticipa il risveglio ma giudica soddisfacente, in ogni caso, il proprio sonno; al contrario, altri ritengono di essere insonni pur riposando per un congruo numero di ore.
Allora, che fine hanno fatto le famose “otto ore”? Difficile a dirsi, anche perché diversi studi epidemiologici mostrano che in realtà la media è di 7 ore, non otto, come ai tempi della Scuola Salernitana. Certo, un conto è il dato epidemiologico, un conto la necessità fisiologica. Però va considerato che attualmente, nel mondo industrializzato, la maggiore fatica che molti fanno è salire sull’auto o usare il telecomando. Difficile essere stanchi, dunque. Il dato relativo agli effetti negativi di troppe ore di sono, peraltro, è suscettibile di molte interpretazioni. Per esempio, chi dorme più a lungo potrebbe avere condizioni patologiche sottostanti, che quindi minano lo stato di salute di per sé: la necessità di dormire più a lungo sarebbe quindi una conseguenza, non un fattore di rischio indipendente per una maggiore mortalità. E anche qui: c’è un Valentino Rossi che racconta di fare sempre una gran fatica a svegliarsi, di aspirare a lunghe dormite, ma è arduo dire che non sia in forma. C’è quindi una certa variabilità e, di conseguenza, non ci si deve fossilizzare sul numero di ore dormite.
Piuttosto, merita una certa attenzione il dato relativo ai sonniferi. Un editoriale che commentava lo studio ha avuto buon gioco a ricordare che, vista la lunghezza dello studio, era ben possibile che tra i medicamenti usasti ci fossero anche sonniferi “vecchio stile”, come i barbiturici, che effettivamente avevano una tossicità più marcata rispetto alle relativamente sicure benzodiazepine, gli ipnotici oggi più spesso impiegati.
Insomma, non è possibile dire che l’insonnia faccia bene, ma nemmeno che chi dorma meno di otto ore abbia in vista problemi di salute. Forse quel che conta non è quanto si dorme, ma come ci si sveglia.
Maurizio Imperiali
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Effetti sulla mortalità
Infatti, si è visto che la maggiore sopravvivenza si aveva tra coloro che dormivano 7 ore per notte, mentre le cose andavano progressivamente peggio per chi dormiva di più o di meno. In dettaglio, le persone che dormivano più di otto ore e mezzo avevano un 15% in più di rischio, e lo stesso si osservava per chi dormiva meno di 4,5. Al contrario, chi riportava di soffrire di insonnia non mostrava un aumento della mortalità. Però, in chi faceva uso di sonniferi l’aumento c’era, anche depurando il dato dall’effetto delle ore di sonno e della presenza di insonnia. Quest’ultimo dato confermava una situazione nota da tempo, e cioè che si fa presto a dire “soffro di insonnia”, ma non sempre è così, tanto che chi ha dichiarato il disturbo rientrava nella fascia delle scarse ore di sonno (meno di 6) ma poteva anche collocarsi nella fascia delle otto ore e più. Il fatto è che c’è chi fatica ad addormentarsi, oppure si sveglia nel corso della notte, oppure ancora anticipa il risveglio ma giudica soddisfacente, in ogni caso, il proprio sonno; al contrario, altri ritengono di essere insonni pur riposando per un congruo numero di ore.
Pesa di più il sonnifero
Allora, che fine hanno fatto le famose “otto ore”? Difficile a dirsi, anche perché diversi studi epidemiologici mostrano che in realtà la media è di 7 ore, non otto, come ai tempi della Scuola Salernitana. Certo, un conto è il dato epidemiologico, un conto la necessità fisiologica. Però va considerato che attualmente, nel mondo industrializzato, la maggiore fatica che molti fanno è salire sull’auto o usare il telecomando. Difficile essere stanchi, dunque. Il dato relativo agli effetti negativi di troppe ore di sono, peraltro, è suscettibile di molte interpretazioni. Per esempio, chi dorme più a lungo potrebbe avere condizioni patologiche sottostanti, che quindi minano lo stato di salute di per sé: la necessità di dormire più a lungo sarebbe quindi una conseguenza, non un fattore di rischio indipendente per una maggiore mortalità. E anche qui: c’è un Valentino Rossi che racconta di fare sempre una gran fatica a svegliarsi, di aspirare a lunghe dormite, ma è arduo dire che non sia in forma. C’è quindi una certa variabilità e, di conseguenza, non ci si deve fossilizzare sul numero di ore dormite.
Piuttosto, merita una certa attenzione il dato relativo ai sonniferi. Un editoriale che commentava lo studio ha avuto buon gioco a ricordare che, vista la lunghezza dello studio, era ben possibile che tra i medicamenti usasti ci fossero anche sonniferi “vecchio stile”, come i barbiturici, che effettivamente avevano una tossicità più marcata rispetto alle relativamente sicure benzodiazepine, gli ipnotici oggi più spesso impiegati.
Insomma, non è possibile dire che l’insonnia faccia bene, ma nemmeno che chi dorma meno di otto ore abbia in vista problemi di salute. Forse quel che conta non è quanto si dorme, ma come ci si sveglia.
Maurizio Imperiali
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