04 aprile 2008
Aggiornamenti e focus
Anziani ma non insonni
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E' quasi un luogo comune che col passare degli anni si dorma meno e soprattutto peggio. Ma è scientificamente fondato? Il dato di fatto è che staticamente sono gli anziani quelli che si lamentano di più del sonno. E per anni i ricercatori hanno pensato che il sonno andasse deteriorandosi nella tarda mezza età e si erodesse un po' per volta. Un fatto così scontato, come spiega un recente articolo sul New York Times, che pochi lo hanno mai messo in discussione. Quasi un atto di fede. Ora però arrivano due nuove ricerche che ribaltano i dogmi in materia di sonno. Sembra, infatti che il dormire non si modifichi granché dai 60 anni in poi. E che comunque il poco sonno non sia da attribuire all'età, quanto piuttosto alle malattie e ai medicinali assunti di conseguenza. Quanto più ci sono disturbi, perciò, tanto peggio si dorme. Un anziano sano ha così difficilmente problemi a dormire. Non solo. Un secondo studio rivela come il poco sonno determini poca salute, per cui se si prova dolore se ne proverà ancora di più se si è dormito poco. E peggiorando le cose si dorme sempre meno, soprattutto se ad affliggere sono malanni come il mal di schiena o l'artrite.
Le linee di ricerca sono due, precisa l'articolo del New York Times: la prima mirata a definire cosa succeda al sonno col passare degli anni, la seconda orientata a definire la relazione tra sonno e dolore. Per definire il primo ambito sono stati presi in esame una serie di soggetti over 65 senza problemi di insonnia. Ebbene i soggetti in questione denunciavano un sonno diverso da quello giovanile, più leggero, più spesso interrotto e più breve in media di mezz'ora. Niente di eclatante però. Poi l'indagine è passata a esaminare l'andamento del sonno nel tempo. Per farlo hanno esaminato 65 studi che hanno coinvolto 3577 soggetti sani dai 5 ai 102 anni. E qui è arrivata una nuova sorpresa. I cambiamenti più significativi avvengono tra i 20 e i 60 anni, cioè i cambiamenti nel sonno si palesano con la mezza età, mentre dopo i 60 le cose non cambiano granché. Almeno nei soggetti sani. E se anche ci fossero cambiamenti sono impercettibili. Per esempio c'è una maggiore difficoltà ad addormentarsi con una latenza che arriva a una decina di minuti a 80 anni, ma niente di significativo. Contrariamente alle attese, poi, non sono stati riscontrate modifiche con l'età nel grado di sonnolenza diurno, ne nel tempo necessario a cominciare la vita onirica, dopo essersi addormentati. La variazione più rilevante riguarda il numero dei risvegli nella notte. I giovani adulti sani dormono per il 95% della notte, dai 60 anni il tempo si riduce all'85%, con brevi risvegli dai 3 ai 10 secondi. Le cose ovviamente cambiano se ci sono condizioni patologiche, dall'apnea notturna al dolore cronico, dalla sindrome delle gambe senza riposo ai problemi urinari. E qui si passa alla seconda linea di ricerca.
Il fatto è, come risulta chiaro, che il dolore interferisce sul sonno. Il fatto nuovo però è che l'assenza di sonno influenza la percezione del dolore. Nello studio in questione soggetti giovani e sani sono stati divisi in tre gruppi. Uno ha dormito in ospedale per otto ore consecutive, un altro è stato svegliato ogni ora e tenuto sveglio per una ventina di minuti, in modo da mimare il sonno frammentato della terza età, al terzo gruppo, infine, sono state concesse quattro ore di sonno. Questo per capire se avesse più rilevanza clinica il sonno frammentato o quello di breve durata. Ebbene in questo modo sono arrivati a capire che dormire a brevi spot condiziona fortemente la percezione del dolore, che si sente di più ed è più difficile da sedare. E dormire di più agisce da sedativo. Ora, come sottolinea uno dei responsabili delle ricerche al New York Times, l'attitudine dei ricercatori verso i problemi del sonno nell'invecchiamento potrebbe cambiare. E' chiaro, concludono, che il sonno cambia tra i venti e i settanta anni, ma non è necessariamente una malattia.
Marco Malagutti
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L'evoluzione del sonno
Le linee di ricerca sono due, precisa l'articolo del New York Times: la prima mirata a definire cosa succeda al sonno col passare degli anni, la seconda orientata a definire la relazione tra sonno e dolore. Per definire il primo ambito sono stati presi in esame una serie di soggetti over 65 senza problemi di insonnia. Ebbene i soggetti in questione denunciavano un sonno diverso da quello giovanile, più leggero, più spesso interrotto e più breve in media di mezz'ora. Niente di eclatante però. Poi l'indagine è passata a esaminare l'andamento del sonno nel tempo. Per farlo hanno esaminato 65 studi che hanno coinvolto 3577 soggetti sani dai 5 ai 102 anni. E qui è arrivata una nuova sorpresa. I cambiamenti più significativi avvengono tra i 20 e i 60 anni, cioè i cambiamenti nel sonno si palesano con la mezza età, mentre dopo i 60 le cose non cambiano granché. Almeno nei soggetti sani. E se anche ci fossero cambiamenti sono impercettibili. Per esempio c'è una maggiore difficoltà ad addormentarsi con una latenza che arriva a una decina di minuti a 80 anni, ma niente di significativo. Contrariamente alle attese, poi, non sono stati riscontrate modifiche con l'età nel grado di sonnolenza diurno, ne nel tempo necessario a cominciare la vita onirica, dopo essersi addormentati. La variazione più rilevante riguarda il numero dei risvegli nella notte. I giovani adulti sani dormono per il 95% della notte, dai 60 anni il tempo si riduce all'85%, con brevi risvegli dai 3 ai 10 secondi. Le cose ovviamente cambiano se ci sono condizioni patologiche, dall'apnea notturna al dolore cronico, dalla sindrome delle gambe senza riposo ai problemi urinari. E qui si passa alla seconda linea di ricerca.
Non dormire fa male
Il fatto è, come risulta chiaro, che il dolore interferisce sul sonno. Il fatto nuovo però è che l'assenza di sonno influenza la percezione del dolore. Nello studio in questione soggetti giovani e sani sono stati divisi in tre gruppi. Uno ha dormito in ospedale per otto ore consecutive, un altro è stato svegliato ogni ora e tenuto sveglio per una ventina di minuti, in modo da mimare il sonno frammentato della terza età, al terzo gruppo, infine, sono state concesse quattro ore di sonno. Questo per capire se avesse più rilevanza clinica il sonno frammentato o quello di breve durata. Ebbene in questo modo sono arrivati a capire che dormire a brevi spot condiziona fortemente la percezione del dolore, che si sente di più ed è più difficile da sedare. E dormire di più agisce da sedativo. Ora, come sottolinea uno dei responsabili delle ricerche al New York Times, l'attitudine dei ricercatori verso i problemi del sonno nell'invecchiamento potrebbe cambiare. E' chiaro, concludono, che il sonno cambia tra i venti e i settanta anni, ma non è necessariamente una malattia.
Marco Malagutti
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