11 luglio 2008
Aggiornamenti e focus
Ricordi in fumo
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Negli anni '90 si arrivò addirittura a parlare di effetti protettivi del fumo sulla funzione cognitiva, tant'è che le multinazionali del tabacco cavalcarono la notizia sponsorizzando conferenze sulla demenza. In effetti, poteva essere l'unico spiraglio di positività in una sequela di effetti deleteri e negativi dimostrati del fumo di sigaretta. C'era anche una plausibilità biologica: dal momento che nella demenza del morbo di Alzheimer si modificano i sistemi dei neurotrasmettitori, in particolare quello colinergico, e la nicotina è una agonista colinergico, un qualche coinvolgimento si può considerare legittimo. D'altronde la nicotina e le molecole che agiscono sui recettori nicotinici sono oggetto di studio per altre patologie.
Tuttavia, tali presupposti non tardarono a diventare deboli evidenze di fronte agli effetti del fumo di sigaretta sul rischio di malattie vascolari e cerebrovascolari, a loro volta fattori di rischio della demenza, annullando definitivamente l'ipotesi protettiva. Tale associazione è stata recentemente confermata nell'ambito dello studio Whitehall II in cui sono state verificate le possibili conseguenze sui vari aspetti della malattia tra cui la perdita della memoria. Sono stati raccolti i dati relativi alle abitudini al fumo di oltre 10 mila persone adulte tra 35 e 55 anni, suddividendo il periodo di studio 1985-2004 in sette fasi corrispondenti ai momenti di verifica e per stabilire che tipo di fumatore o di ex-fumatore fosse ogni soggetto esaminato, se recente o di lungo termine. Al di là dei non fumatori, cioè che non avevano mai fumato al momento del primo contatto, i fumatori attuali erano coloro che fumavano nella fase 5, tra il 1997 e il 1999 quando oltre al questionario veniva fatta anche una valutazione clinica; ex-fumatori a lungo termine invece erano coloro che avevano smesso prima della fase 1, tra il 1985 e il 1988; ex-fumatori recenti coloro che avevano smesso tra la fase 1 e la fase 5.
Sulla base di questo schema temporizzato delle abitudini al fumo sono stati condotti test per valutare la funzione cognitiva nella fase 5 e nella fase 7, l'ultima, tra il 2002 e il 2004, quindi a distanza di quasi 20 dall'inizio dello studio, quando anche la popolazione più vecchia aveva circa 75 anni e molto probabilmente era ancora quasi tutta in vita. In una batteria di test standard sono state accertate la memoria, la capacità di ragionamento, la proprietà di linguaggio e ricchezza del vocabolario. In particolare la memoria è stata testata come memoria verbale recente usando il richiamo libero di 20 parole: una lista di 20 parole è stata presentata ai partecipanti a intervalli di due secondi, successivamente è stato chiesto loro di ricordare e scrivere in due minuti quelle che ricordavano. Alla fase 5 è stato osservato che gli attuali fumatori avevano maggiori probabilità di avere difficoltà cognitive in tutti i test, in particolare quelli mnemonici e di ragionamento: il rischio relativo di ottenere punteggi scarsi era circa 1,54. A parità di sesso e di età lo svantaggio restava per i fumatori, si attenuava, ma restava significativo, nell'ambito dei test sulla memoria con un rischio relativo di 1,37. In realtà smettendo abbastanza presto si giocava al recupero per cui chi nella fase 7 aveva già smesso di fumare da un bel po' aveva meno probabilità di avere deficit della memoria rispetto anche a chi non aveva mai fumato.
Rischi di mezz'età
Al di là delle sfumature, ciò che è emerso dai dati raccolti è che avere l'abitudine al fumo nella mezz'età è associato, tra le altre cose, a un decifit di memoria, ma che smettere abbastanza precocemente permette, nell'arco di molti anni, di ripristinare le funzioni minacciate dal danno. Ma precocemente anche rispetto all'età, in quanto ci sono sempre più prove che è nella mezz'età che si annidano molti fattori di rischio di demenza che potrebbe insorgere negli anni a venire. Un inizio di perdita delle capacità cognitive è un segnale che, soprattutto nei fumatori rappresenta un supporto all'ipotesi che il fumo sia coinvolto nella patogenesi di un deficit cognitivo ancora non evidente (subclinico), ma che non può essere sottovalutato.
Simona Zazzetta
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Tempo del vizio
Tuttavia, tali presupposti non tardarono a diventare deboli evidenze di fronte agli effetti del fumo di sigaretta sul rischio di malattie vascolari e cerebrovascolari, a loro volta fattori di rischio della demenza, annullando definitivamente l'ipotesi protettiva. Tale associazione è stata recentemente confermata nell'ambito dello studio Whitehall II in cui sono state verificate le possibili conseguenze sui vari aspetti della malattia tra cui la perdita della memoria. Sono stati raccolti i dati relativi alle abitudini al fumo di oltre 10 mila persone adulte tra 35 e 55 anni, suddividendo il periodo di studio 1985-2004 in sette fasi corrispondenti ai momenti di verifica e per stabilire che tipo di fumatore o di ex-fumatore fosse ogni soggetto esaminato, se recente o di lungo termine. Al di là dei non fumatori, cioè che non avevano mai fumato al momento del primo contatto, i fumatori attuali erano coloro che fumavano nella fase 5, tra il 1997 e il 1999 quando oltre al questionario veniva fatta anche una valutazione clinica; ex-fumatori a lungo termine invece erano coloro che avevano smesso prima della fase 1, tra il 1985 e il 1988; ex-fumatori recenti coloro che avevano smesso tra la fase 1 e la fase 5.
Cognizione sotto esame
Sulla base di questo schema temporizzato delle abitudini al fumo sono stati condotti test per valutare la funzione cognitiva nella fase 5 e nella fase 7, l'ultima, tra il 2002 e il 2004, quindi a distanza di quasi 20 dall'inizio dello studio, quando anche la popolazione più vecchia aveva circa 75 anni e molto probabilmente era ancora quasi tutta in vita. In una batteria di test standard sono state accertate la memoria, la capacità di ragionamento, la proprietà di linguaggio e ricchezza del vocabolario. In particolare la memoria è stata testata come memoria verbale recente usando il richiamo libero di 20 parole: una lista di 20 parole è stata presentata ai partecipanti a intervalli di due secondi, successivamente è stato chiesto loro di ricordare e scrivere in due minuti quelle che ricordavano. Alla fase 5 è stato osservato che gli attuali fumatori avevano maggiori probabilità di avere difficoltà cognitive in tutti i test, in particolare quelli mnemonici e di ragionamento: il rischio relativo di ottenere punteggi scarsi era circa 1,54. A parità di sesso e di età lo svantaggio restava per i fumatori, si attenuava, ma restava significativo, nell'ambito dei test sulla memoria con un rischio relativo di 1,37. In realtà smettendo abbastanza presto si giocava al recupero per cui chi nella fase 7 aveva già smesso di fumare da un bel po' aveva meno probabilità di avere deficit della memoria rispetto anche a chi non aveva mai fumato.
Rischi di mezz'età
Al di là delle sfumature, ciò che è emerso dai dati raccolti è che avere l'abitudine al fumo nella mezz'età è associato, tra le altre cose, a un decifit di memoria, ma che smettere abbastanza precocemente permette, nell'arco di molti anni, di ripristinare le funzioni minacciate dal danno. Ma precocemente anche rispetto all'età, in quanto ci sono sempre più prove che è nella mezz'età che si annidano molti fattori di rischio di demenza che potrebbe insorgere negli anni a venire. Un inizio di perdita delle capacità cognitive è un segnale che, soprattutto nei fumatori rappresenta un supporto all'ipotesi che il fumo sia coinvolto nella patogenesi di un deficit cognitivo ancora non evidente (subclinico), ma che non può essere sottovalutato.
Simona Zazzetta
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