12 settembre 2007
Aggiornamenti e focus
Sguardi diversi sul glaucoma
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Il glaucoma è generalmente causato da un aumento della pressione intraoculare (IOP), cioè quella dell'umore acqueo nel bulbo, ed è ormai ben dimostrato che riducendo questo fattore con i farmaci o la chirurgia si rallenta la progressione del danno al nervo ottico che con gli anni sfocia nella malattia. Secondo quanto suggerisce uno studio coreano, però, anche se la IOP non è molto elevata, più dei valori medi potrebbe contare, come fattore di rischio indipendente, la sua fluttuazione sul lungo periodo. Un aspetto che avrebbe implicazioni per il monitoraggio e la terapia. Questo, mentre una ricerca su un modello animale rafforza l'ipotesi di un legame tra Alzheimer e glaucoma, nel senso che sostanze farmacologiche che rallentano il primo sembrano protettive anche per il secondo. Due acquisizioni di segno diverso che sono passi avanti nella direzione comune della lotta al glaucoma, nel suo complesso seconda causa mondiale di cecità.
Riguardo alle variazioni della pressione intraoculare la misura (detta tonometria) può essere influenzata da alcuni fattori e questa comunque è solo un'istantanea. E bisogna definire se vadano misurate per picchi, intervalli o deviazioni dalla media, come sottolinea l'editoriale. Definendo fluttuazione sul breve periodo quella nell'arco di ore o giorni e sul lungo periodo quella relativa a mesi o anni, per quella a breve termine sono numerosi i dati che indicano una relazione con il rischio di glaucoma. Ma anche per quella a lungo termine ci sono evidenze e si è ipotizzato che la fluttuazione potesse costituire un fattore di rischio indipendente e più predittivo della progressione del danno rispetto ai valori medi. Gli autori coreani hanno analizzato oltre 400 malati di glaucoma, ad angolo aperto (la forma più comune) o ad angolo chiuso, operati con tripla procedura (facoemulsificazione, impianto di lente intraoculare nella camera posteriore, trabeculectomia) e con IOP dopo l'intervento sempre sotto i 18 mmHg. Li si è suddivisi in due gruppi a seconda dello scostamento della IOP dalla media sul lungo periodo inferiore o superiore, misurando sia questa sia il campo visivo (VF), con un periodo d'osservazione fino a 13 anni. Risultato: nel gruppo con la fluttuazione più bassa sono stati di più che nell'altro i pazienti che hanno preservato il campo visivo, la fluttuazione era associata significativamente al peggioramento anche nei soggetti con IOP mantenuta a bassi livelli dopo l'intervento. La conclusione è che il danno non può essere stabilizzato solo abbassando la IOP ma necessita di ridurre la sua fluttuazione sul lungo periodo; bisogna però stabilire gli obiettivi individuali di riduzione delle variazioni, considerando i singoli fattori di rischio di progressione (tra i quali l'età), e per questo nell'editoriale si auspicano linee guida specifiche.
Più sorprendente l'osservazione della ricerca coordinata dall'University College di Londra. Di recente si è visto che la beta-amiloide, sostanza costitutiva delle caratteristiche placche cerebrali dell'Alzheimer, è implicata nell'apoptosi, o morte, delle cellule gangliari retiniche (RGC), cioè cellule nervose che trasmettono le informazioni visive dalla retina al cervello, evento principale che porta al glaucoma. Studi hanno riscontrato nell'Alzheimer lo sviluppo di tipiche alterazioni glaucomatose, come sofferenza del nervo ottico e peggioramento della funzione visiva, osservate anche nel Parkinson. Sperimentando sui topi, gli autori della nuova ricerca hanno ottenuto altre più stringenti evidenze del coinvolgimento della beta-amiloide, che si localizza a livello delle RGC dove induce in vivo l'apoptosi, in misura dose e tempo-dipendente. Utilizzando sostanze che contrastano l'azione dell'amiloide, hanno verificato che la morte cellulare diminuiva, e combinando tre di queste sostanze l'effetto era maggiore che con le stesse usate singolarmente.
Potrebbe quindi essersi aperto un varco per una nuova strategia terapeutica contro il glaucoma, per il quale, attualmente, c'è carenza di trattamenti che agiscano sulle cause della progressione del danno.
Elettra Vecchia
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Variazioni minori progressione più lenta
Riguardo alle variazioni della pressione intraoculare la misura (detta tonometria) può essere influenzata da alcuni fattori e questa comunque è solo un'istantanea. E bisogna definire se vadano misurate per picchi, intervalli o deviazioni dalla media, come sottolinea l'editoriale. Definendo fluttuazione sul breve periodo quella nell'arco di ore o giorni e sul lungo periodo quella relativa a mesi o anni, per quella a breve termine sono numerosi i dati che indicano una relazione con il rischio di glaucoma. Ma anche per quella a lungo termine ci sono evidenze e si è ipotizzato che la fluttuazione potesse costituire un fattore di rischio indipendente e più predittivo della progressione del danno rispetto ai valori medi. Gli autori coreani hanno analizzato oltre 400 malati di glaucoma, ad angolo aperto (la forma più comune) o ad angolo chiuso, operati con tripla procedura (facoemulsificazione, impianto di lente intraoculare nella camera posteriore, trabeculectomia) e con IOP dopo l'intervento sempre sotto i 18 mmHg. Li si è suddivisi in due gruppi a seconda dello scostamento della IOP dalla media sul lungo periodo inferiore o superiore, misurando sia questa sia il campo visivo (VF), con un periodo d'osservazione fino a 13 anni. Risultato: nel gruppo con la fluttuazione più bassa sono stati di più che nell'altro i pazienti che hanno preservato il campo visivo, la fluttuazione era associata significativamente al peggioramento anche nei soggetti con IOP mantenuta a bassi livelli dopo l'intervento. La conclusione è che il danno non può essere stabilizzato solo abbassando la IOP ma necessita di ridurre la sua fluttuazione sul lungo periodo; bisogna però stabilire gli obiettivi individuali di riduzione delle variazioni, considerando i singoli fattori di rischio di progressione (tra i quali l'età), e per questo nell'editoriale si auspicano linee guida specifiche.
Beta-amiloide e cellule nervose retiniche
Più sorprendente l'osservazione della ricerca coordinata dall'University College di Londra. Di recente si è visto che la beta-amiloide, sostanza costitutiva delle caratteristiche placche cerebrali dell'Alzheimer, è implicata nell'apoptosi, o morte, delle cellule gangliari retiniche (RGC), cioè cellule nervose che trasmettono le informazioni visive dalla retina al cervello, evento principale che porta al glaucoma. Studi hanno riscontrato nell'Alzheimer lo sviluppo di tipiche alterazioni glaucomatose, come sofferenza del nervo ottico e peggioramento della funzione visiva, osservate anche nel Parkinson. Sperimentando sui topi, gli autori della nuova ricerca hanno ottenuto altre più stringenti evidenze del coinvolgimento della beta-amiloide, che si localizza a livello delle RGC dove induce in vivo l'apoptosi, in misura dose e tempo-dipendente. Utilizzando sostanze che contrastano l'azione dell'amiloide, hanno verificato che la morte cellulare diminuiva, e combinando tre di queste sostanze l'effetto era maggiore che con le stesse usate singolarmente.
Potrebbe quindi essersi aperto un varco per una nuova strategia terapeutica contro il glaucoma, per il quale, attualmente, c'è carenza di trattamenti che agiscano sulle cause della progressione del danno.
Elettra Vecchia
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