04 giugno 2008
Aggiornamenti e focus
Superato il cancro, il limbo
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I tumori sono oggi una realtà a due facce, perché se in molti casi si muore, in molti altri si sopravvive, ed è una chance che prima dei progressi dell'oncologia delle ultime due-tre decadi era decisamente inferiore. Avere ancora una prospettiva di vita è aver raggiunto il traguardo più importante. I problemi, però, non sono finiti, perché anche se i conti con la malattia possono essere chiusi o rimandati a molto più avanti, ci possono essere disturbi sul piano fisico e psicologico, che riducono la qualità di vita. Nel mondo ci sono circa 25 milioni di persone sopravvissute al cancro e oltre il 60% degli adulti con la malattia diagnosticata di recente può aspettarsi di vivere per altri cinque anni o più. Molti dei lungosopravviventi non ricevono tuttavia una gestione adeguata dei loro sintomi tale da aiutarli a convivere con le conseguenze della malattia. E' un aspetto sottolineato da un numero speciale del Giornale europeo del cancro (EJC) incentrato sulle cure palliative, pubblicato in concomitanza con la 44esima conferenza dell'American Society of Clinical Oncology (ASCO), a Chicago; si tratta dell'organo ufficiale dell'European Cancer Organisation (ECCO).
Come esemplificato da Marie Fallon, dell'Università di Edimburgo, curatrice del numero del giornale insieme con il collega John Smyth, molte di queste persone che hanno superato il tumore si troverebbero in una specie di limbo, con necessità che non vengono intercettate e che dovrebbero invece essere affrontate con sollecitudine. Gran parte dei sopravvissuti al cancro convive con una serie di disturbi e alcuni non sanno se essi sono oggetto di trattamento, o al contrario dipendono dal trattamento, oppure sono legati a ricadute di malattia che non sono state ancora diagnosticate. Tra i problemi più frequenti ci sono dolore, linfedema (gonfiore cronico da deficit di drenaggio linfatico, spesso causato da terapia chirurgica o radiante), difficoltà di tipo sessuale, depressione, ansia. Gli autori parlano di limbo riferendosi al fatto che queste persone sono state prese in gestione dagli oncologi, ma non ricevono l'assistenza e il supporto che viene invece riservato nell'ambito delle cure palliative ai pazienti terminali. Questo nonostante l'impatto sulla loro salute della malattia tumorale e delle relative terapie sia notevole sul lungo periodo, e diversi casi restino marcatamente sintomatici, compromettendo la qualità di vita (senza contare quelli che vanno effettivamente incontro a ricadute). Le cure palliative, inizialmente pensate per malati terminali, dovrebbero cioè rientrare in un approccio di cura globale della persona, che trova perciò applicazione in altre situazioni, come in malati cronici o nello specifico sopravvissuti al cancro. Tra esse e l'oncologia persiste insomma un gap, si stigmatizza, che andrebbe colmato sviluppando specifici modelli di assistenza, una via che viene riconosciuto è stata imboccata in Europa e viene guardata con attenzione in America. Occorre un approccio multidisciplinare, in quanto per curare il cancro le terapie oncologiche spesso non bastano nell'ottica di una sopravvivenza accompagnata da disturbi e di un reinserimento nella maggiore misura possibile nelle normali attività di vita.
Sviluppare modelli assistenziali multidisciplinari implica anche finanziamenti adeguati, discorso spinoso che è un denominatore comune con l'aspetto di punta dell'oncologia, la ricerca, come messo in risalto all'ASCO. Già in apertura di conferenza, ricordati i progressi compiuti, si sono enfatizzate le sfide per il futuro e si è ricordato il crescente impegno economico che occorrerà per raccoglierle: invece, con riferimento polemico agli Stati Uniti, il budget del National Cancer Institute è diminuito, considerando l'inflazione. Investimenti consistenti, e il discorso vale per tutti i paesi, occorrono infatti per sviluppare nuovi trattamenti per vari tipi di tumore che siano più efficaci e meno tossici, per nuovi strumenti e strategie di diagnosi più precoce, per la ricerca genetica e biomolecolare, per ricerca e approcci relativi agli aspetti collaterali della malattia che impattano sulla qualità di vita. Anche se i tassi di sopravvivenza sono aumentati, la strada da percorrere è sempre in salita.
Elettra Vecchia
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Cure palliative non solo per terminali
Come esemplificato da Marie Fallon, dell'Università di Edimburgo, curatrice del numero del giornale insieme con il collega John Smyth, molte di queste persone che hanno superato il tumore si troverebbero in una specie di limbo, con necessità che non vengono intercettate e che dovrebbero invece essere affrontate con sollecitudine. Gran parte dei sopravvissuti al cancro convive con una serie di disturbi e alcuni non sanno se essi sono oggetto di trattamento, o al contrario dipendono dal trattamento, oppure sono legati a ricadute di malattia che non sono state ancora diagnosticate. Tra i problemi più frequenti ci sono dolore, linfedema (gonfiore cronico da deficit di drenaggio linfatico, spesso causato da terapia chirurgica o radiante), difficoltà di tipo sessuale, depressione, ansia. Gli autori parlano di limbo riferendosi al fatto che queste persone sono state prese in gestione dagli oncologi, ma non ricevono l'assistenza e il supporto che viene invece riservato nell'ambito delle cure palliative ai pazienti terminali. Questo nonostante l'impatto sulla loro salute della malattia tumorale e delle relative terapie sia notevole sul lungo periodo, e diversi casi restino marcatamente sintomatici, compromettendo la qualità di vita (senza contare quelli che vanno effettivamente incontro a ricadute). Le cure palliative, inizialmente pensate per malati terminali, dovrebbero cioè rientrare in un approccio di cura globale della persona, che trova perciò applicazione in altre situazioni, come in malati cronici o nello specifico sopravvissuti al cancro. Tra esse e l'oncologia persiste insomma un gap, si stigmatizza, che andrebbe colmato sviluppando specifici modelli di assistenza, una via che viene riconosciuto è stata imboccata in Europa e viene guardata con attenzione in America. Occorre un approccio multidisciplinare, in quanto per curare il cancro le terapie oncologiche spesso non bastano nell'ottica di una sopravvivenza accompagnata da disturbi e di un reinserimento nella maggiore misura possibile nelle normali attività di vita.
Il nodo dei finanziamenti
Sviluppare modelli assistenziali multidisciplinari implica anche finanziamenti adeguati, discorso spinoso che è un denominatore comune con l'aspetto di punta dell'oncologia, la ricerca, come messo in risalto all'ASCO. Già in apertura di conferenza, ricordati i progressi compiuti, si sono enfatizzate le sfide per il futuro e si è ricordato il crescente impegno economico che occorrerà per raccoglierle: invece, con riferimento polemico agli Stati Uniti, il budget del National Cancer Institute è diminuito, considerando l'inflazione. Investimenti consistenti, e il discorso vale per tutti i paesi, occorrono infatti per sviluppare nuovi trattamenti per vari tipi di tumore che siano più efficaci e meno tossici, per nuovi strumenti e strategie di diagnosi più precoce, per la ricerca genetica e biomolecolare, per ricerca e approcci relativi agli aspetti collaterali della malattia che impattano sulla qualità di vita. Anche se i tassi di sopravvivenza sono aumentati, la strada da percorrere è sempre in salita.
Elettra Vecchia
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