11 luglio 2008
Aggiornamenti e focus
Onde fatali per il tumore del polmone
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In assenza di trattamenti chemioterapici di grande utilità per il paziente, la chirurgia resta la principale risorsa in caso di tumori del polmone. I quali, è bene ricordarlo, rappresentano nell'uomo e nella donna la prima causa di morte per cancro. Purtroppo, però, anche il ricorso alla chirurgia tradizionale non è sempre possibile a causa della localizzazione del tumore. Una situazione comune anche ad altre malattie neoplastiche, come quelle del fegato, dove da decenni il bisturi vero e proprio è affiancato da altre metodiche come l'iniezione nella lesione di alcol o chemioterapici o, più recentemente, la radioablazione. Ed è quest'ultima tecnica che oggi sembra offrire una soluzione anche per i tumori polmonari inoperabili, così come testimonia uno studio che ha visto la partecipazione anche di chirurghi italiani. La radioablazione è una tecnica nella quale attraverso la cute si inserisce una sonda, simile a quella degli endoscopi, dalla quale vengono fatti fuoriuscire degli elettrodi che mettono onde elettromagnetiche ad alta frequenza (della stessa gamma delle onde radio, appunto).
Come sa chiunque abbia un forno a microonde, queste frequenze provocano un riscaldamento della parte irradiata, nel caso della chirurgia 90°, cosicché il tessuto tumorale viene necrotizzato per coagulazione. Il posizionamento degli elettrodi sul bersaglio viene controllato radiologicamente (nel caso, con la TAC). La ricerca ha preso in considerazione un centinaio di pazienti, uomini e donne, di età compresa tra 29 e 82 anni (con una media attorno alla sessantina) che presentavano o un tumore primario non a piccole cellule (33) o una metastasi da tumore del colon-retto (53) o metastasi da altri tumori. Caratteristica comune era essere inoperabili con le metodiche standard, e di presentare lesioni con il diametro massimo inferiore a o uguale a 3,5 cm, ma potevano presentare anche più di una lesione. In tutti l'intervento è stato condotto in modo da creare una zona di necrosi, grosso modo sferica, del diametro di 5 cm, così da garantire un margine. La riuscita dell'intervento veniva valutata una prima volta alla tac a un mese, considerando completa l'asportazione se nelle TAC successive si osservava una riduzione del diametro maggiore della zona trattata (che era più ampia del tumore) di almeno il 30%. I risultati sono stati lusinghieri, in quanto l'intervento ha soddisfatto i criteri di successo a un anno nell'88% dei pazienti valutabili. Poche le complicanze dell'intervento, prevalentemente pneumotorace e versamento pleurico, entrambi facilmente risolvibili, mentre la funzionalità polmonare è stata conservata in tutti i casi.
Un risultato, questo, superiore a quello che si ottiene nel trattamento delle lesioni del fegato, probabilmente perché le caratteristiche isolanti del tessuto polmonare favoriscono la concentrazione del calore sul bersaglio. Quanto alla sopravvivenza, complessivamente era pari al 70% e al 48% rispettivamente a un anno e a due anni nei pazienti che avevano un tumore primario del polmone, all'89% e al 66% nei pazienti con metastasi dal colon retto e al 91% e al 64% in quelli con metastasi di altra natura. In effetti, poi, se si guarda alla sopravvivenza al tumore, le percentuali sono notevolmente superiori, soprattutto nel caso del tumore primario, il che significa che una quota non trascurabile di pazienti è sì deceduta, ma per cause diverse come le malattie cardiovascolari. Gli autori concludono dicendo che non è stato fatto un confronto con trattamenti differenti e che quindi per giudicare la sopravvivenza, anche a più lungo termine, occorrono altre ricerche di confronto. Ma una risposta, sia pure parziale, viene da un commento pubblicato sulla stessa rivista, dove si fa presente, tra l'altro, che le complicazioni dell'altro approccio oggi prevalente, cioè la resezione limitata e la radioterapia presentano anche complicazioni fatali. Al contrario l'ablazione a radiofrequenza è una procedura che può essere ripetuta, è ben poco invasiva e nulla vieta che un domani possa essere adiuvata, per esempio, dalla chemioterapia o dalla stessa radioterapia. Insomma, un'opzione promettente che ora ha dimostrato pienamente la fattibilità tecnica. E non è poco.
Maurizio Imperiali
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Effetto termico
Come sa chiunque abbia un forno a microonde, queste frequenze provocano un riscaldamento della parte irradiata, nel caso della chirurgia 90°, cosicché il tessuto tumorale viene necrotizzato per coagulazione. Il posizionamento degli elettrodi sul bersaglio viene controllato radiologicamente (nel caso, con la TAC). La ricerca ha preso in considerazione un centinaio di pazienti, uomini e donne, di età compresa tra 29 e 82 anni (con una media attorno alla sessantina) che presentavano o un tumore primario non a piccole cellule (33) o una metastasi da tumore del colon-retto (53) o metastasi da altri tumori. Caratteristica comune era essere inoperabili con le metodiche standard, e di presentare lesioni con il diametro massimo inferiore a o uguale a 3,5 cm, ma potevano presentare anche più di una lesione. In tutti l'intervento è stato condotto in modo da creare una zona di necrosi, grosso modo sferica, del diametro di 5 cm, così da garantire un margine. La riuscita dell'intervento veniva valutata una prima volta alla tac a un mese, considerando completa l'asportazione se nelle TAC successive si osservava una riduzione del diametro maggiore della zona trattata (che era più ampia del tumore) di almeno il 30%. I risultati sono stati lusinghieri, in quanto l'intervento ha soddisfatto i criteri di successo a un anno nell'88% dei pazienti valutabili. Poche le complicanze dell'intervento, prevalentemente pneumotorace e versamento pleurico, entrambi facilmente risolvibili, mentre la funzionalità polmonare è stata conservata in tutti i casi.
Una via percorribile
Un risultato, questo, superiore a quello che si ottiene nel trattamento delle lesioni del fegato, probabilmente perché le caratteristiche isolanti del tessuto polmonare favoriscono la concentrazione del calore sul bersaglio. Quanto alla sopravvivenza, complessivamente era pari al 70% e al 48% rispettivamente a un anno e a due anni nei pazienti che avevano un tumore primario del polmone, all'89% e al 66% nei pazienti con metastasi dal colon retto e al 91% e al 64% in quelli con metastasi di altra natura. In effetti, poi, se si guarda alla sopravvivenza al tumore, le percentuali sono notevolmente superiori, soprattutto nel caso del tumore primario, il che significa che una quota non trascurabile di pazienti è sì deceduta, ma per cause diverse come le malattie cardiovascolari. Gli autori concludono dicendo che non è stato fatto un confronto con trattamenti differenti e che quindi per giudicare la sopravvivenza, anche a più lungo termine, occorrono altre ricerche di confronto. Ma una risposta, sia pure parziale, viene da un commento pubblicato sulla stessa rivista, dove si fa presente, tra l'altro, che le complicazioni dell'altro approccio oggi prevalente, cioè la resezione limitata e la radioterapia presentano anche complicazioni fatali. Al contrario l'ablazione a radiofrequenza è una procedura che può essere ripetuta, è ben poco invasiva e nulla vieta che un domani possa essere adiuvata, per esempio, dalla chemioterapia o dalla stessa radioterapia. Insomma, un'opzione promettente che ora ha dimostrato pienamente la fattibilità tecnica. E non è poco.
Maurizio Imperiali
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