07 maggio 2004
Aggiornamenti e focus
Agire prima del bisturi
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Il trattamento chirurgico del tumore al seno richiede un grosso impegno da parte della paziente che, oltre alle problematiche postoperatorie, dovrà affrontarne anche l'impatto psicologico sulla sua femminilità. Ma da alcuni anni i ricercatori sono impegnati a far chiarezza sui possibili benefici di una chemioterapia che somministrata prima dell'intervento potrebbe facilitare una chirurgia meno demolitiva.
L'ipotesi di usare la chemioterapia preoperatoria o neoadiuvante, in realtà, nacque dall'osservazione degli effetti positivi sui tumori considerati non operabili. I ricercatori notavano che c'era una certa corrispondenza, in termini di sopravvivenza, tra il trattamento chemioterapico pre- e post-operatorio, come pure una forte correlazione tra la completa remissione e la sopravvivenza generale e senza recidive. Già alla fine degli anni '80 venne avviato uno studio su 1500 pazienti assegnate a quattro cicli di chemioterapia neoadiuvante seguita da chirurgia oppure a chirurgia seguita dai cicli della stessa combinazione di farmaci. I risultati pubblicati circa dieci anni dopo riportarono di una riduzione delle dimensioni del tumore, osservata nell'80% delle pazienti, e dell'incidenza di linfonodi positivi. Inoltre, molte pazienti che erano state valutate come non adatte a sottoporsi alla quadrantectomia (cioè la rimozione soltanto del tumore assieme a parte del tessuto sano circostante), in quanto la massa tumorale raggiungeva e superava i 5 cm, hanno potuto accedere alla chirurgia conservativa. Venne quindi giudicato un approccio da prendere in considerazione nella gestione iniziale della patologia valutata come non operabile, e gli studi proseguirono in questa direzione.
I risultati più recenti, presentati alla 4° European Breast Cancer Conference tenuta a marzo in Germania, hanno confermato l'efficacia della chemioterapia neoadiuvante nel rendere più fattibile la successiva chirurgia conservativa. Nella ricerca, condotta su quasi 700 pazienti, è stato introdotto un altro elemento di novità in quanto le dosi di farmaci previste sono state somministrate a un gruppo di pazienti in tempi ravvicinati rispetto a quelli solitamente previsti, in modo da aumentare l'intensità del dosaggio senza modificare le singole dosi assegnate alla paziente. Le masse tumorali raggiungevano mediamente i 4 cm, il regime terapeutico prevedeva 12 cicli settimanali di paclitaxel seguiti da quattro cicli di 5-fluorouracile, doxorubicina e ciclofosfamide ogni tre settimane. Al momento dell'intervento è stato osservato un più elevato tasso di risposta al farmaco, di remissione completa e di negatività ai linfonodi ascellari, nel gruppo assegnato al regime a alta densità con maggiori probabilità di procedere con chirurgia conservativa.
Sono diversi gli studi orientati verso il regime ad alta densità e, in ogni caso, sembra che la chemioterapia preoperatoria sia in grado di aumentare del 15-30% il numero di donne eleggibili per la chirurgia conservativa. Pazienti, per altro, con buone probabilità di non incorrere in altre lesioni tumorali sulla stessa mammella.
La chemio neoadiuvante offre inoltre un'ulteriore opportunità terapeutica in quanto permette al medico di valutare molto precocemente la risposta al trattamento: già nei primi sei mesi dalla diagnosi. Un bel vantaggio in questi casi.
Simona Zazzetta
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Un'ipotesi vincente
L'ipotesi di usare la chemioterapia preoperatoria o neoadiuvante, in realtà, nacque dall'osservazione degli effetti positivi sui tumori considerati non operabili. I ricercatori notavano che c'era una certa corrispondenza, in termini di sopravvivenza, tra il trattamento chemioterapico pre- e post-operatorio, come pure una forte correlazione tra la completa remissione e la sopravvivenza generale e senza recidive. Già alla fine degli anni '80 venne avviato uno studio su 1500 pazienti assegnate a quattro cicli di chemioterapia neoadiuvante seguita da chirurgia oppure a chirurgia seguita dai cicli della stessa combinazione di farmaci. I risultati pubblicati circa dieci anni dopo riportarono di una riduzione delle dimensioni del tumore, osservata nell'80% delle pazienti, e dell'incidenza di linfonodi positivi. Inoltre, molte pazienti che erano state valutate come non adatte a sottoporsi alla quadrantectomia (cioè la rimozione soltanto del tumore assieme a parte del tessuto sano circostante), in quanto la massa tumorale raggiungeva e superava i 5 cm, hanno potuto accedere alla chirurgia conservativa. Venne quindi giudicato un approccio da prendere in considerazione nella gestione iniziale della patologia valutata come non operabile, e gli studi proseguirono in questa direzione.
Prima e più spesso
I risultati più recenti, presentati alla 4° European Breast Cancer Conference tenuta a marzo in Germania, hanno confermato l'efficacia della chemioterapia neoadiuvante nel rendere più fattibile la successiva chirurgia conservativa. Nella ricerca, condotta su quasi 700 pazienti, è stato introdotto un altro elemento di novità in quanto le dosi di farmaci previste sono state somministrate a un gruppo di pazienti in tempi ravvicinati rispetto a quelli solitamente previsti, in modo da aumentare l'intensità del dosaggio senza modificare le singole dosi assegnate alla paziente. Le masse tumorali raggiungevano mediamente i 4 cm, il regime terapeutico prevedeva 12 cicli settimanali di paclitaxel seguiti da quattro cicli di 5-fluorouracile, doxorubicina e ciclofosfamide ogni tre settimane. Al momento dell'intervento è stato osservato un più elevato tasso di risposta al farmaco, di remissione completa e di negatività ai linfonodi ascellari, nel gruppo assegnato al regime a alta densità con maggiori probabilità di procedere con chirurgia conservativa.
Sono diversi gli studi orientati verso il regime ad alta densità e, in ogni caso, sembra che la chemioterapia preoperatoria sia in grado di aumentare del 15-30% il numero di donne eleggibili per la chirurgia conservativa. Pazienti, per altro, con buone probabilità di non incorrere in altre lesioni tumorali sulla stessa mammella.
La chemio neoadiuvante offre inoltre un'ulteriore opportunità terapeutica in quanto permette al medico di valutare molto precocemente la risposta al trattamento: già nei primi sei mesi dalla diagnosi. Un bel vantaggio in questi casi.
Simona Zazzetta
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