Tutta colpa dell'ormone

20 giugno 2008
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Tutta colpa dell'ormone



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Del carcinoma al seno si è in effetti parlato molto negli ultimi 20 anni, e tanto parlare è servito, almeno ad aumentare la consapevolezza del rischio. Persino troppo, secondo alcuni studi, tanto che una recente indagine dimostrerebbe che negli Stati Uniti la tendenza delle donne è casomai a sopravvalutare il rischio. Ma è sempre meglio esagerare in prudenza. Del resto, la malattia c'è e nel 2000, secondo i dati della IARC (International Agency for Research on Cancer), si sono avuti più di 1.050.000 casi e poco meno di 373.000 morti in tutto il mondo. In Italia i nuovi casi sono stati 32.037 e i decessi 11.902. In pratica, se si eccettuano i tumori della pelle, il carcinoma della mammella è il tumore più frequente nelle donne.

Il ruolo degli ormoni


Tecnicamente, il carcinoma della mammella è un tumore dell'epitelio della ghiandola mammaria e, poiché queste ghiandole sono presenti anche nell'uomo, non si tratta di un tumore esclusivamente femminile. Solo che nella popolazione maschile è molto raro: il rapporto è di 150 a 1. Il carcinoma della mammella è altresì un tumore ormonosensibile, vale a dire che sia nell'insorgenza sia nello sviluppo intervengono gli ormoni. Non tutti indistintamente è ovvio, ma quelli sessuali femminili e, per la precisione, i progestinici. Questo spiega anche la diversa frequenza della malattia nell'uomo e nella donna, così come spiega anche i principali fattori di rischio. Infatti i testi di medicina sono soliti dire che esistono tre date cruciali per stabilire il profilo di rischio di una donna.
La prima è l'età alla quale si presenta il menarca, cioè la prima mestruazione: nelle donne in cui le mestruazioni cominciano prima dei 12 anni il rischio di carcinoma mammario è doppio rispetto a quello delle donne che hanno avuto il menarca a 15 anni
La seconda è l'età alla quale si presenta la menopausa: nelle donne in cui le mestruazioni cessano 10 anni prima della media (50-51 anni) il rischio si riduce di oltre un terzo.
La terza data è quella della prima gravidanza: chi diviene mamma entro i 18 anni vede ridursi il rischio al 30-40%.
In pratica, quanto più a lungo una donna ha le mestruazioni, e quindi quanto più a lungo l'ovaio produce ormoni, tanto maggiore è il rischio di sviluppare la malattia, perché si aumenta l'esposizione dei tessuti della mammella.
L'esame dell'incidenza della malattia nelle diverse popolazioni ha poi fornito ulteriori conferme: il dato più evidente, per esempio, è la grande differenza tra le popolazioni asiatiche e quelle occidentali: nelle prime il rischio è da 5 a 10 volte inferiore. Però, nelle donne di etnia asiatica nate in occidente questo vantaggio scompare. Quindi la protezione non può essere dovuta alla genetica, ma a fattori anche ambientali. Approfondendo la questione si è visto che le asiatiche nate e vissute in Europa differiscono dalle asiatiche della madrepatria per peso e statura. E proprio il peso e la statura sono fattori che regolano l'età di inizio delle mestruazioni: nelle adolescenti minute e longilinee il menarca si presenta più tardi.

Gli altri fattori di rischio


Ovviamente c'è una componente genetica, tanto è vero che la famigliarità è uno degli aspetti che il ginecologo dovrebbe sempre indagare. Ma nel tempo sono state proposte diverse altre circostanze con una potenziale influenza sullo sviluppo della malattia. La prima è la dieta, sulla quale si è molto dibattuto senza peraltro arrivare a grandi conclusioni. Salvo una: l'obesità aumenta il rischio a tutte le età e, ancora una volta, per una ragione legata alla produzione ormonale. Gli ormoni sessuali non sono prodotti soltanto dalle ovaie, ma anche dal tessuto adiposo, sia pure in quantità di gran lunga inferiori. Ecco quindi che una donna obesa, e che tale sia stata per lungo tempo, ha avuto un'aumentata esposizione agli ormoni. Quindi il solo dato certo è il rapporto tra rischio e calorie totali, mentre altre correlazioni tra particolari gruppi di alimenti e rischio sono molto più sfumati e poco conclusivi. Certo, i grassi sono spesso nominati, ma forse questo può essere attribuito al fatto che sono molto più calorici delle proteine o dei carboidrati. Allo stesso modo, il ruolo dei fitoestrogeni, cioè ormoni simili a quelli femminili, che si trovano per esempio nella soia, andrebbe prudentemente ridimensionato.
In effetti gli ultimi studi parlano più facilmente di rapporto tra sovrappeso e cancro, piuttosto che tra dieta e cancro. In questo senso, una recente indagine ha stimato che dei casi di carcinoma mammario che si verificano in Europa, circa 12.800 sono attribuibili al sovrappeso.
Un altro fattore di rischio molto discusso sono gli ormoni esogeni, vale a dire quelli che si assumono con i farmaci. In breve: la pillola anticoncezionale e la terapia ormonale sostitutiva. In effetti, è ormai assodato che quando si assumono progestinici per lunghi periodi c'è un aumento del rischio relativo ma, stando anche all'ultimo rapporto dello IARC deve essere considerato molto piccolo. Inoltre, dopo 10 anni dall'ultima assunzione della pillola il rischio "in più" scompare. Anche per la somministrazione degli ormoni in menopausa , comunque, è stato osservato che aggiungendo i progestinici si ha un aumento del rischio relativo. In entrambi i casi però, l'aumento del rischio va soppesato con i benefici dell'assunzione degli ormoni, e non è detto che la bilancia penda sempre a sfavore dell'ormone.

La prevenzione, allora?

Fatto salvo l'aspetto dell'obesità, e altre misure relative allo stile di vita come l'abbandono del fumo, la limitazione del consumo di alcol e, fatto forse meno noto, evitare di sottoporsi a lastre del torace inutili, più che di prevenzione è bene parlare di diagnosi precoce e, quindi, di interventi attuati quando la malattia è allo stadio iniziale. In questi casi, infatti, la prognosi è piuttosto favorevole. Ormai sono parecchi gli studi che dimostrano come nelle popolazioni in cui vengono condotti programmi di screening la mortalità scende drasticamente (attorno al 25-30%) Inoltre, l'affinarsi dei protocolli di trattamento ha in effetti migliorato significativamente la situazione per le pazienti. Secondo uno studio olandese, che ha esaminato la sopravvivenza delle pazienti cui è stato diagnosticato un carcinoma mammario nel periodo compreso tra il 1960 e il974 si è osservata una riduzione di più del 20 per cento nella mortalità, e questo miglioramento della prognosi è stato dimostrabile indipendentemente dallo stadio al quale era giunto il tumore al momento della scoperta. Siccome in tutto il mondo industrializzato, checché ne dicano i sostenitori dei cosiddetti "viaggi della speranza", le cure impiegate per il carcinoma mammario sono le stesse in tutto il mondo industrializzato, non c'è motivo di pensare che questo progresso non valga anche per l'Italia. Senza trascurare il fatto che buona parte dei progressi più importanti nella terapia chirurgica e medica si devono a due italiani: Umberto Veronesi e Gianni Bonadonna.

Maurizio Imperiali



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