12 settembre 2008
Aggiornamenti e focus
E' la caloria che conta
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E' nel buon senso comune pensare che un'alimentazione sana corrisponda a un buono stato di salute, ma quando questo è già compromesso, può il cibo migliorare la situazione? Se lo chiedono da tempo ricercatori e clinici prendendo in considerazione le singole malattie, dall'ipertensione alle patologie coronariche. Non da ultimo ci si interroga sull'influenza della dieta nella prognosi del tumore al seno. In particolare sulla prevenzione di recidive dopo il trattamento, anche perchè, considerando che è tra le neoplasie per le quali una diagnosi precoce e un trattamento efficace possono essere risolutivi, aumentare le probabilità di sopravvivenza senza malattia è un obiettivo importante da perseguire.
A questo contribuiscono le numerose prove raccolte in studi preclinici che indicano come gli alimenti vegetali o da essi derivati contengano sostanze protettive e anticancerogene, e metanalisi in cui una dieta ricca di frutta e verdura è stata probabilmente associata a una riduzione del rischio di tumore al seno. Al contrario, esiste la possibilità che una dieta ricca di grassi lo incrementi. Le prove che con un regime alimentare ricco di frutta e verdura e povero di grassi si abbia beneficio nella prevenzione della progressione del tumore, sono incoerenti e derivate da studi epidemiologici. E tuttora non è possibile definire con precisione se il vantaggio esiste perché anche due studi importanti come il Women's Health Eating Living (WHEL) e il Women's Intervention Nutrition Study (WINS) hanno raggiunto risultati contrastanti. Sono, però, entrambi i primi studi clinici randomizzati e controllati, realizzati con queste finalità e in quanto tali affidabili e utili per trarre conclusioni interessanti.
Il WHEL è quello che non ha rilevato benefici dal cambio di dieta. L'intervento consisteva nel portare il consumo giornaliero di frutta a tre porzioni, di verdura a cinque porzioni, di fibre a 30 grammi e contemporaneamente di ridurre il consumo di grassi al 15-25% dell'apporto calorico giornaliero. Gli autori avevano l'obiettivo di misurare il rischio, cioè la probabilità di recidive e di nuovi tumori primari invasivi al seno e la mortalità tra le sopravvissute allo stadio precoce del tumore al seno, facendo un confronto con un intervento meno drastico sulla dieta. Un campione di circa 3000 donne, che avevano avuto nei precedenti quattro anni diagnosi e trattamento, è stato avviato a uno dei due regimi dietetici. Dopo un monitoraggio di circa sette anni la differenza tra i due gruppi di donne non è stata osservata.
Un certo beneficio è, invece, stato rilevato dallo studio WINS per lo meno nei risultati preliminari. In questo caso, l'obiettivo della dieta era più specifico, e cioè ridurre il consumo di grassi al 15% dell'apporto calorico giornaliero, per verificare se fosse in grado di influenzare la recidiva di tumore al seno o la sopravvivenza. A un anno dalla diagnosi di tumore al seno, circa 2400 donne sono state avviate a questo tipo di dieta oppure a minime indicazioni dietetiche da seguire. I primi dati emersi suggeriscono un vantaggio statisticamente significativo nel rischio relativo di sopravvivenza, senza recidive nei cinque anni successivi, offerto dalla dieta povera di grassi. In particolare, il vantaggio interessava la sottopopolazione di donne con tumore al seno negativo per il recettore degli estrogeni e del progesterone.
Confronto che chiarisce
La contraddizione tra i due studi ha stimolato il confronto tra i risultati, commentato in un editoriale comparso sulla rivista JAMA, da cui sono emersi dei particolari interessanti. Si direbbe che l'argomentazione chiave per spiegare le diverse conclusioni sia una differenza tra gli apporti calorici forniti dai due regimi alimentari testati. Nello studio WINS, nel corso dei cinque anni le donne che avevano seguito la dieta in esame avevano un apporto calorico che diventava sempre più basso rispetto al gruppo controllo. Vale a dire che la differenza di quantità di calorie giornaliere tra i due gruppi aumentava nel tempo, accompagnato per altro, da un significativo calo di peso nel gruppo in studio, di 2,7 kg. Questo scarto non si registrava nello studio WHEL e la riduzione di calorie avveniva in modo più o meno omogeneo nei due gruppi, e in entrambi si era verificato anche un piccolo aumento di peso di circa mezzo chilo.
Senza, quindi, voler andare oltre con le illazioni, e considerando anche precedenti studi osservazionali, l'aumento di peso, peggio ancora l'obesità, dopo una diagnosi di tumore al seno è un fattore che peggiora la prognosi in termini di sopravvivenza senza malattia e di mortalità in generale. Va da sé che una dieta ipocalorica a basso tenore di grassi aiuta.
Simona Zazzetta
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Prove precliniche
A questo contribuiscono le numerose prove raccolte in studi preclinici che indicano come gli alimenti vegetali o da essi derivati contengano sostanze protettive e anticancerogene, e metanalisi in cui una dieta ricca di frutta e verdura è stata probabilmente associata a una riduzione del rischio di tumore al seno. Al contrario, esiste la possibilità che una dieta ricca di grassi lo incrementi. Le prove che con un regime alimentare ricco di frutta e verdura e povero di grassi si abbia beneficio nella prevenzione della progressione del tumore, sono incoerenti e derivate da studi epidemiologici. E tuttora non è possibile definire con precisione se il vantaggio esiste perché anche due studi importanti come il Women's Health Eating Living (WHEL) e il Women's Intervention Nutrition Study (WINS) hanno raggiunto risultati contrastanti. Sono, però, entrambi i primi studi clinici randomizzati e controllati, realizzati con queste finalità e in quanto tali affidabili e utili per trarre conclusioni interessanti.
Risultati discordanti
Il WHEL è quello che non ha rilevato benefici dal cambio di dieta. L'intervento consisteva nel portare il consumo giornaliero di frutta a tre porzioni, di verdura a cinque porzioni, di fibre a 30 grammi e contemporaneamente di ridurre il consumo di grassi al 15-25% dell'apporto calorico giornaliero. Gli autori avevano l'obiettivo di misurare il rischio, cioè la probabilità di recidive e di nuovi tumori primari invasivi al seno e la mortalità tra le sopravvissute allo stadio precoce del tumore al seno, facendo un confronto con un intervento meno drastico sulla dieta. Un campione di circa 3000 donne, che avevano avuto nei precedenti quattro anni diagnosi e trattamento, è stato avviato a uno dei due regimi dietetici. Dopo un monitoraggio di circa sette anni la differenza tra i due gruppi di donne non è stata osservata.
Un certo beneficio è, invece, stato rilevato dallo studio WINS per lo meno nei risultati preliminari. In questo caso, l'obiettivo della dieta era più specifico, e cioè ridurre il consumo di grassi al 15% dell'apporto calorico giornaliero, per verificare se fosse in grado di influenzare la recidiva di tumore al seno o la sopravvivenza. A un anno dalla diagnosi di tumore al seno, circa 2400 donne sono state avviate a questo tipo di dieta oppure a minime indicazioni dietetiche da seguire. I primi dati emersi suggeriscono un vantaggio statisticamente significativo nel rischio relativo di sopravvivenza, senza recidive nei cinque anni successivi, offerto dalla dieta povera di grassi. In particolare, il vantaggio interessava la sottopopolazione di donne con tumore al seno negativo per il recettore degli estrogeni e del progesterone.
Confronto che chiarisce
La contraddizione tra i due studi ha stimolato il confronto tra i risultati, commentato in un editoriale comparso sulla rivista JAMA, da cui sono emersi dei particolari interessanti. Si direbbe che l'argomentazione chiave per spiegare le diverse conclusioni sia una differenza tra gli apporti calorici forniti dai due regimi alimentari testati. Nello studio WINS, nel corso dei cinque anni le donne che avevano seguito la dieta in esame avevano un apporto calorico che diventava sempre più basso rispetto al gruppo controllo. Vale a dire che la differenza di quantità di calorie giornaliere tra i due gruppi aumentava nel tempo, accompagnato per altro, da un significativo calo di peso nel gruppo in studio, di 2,7 kg. Questo scarto non si registrava nello studio WHEL e la riduzione di calorie avveniva in modo più o meno omogeneo nei due gruppi, e in entrambi si era verificato anche un piccolo aumento di peso di circa mezzo chilo.
Senza, quindi, voler andare oltre con le illazioni, e considerando anche precedenti studi osservazionali, l'aumento di peso, peggio ancora l'obesità, dopo una diagnosi di tumore al seno è un fattore che peggiora la prognosi in termini di sopravvivenza senza malattia e di mortalità in generale. Va da sé che una dieta ipocalorica a basso tenore di grassi aiuta.
Simona Zazzetta
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