07 aprile 2004
Aggiornamenti e focus
Il moto è un adiuvante
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I fattori di rischio del carcinoma mammario che possono essere in qualche modo prevenuti non sono molti. Assume quindi una certa importanza il fatto che alcune regole di vita possono in misura diversa o ridurre le possibilità di sviluppare la malattia o migliorare la sopravvivenza dopo la diagnosi e i trattamenti del caso, peraltro sempre più efficaci.
Diversi importanti studi hanno dimostrato che il livello di attività fisica allontana la possibilità di carcinoma mammario. Uno dei più recenti è stato condotto nell'area della Baia di San Francisco (Stati Uniti), I ricercatori hanno valutato il livello di attività fisica di una popolazione femminile di etnie diverse di età compresa tra 35 e 79 anni. Nel computo entrava la valutazione dell'intensità e della frequenza tanto delle attività ricreative quanto dei lavori, domestici e no, impegnativi sul piano fisico. Il gruppo è stato identificando raccogliendo i casi di tumore mammario invasivo riportati nel registro locale dei tumori e scegliendo un campione omogeneo di donne sane. Inoltre, il confronto è stato fatto distinguendo tra donne in età fertile e donne in postmenopausa. In sostanza si è osservato che nelle donne fisicamente attive il rischio di carcinoma mammario era inferiore rispetto alle sedentarie. Inoltre, mentre nelle più giovani tutti i tipi di attività fisica, lavorativa e no, contribuivano allo stesso modo, nelle meno giovani era soprattutto l'aver continuato a svolgere le "solite" incombenze, a garantire la protezione. Nelle donne in età fertile la riduzione era del 26%, in quelle in post-menopausa del 19 per cento. Il beneficio si riproponeva indipendentemente dall'etnia e da altre caratteristiche. Forse la sola eccezione è rappresentata dalla famigliarità per il tumore, come rivela un atro studio. A fronte di una riduzione del rischio grazie al moto anche più alta, il 35%, si osserva infatti che in chi ha una consanguinea di primo grado colpita dalla malattia la protezione si attenua.
Anche nel caso che la malattia si presenti, e venga adeguatamente trattata, l'impegno fisico ha un suo effetto positivo. Nel corso dell'ultimo congresso dell'American Association for Cancer Research sono stati presentati i risultati dell'analisi condotta sulle partecipanti al Nurses' Health Study. Complessivamente, per 2000 donne cui era stata diagnosticata la neoplasia, è stato valutato il livello di attività fisica ogni due anni dal 1986 al fino al 2002. In questo arco di tempo 209 pazienti sono decedute a causa del tumore. Confrontando i dati si è concluso che già con un'attività moderata si ha una riduzione della mortalità di circa il 20%. Infatti il risultato si ottiene con un livello pari a 3-8,9 ore di "lavoro" alla settimana. Questo lavoro viene definito in met (metabolic equivalent task) per ore/settimana, dove met è l'energia che il metabolismo consuma a riposo; per fare un esempio, se si coprono poco più di 4,5 chilometri a piedi in un'ora, sia ha un'attività pari a 3 met. Quindi tre camminate alla settimana riescono a tagliare un 20% di rischio. Se si aumenta anche non di molto l'impegno, la riduzione diviene davvero significativa: con 9-14 met/ore settimana, il rischio è più che dimezzato. L'autrice della ricerca, Michelle D. Holmes della Harvard University di Boston, ricorda che questo importante risultato ne trae con sé altri: da tempo infatti si è dimostrato un miglioramento della qualità della vita in tutte le pazienti che riescono a mantenersi attive, o che cominciano a svolgere un'attività fisica.
Davide Minzoni
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...e inoltre su Dica33:
Il bersaglio in movimento...
Diversi importanti studi hanno dimostrato che il livello di attività fisica allontana la possibilità di carcinoma mammario. Uno dei più recenti è stato condotto nell'area della Baia di San Francisco (Stati Uniti), I ricercatori hanno valutato il livello di attività fisica di una popolazione femminile di etnie diverse di età compresa tra 35 e 79 anni. Nel computo entrava la valutazione dell'intensità e della frequenza tanto delle attività ricreative quanto dei lavori, domestici e no, impegnativi sul piano fisico. Il gruppo è stato identificando raccogliendo i casi di tumore mammario invasivo riportati nel registro locale dei tumori e scegliendo un campione omogeneo di donne sane. Inoltre, il confronto è stato fatto distinguendo tra donne in età fertile e donne in postmenopausa. In sostanza si è osservato che nelle donne fisicamente attive il rischio di carcinoma mammario era inferiore rispetto alle sedentarie. Inoltre, mentre nelle più giovani tutti i tipi di attività fisica, lavorativa e no, contribuivano allo stesso modo, nelle meno giovani era soprattutto l'aver continuato a svolgere le "solite" incombenze, a garantire la protezione. Nelle donne in età fertile la riduzione era del 26%, in quelle in post-menopausa del 19 per cento. Il beneficio si riproponeva indipendentemente dall'etnia e da altre caratteristiche. Forse la sola eccezione è rappresentata dalla famigliarità per il tumore, come rivela un atro studio. A fronte di una riduzione del rischio grazie al moto anche più alta, il 35%, si osserva infatti che in chi ha una consanguinea di primo grado colpita dalla malattia la protezione si attenua.
Ma anche guarire è più facile
Anche nel caso che la malattia si presenti, e venga adeguatamente trattata, l'impegno fisico ha un suo effetto positivo. Nel corso dell'ultimo congresso dell'American Association for Cancer Research sono stati presentati i risultati dell'analisi condotta sulle partecipanti al Nurses' Health Study. Complessivamente, per 2000 donne cui era stata diagnosticata la neoplasia, è stato valutato il livello di attività fisica ogni due anni dal 1986 al fino al 2002. In questo arco di tempo 209 pazienti sono decedute a causa del tumore. Confrontando i dati si è concluso che già con un'attività moderata si ha una riduzione della mortalità di circa il 20%. Infatti il risultato si ottiene con un livello pari a 3-8,9 ore di "lavoro" alla settimana. Questo lavoro viene definito in met (metabolic equivalent task) per ore/settimana, dove met è l'energia che il metabolismo consuma a riposo; per fare un esempio, se si coprono poco più di 4,5 chilometri a piedi in un'ora, sia ha un'attività pari a 3 met. Quindi tre camminate alla settimana riescono a tagliare un 20% di rischio. Se si aumenta anche non di molto l'impegno, la riduzione diviene davvero significativa: con 9-14 met/ore settimana, il rischio è più che dimezzato. L'autrice della ricerca, Michelle D. Holmes della Harvard University di Boston, ricorda che questo importante risultato ne trae con sé altri: da tempo infatti si è dimostrato un miglioramento della qualità della vita in tutte le pazienti che riescono a mantenersi attive, o che cominciano a svolgere un'attività fisica.
Davide Minzoni
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