09 aprile 2008
Aggiornamenti e focus
Artrite fuori dall'ombra
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L'artrite reumatoide colpisce 3-400.000 italiani, specie donne e con un picco a 35-50 anni, e come negli altri paesi occidentali è la causa più comune di disabilità, eppure uno dei problemi principali è ancora farla uscire dall'ombra. Lo lamentano le associazioni come quelle dei malati reumatici nazionale (ANMAR) e lombarda (ALOMAR) e lo sostengono gli stessi specialisti, uniti nel reclamare una maggiore attenzione per questa patologia e altre della famiglia, nel senso sia di aumentare le conoscenze generali e promuovere l'arma fondamentale, la diagnosi precoce, sia di migliorare l'assistenza e garantire l'accesso alle terapie innovative. Per l'ultimo punto basti notare che il nostro figura l'ultimo paese in Europa per impiego dei farmaci biologici, o meglio biotecnologici, che non occorrono comunque per chiunque abbia l'artrite. Questioni poste più volte sul tappeto e sempre più urgenti, stando anche alla testimonianza dell'incontro appena promosso a Milano da ANMAR e ALOMAR.
La malattia, innanzitutto, come si sa è una patologia infiammatoria autoimmune, nella quale un'attivazione immunitaria per cause ancora da chiarire, probabilmente su predisposizione genetica, induce un'infiammazione acuta che si automantiene e diventa cronica. Ha infatti carattere sistemico e progressivo, iniziando a compromettere con dolore e rigidità le piccole articolazioni ed estendendosi poi alle maggiori (nelle forme avanzate ha coinvolgimenti anche extra-articolari a occhi, polmoni, nervi, cuore, vasi) in un crescendo di disabilità che può arrivare a impedire attività elementari, così che dopo dieci anni di malattia più di metà dei malati deve lasciare il lavoro e sette su dieci non riescono a vestirsi, aprire un rubinetto, salire su un autobus. E' proprio nella progressività del danno e poi nella sua maggiore velocità nei primi anni e nel suo esordio subdolo che sta il nodo cruciale. "La possibilità della diagnosi molto precoce è fondamentale, sia perché il danno non è ancora irreversibile, sia perché la malattia è più sensibile al trattamento e si ottengono risultati più completi e soddisfacenti" precisa Carlomaurizio Montecucco, presidente della Società Italiana di Reumatologia e direttore U.O. Reumatologia del Policlinico San Matteo di Pavia. "La prevenzione primaria non c'è, anche se ci sono fattori di rischio quali il fumo, ed è solo secondaria intesa come riconoscimento precoce e terapie per evitare o ritardare l'evoluzione verso l'invalidità" rimarca Flavio Fantini, direttore del Dipartimento di Reumatologia dell'Ospedale Gaetano Pini di Milano. Importante, quindi, individuare segni precoci che se perdurano per più di due-tre settimane potrebbero già essere un campanello d'allarme: rigidità delle articolazioni specie al mattino, dolore e tumefazione delle stesse, interessamento iniziale delle piccole articolazioni, con tipico coinvolgimento simmetrico. Inizialmente la diagnosi è clinica, poi ci sono esami di laboratorio che sono però poco specifici e radiologici, ma con evidenze più tardive.
Sta di fatto che molto spesso la diagnosi avviene in ritardo, e in Lombardia per esempio si valuta che l'artrite reumatoide non sia stata diagnosticata o trattata correttamente in almeno metà dei malati che giungono all'osservazione nei Centri reumatologici di riferimento, che ne conta 35 autorizzati (in Piemonte e Lazio si scende già a 18 e poi in calando nelle altre regioni). "Con una terapia adeguata si arriverebbe a una remissione durevole della malattia, cioè scomparsa dei sintomi e normale qualità di vita, in oltre il 50% dei casi" spiega Montecucco "ma la prima difficoltà è legata alla diagnosi precoce e la seconda all'accesso ai farmaci biotecnologici: le necessità si erano calcolate nelle regioni in base al progetto Antares che però non è stato aggiornato, inoltre esistono forti disparità per prescrizione e somministrazione. Va sottolineato che nella maggior parte dei malati basterebbero i farmaci modificanti il decorso della malattia (DMARD) o di fondo, mentre ai biotecnologici si ricorre in caso di mancata risposta e più come terapia additiva in quanto sono maggiormente efficaci se associati a quelli di fondo; questo anche in fase avanzata, purché la malattia sia attiva e non spenta. Molti pazienti invece vengono gestiti per mesi in medicina generale spesso con farmaci sintomatici o cortisonici che non incidono sulla malattia, a volte sono inviati erroneamente a specialisti non reumatologi: bisognerebbe creare una vera rete di centri territoriali in connessione con quelli di riferimento" continua Montecucco "che faccia da filtro, anche per abbattere le liste d'attesa; inoltre vanno previste risorse adeguate per trattare questi malati, dai farmaci che nel caso dei biotecnologici sono costosi (circa 11.000 euro a paziente con i biotecnologici) alle strutture per la riabilitazione". Tutto questo a beneficio dei malati, ma non solo, considerati i costi sanitari e sociali della disabilità conseguente all'artrite reumatoide non affrontata per tempo.
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Terapie efficaci se tempestive
La malattia, innanzitutto, come si sa è una patologia infiammatoria autoimmune, nella quale un'attivazione immunitaria per cause ancora da chiarire, probabilmente su predisposizione genetica, induce un'infiammazione acuta che si automantiene e diventa cronica. Ha infatti carattere sistemico e progressivo, iniziando a compromettere con dolore e rigidità le piccole articolazioni ed estendendosi poi alle maggiori (nelle forme avanzate ha coinvolgimenti anche extra-articolari a occhi, polmoni, nervi, cuore, vasi) in un crescendo di disabilità che può arrivare a impedire attività elementari, così che dopo dieci anni di malattia più di metà dei malati deve lasciare il lavoro e sette su dieci non riescono a vestirsi, aprire un rubinetto, salire su un autobus. E' proprio nella progressività del danno e poi nella sua maggiore velocità nei primi anni e nel suo esordio subdolo che sta il nodo cruciale. "La possibilità della diagnosi molto precoce è fondamentale, sia perché il danno non è ancora irreversibile, sia perché la malattia è più sensibile al trattamento e si ottengono risultati più completi e soddisfacenti" precisa Carlomaurizio Montecucco, presidente della Società Italiana di Reumatologia e direttore U.O. Reumatologia del Policlinico San Matteo di Pavia. "La prevenzione primaria non c'è, anche se ci sono fattori di rischio quali il fumo, ed è solo secondaria intesa come riconoscimento precoce e terapie per evitare o ritardare l'evoluzione verso l'invalidità" rimarca Flavio Fantini, direttore del Dipartimento di Reumatologia dell'Ospedale Gaetano Pini di Milano. Importante, quindi, individuare segni precoci che se perdurano per più di due-tre settimane potrebbero già essere un campanello d'allarme: rigidità delle articolazioni specie al mattino, dolore e tumefazione delle stesse, interessamento iniziale delle piccole articolazioni, con tipico coinvolgimento simmetrico. Inizialmente la diagnosi è clinica, poi ci sono esami di laboratorio che sono però poco specifici e radiologici, ma con evidenze più tardive.
Forti disparità regionali
Sta di fatto che molto spesso la diagnosi avviene in ritardo, e in Lombardia per esempio si valuta che l'artrite reumatoide non sia stata diagnosticata o trattata correttamente in almeno metà dei malati che giungono all'osservazione nei Centri reumatologici di riferimento, che ne conta 35 autorizzati (in Piemonte e Lazio si scende già a 18 e poi in calando nelle altre regioni). "Con una terapia adeguata si arriverebbe a una remissione durevole della malattia, cioè scomparsa dei sintomi e normale qualità di vita, in oltre il 50% dei casi" spiega Montecucco "ma la prima difficoltà è legata alla diagnosi precoce e la seconda all'accesso ai farmaci biotecnologici: le necessità si erano calcolate nelle regioni in base al progetto Antares che però non è stato aggiornato, inoltre esistono forti disparità per prescrizione e somministrazione. Va sottolineato che nella maggior parte dei malati basterebbero i farmaci modificanti il decorso della malattia (DMARD) o di fondo, mentre ai biotecnologici si ricorre in caso di mancata risposta e più come terapia additiva in quanto sono maggiormente efficaci se associati a quelli di fondo; questo anche in fase avanzata, purché la malattia sia attiva e non spenta. Molti pazienti invece vengono gestiti per mesi in medicina generale spesso con farmaci sintomatici o cortisonici che non incidono sulla malattia, a volte sono inviati erroneamente a specialisti non reumatologi: bisognerebbe creare una vera rete di centri territoriali in connessione con quelli di riferimento" continua Montecucco "che faccia da filtro, anche per abbattere le liste d'attesa; inoltre vanno previste risorse adeguate per trattare questi malati, dai farmaci che nel caso dei biotecnologici sono costosi (circa 11.000 euro a paziente con i biotecnologici) alle strutture per la riabilitazione". Tutto questo a beneficio dei malati, ma non solo, considerati i costi sanitari e sociali della disabilità conseguente all'artrite reumatoide non affrontata per tempo.
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