17 giugno 2005
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Artrite reumatoide ovvero...
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Ah, le mie povere ossa, si suole dire. In realtà bisognerebbe dire "le mie povere articolazioni". L'osso, infatti, di per sé è ben scarsamente capace di provocare dolore, essendo privo o quasi di nocicettori, cioè le terminazioni nervose all'origine delle sensazioni dolorose.
Dolori articolari, quindi, e non delle ossa, dolori che possono essere dovuti a molte e svariate cause, ma che sono anche il principale sintomo di due importanti malattie: artrite reumatoide (AR) e artrosi.
Le stime del numero di pazienti affetti da AR sono abbastanza difficili: si va dall'uno al 2-3% della popolazione generale, ma vi sono anche stime molto più elevate. Quello che è certo è che colpisce più spesso le donne (2-3 volte di più) e che la comparsa si concentra dai 20 ai 40 anni e in particolare nella quarta decade.
L'AR è una malattia autoimmune, cioè sostenuta da una serie di reazioni immunitarie rivolte verso elementi dell'organismo stesso (tessuti, cellule ma anche "semplici" proteine). E' un po' come una reazione di rigetto che, anziché riguardare un organo estraneo trapiantato, riguarda un organo proprio. Come in tutte le reazioni immunitarie, sono coinvolte numerosissime cellule e sostanze. Nell'AR, comunque, l'elemento fondamentale sono i linfociti T, la cui attivazione determina poi a cascata la secrezione di sostanze infiammatorie (interleuchine, TNF o Tumor Necrosis Factor e altre). Il bersaglio di questa reazione a catena sono i tessuti articolari, a cominciare dalla sinovia, e poi l'osso stesso che vengono poco a poco erosi, più o meno rapidamente a seconda dell'andamento della malattia e della sua aggressività. Secondo i dati clinici, nell'arco dei primi tre anni di malattia il 70% dei pazienti presenta lesioni delle articolazioni evidenti anche alla radiografia e la metà di questi ha sviluppato erosioni e riduzione dello spazio all'interno dell'articolazione già nel primo anno. Dopo il sesto anno, però, le lesioni progrediscono molto più lentamente.
Qual è la causa
Se il meccanismo dell'AR è in buona parte noto, meno chiaro è quale sia l'evento che fa scattare la reazione autoimmune. Per esempio si è parlato della possibilità che a scatenare la malattia sia un'infezione virale, dovuta all'Epstein-Barr virus o al Cytomegalovirus, e a conferma di questa ipotesi alcuni studi hanno trovato segni di infezione dei linfociti T presenti nel liquido sinoviale da parte dei virus in questione.
D'altra parte, è provata anche una componente ereditaria dell'AR: le persone con un consanguineo affetto da artrite reumatoide hanno una probabilità 4 volte maggiore di essere colpite dalla malattia.
Si può parlare quindi di una malattia multifattoriale, alla cui origine ci sono caratteristiche della persona e, probabilmente, fattori ambientali (per esempio i virus).
L'AR è una malattia ad andamento cronico e se non interviene una guarigione completa nell'arco del primo anno, è quasi escluso che possa presentarsi in seguito. Nella maggior parte dei casi l'andamento è pulsante: a fasi di attenuazione dei sintomi sia alternano fasi di aggravamento.
Sintomi e manifestazioni
Ovviamente, il primo e più importante segno/sintomo dell'AR è l'infiammazione dolorosa delle articolazioni. Si usa il plurale perché uno dei tratti distintivi della malattia è di interessare sempre più di un'articolazione, così come l'andamento simmetrico: le articolazioni delle due mani, dei due polsi, quelle dei gomiti e così via. Di solito le prime a essere colpite sono proprio le piccole articolazioni citate prima.
Un altro elemento importante è la rigidità dell'articolazione, che si presenta dopo un periodo di riposo. Difatti uno dei criteri per la diagnosi è proprio la rigidità mattutina, cioè la difficoltà a muovere l'articolazione dopo il riposo notturno. Anche se ora il criterio non è più accettato unanimemente, una rigidità articolare che dura per almeno un'ora al mattino deve far pensare all'AR.
Trattandosi di un processo infiammatorio, l'articolazione colpita può risultare calda e gonfia. Quest'ultima caratteristica è dovuta all'accumulo di liquido sinoviale, che è una delle risposte dell'articolazione a tutti gli insulti (anche ai traumi).
In teoria, l'AR può colpire qualsiasi articolazione, tuttavia è più frequente l'interessamento di mani, piedi, gomiti, anche e ginocchia. Per quanto riguarda la colonna, di solito l'artrite si manifesta quasi sempre alle vertebre cervicali.
La diagnosi
E' difficile poter distinguere tra l'artrite reumatoide e le altre malattie che interessano le articolazioni basandosi semplicemente su uno o più test.
Esistono dei test che provano l'esistenza generica di un'infiammazione (la VES, la proteina C reattiva) ma non sono, appunto, specifici. Esiste poi il cosiddetto fattore reumatoide, in sostanza un auto-anticorpo, ma malgrado il nome non è un indicatore certo della presenza di AR: infatti un terzo circa dei malati non è positivo a questo test, mentre il fattore reumatoide viene riscontrato nel 5% della popolazione sana; inoltre, con l'età tende a presentarsi più spesso in assenza della malattia (nel 10-20% degli ultrasessantacinquenni).
Nemmeno le indagini radiologiche sono di grande aiuto nella prima fase della malattia: al massimo si possono riscontrare alterazioni della sinovia tipiche di un po' tutti i disturbi articolari. E' chiaro che se si riscontrano erosioni di cartilagini e osso significa che la malattia è attiva da mesi.
La diagnosi quindi va posta sulla base dell'esame dello specialista (il reumatologo) che terrà presenti tutti gli aspetti citati finora. A questo proposito, dal 1987 l'American College of Rheumatology ha messo a punto un insieme di criteri utili sia per la diagnosi sia per la valutazione della gravità della malattia.
I Criteri dell'American College of Rheumatology
Per affermare che un paziente soffre di artrite reumatoide devono essere presenti almeno 4 di questi sette requisiti:
Le terapie
Curare l'artrite reumatoide significa agire su due fronti. Da una parte contrastare il dolore, a volte fortissimo e comunque più forte di quello causato dall'artrosi, dall'altra impedire la progressione delle lesioni articolari.
Per il primo obiettivo si impiega tutta la vasta gamma degli analgesici, a cominciare dagli antinfiammatori non steroidei (usati di norma a dosaggi superiori a quelli adottati per l'artrosi) e steroidei (cortisonici), e anche ad alcuni analgesici maggiori (come il tramadolo).
Evitare la progressione delle lesioni articolari richiede l'impiego di farmaci capaci di interrompere in qualche modo la reazione autoimmune. Le sostanze impiegate a questo scopo sono chiamate farmaci di fondo o DMARD (Disease Modifyng Anti-Rheumatic Drugs, farmaci antireumatici capaci di modificare il decorso della malattia). In questa categoria rientrano sostanze note da tempo e altre recentissime, che molto spesso non sono neppure nate per curare l'AR, ma per altre indicazioni. Per esempio l'idrossiclorochina, che è un antimalarico, il metotrexate che è nato come antitumorale, la ciclosporina che originariamente è un antirigetto. Molecole più recenti, come la leflunomide, sono invece state messe a punto già in vista di questa indicazione.
Sostanzialmente, tutti questi farmaci hanno l'effetto di interrompere l'attivazione o la proliferazione delle cellule del sistema immunitario, oppure, come accade con i cosiddetti anti-TNF, di inibire la liberazione di una o più sostanze responsabili del processo infiammatorio. In particolare, gli anti-TNF inibiscono la liberazione del Tumor Necrosis Factor.
Ovviamente, poiché tutte queste sostanze hanno l'effetto di ridurre le difese immunitarie, il paziente trattato può più facilmente andare incontro a infezioni, fenomeno del resto che accompagna anche la somministrazione prolungata di cortisone e derivati.
Senza addentrarsi in particolari, il paziente reumatico deve tenere presente che solo di rado un solo farmaco è sufficiente. Intanto perché ai farmaci di fondo spesso si affiancano gli analgesici; poi perché non è raro che si impieghino in associazione due diversi farmaci di fondo.
In un certo senso, però, gli effetti delle due classi di farmaci possono in alcuni casi sovrapporsi: anche i farmaci di fondo hanno un effetto analgesico (più o meno importante) così come, a rigore, anche gli analgesici antinfiammatori dovrebbero tamponare almeno l'ultimo anello della reazione autoimmune e, almeno in linea di principio, ridurre il danno. Questa ipotesi è stata avanzata per un cortisonico come il prednisone.
Da dove si comincia?
Tradizionalmente l'approccio all'AR era per così dire gradualista. Si cominciava con la terapia analgesica e solo in un secondo momento si passava ai farmaci di fondo. Attualmente si propende per un approccio più aggressivo sin dalle prime fasi, soprattutto quando il paziente presenta i segni di una rapida progressione del danno: fattore reumatoide, VES e proteina C-reattiva elevati.
Maurizio Imperiali
In evidenza:
Salute oggi:
...e inoltre su Dica33:
Dolori articolari, quindi, e non delle ossa, dolori che possono essere dovuti a molte e svariate cause, ma che sono anche il principale sintomo di due importanti malattie: artrite reumatoide (AR) e artrosi.
Quanti ne soffrono
Le stime del numero di pazienti affetti da AR sono abbastanza difficili: si va dall'uno al 2-3% della popolazione generale, ma vi sono anche stime molto più elevate. Quello che è certo è che colpisce più spesso le donne (2-3 volte di più) e che la comparsa si concentra dai 20 ai 40 anni e in particolare nella quarta decade.
Che cos'è
L'AR è una malattia autoimmune, cioè sostenuta da una serie di reazioni immunitarie rivolte verso elementi dell'organismo stesso (tessuti, cellule ma anche "semplici" proteine). E' un po' come una reazione di rigetto che, anziché riguardare un organo estraneo trapiantato, riguarda un organo proprio. Come in tutte le reazioni immunitarie, sono coinvolte numerosissime cellule e sostanze. Nell'AR, comunque, l'elemento fondamentale sono i linfociti T, la cui attivazione determina poi a cascata la secrezione di sostanze infiammatorie (interleuchine, TNF o Tumor Necrosis Factor e altre). Il bersaglio di questa reazione a catena sono i tessuti articolari, a cominciare dalla sinovia, e poi l'osso stesso che vengono poco a poco erosi, più o meno rapidamente a seconda dell'andamento della malattia e della sua aggressività. Secondo i dati clinici, nell'arco dei primi tre anni di malattia il 70% dei pazienti presenta lesioni delle articolazioni evidenti anche alla radiografia e la metà di questi ha sviluppato erosioni e riduzione dello spazio all'interno dell'articolazione già nel primo anno. Dopo il sesto anno, però, le lesioni progrediscono molto più lentamente.
Qual è la causa
Se il meccanismo dell'AR è in buona parte noto, meno chiaro è quale sia l'evento che fa scattare la reazione autoimmune. Per esempio si è parlato della possibilità che a scatenare la malattia sia un'infezione virale, dovuta all'Epstein-Barr virus o al Cytomegalovirus, e a conferma di questa ipotesi alcuni studi hanno trovato segni di infezione dei linfociti T presenti nel liquido sinoviale da parte dei virus in questione.
D'altra parte, è provata anche una componente ereditaria dell'AR: le persone con un consanguineo affetto da artrite reumatoide hanno una probabilità 4 volte maggiore di essere colpite dalla malattia.
Si può parlare quindi di una malattia multifattoriale, alla cui origine ci sono caratteristiche della persona e, probabilmente, fattori ambientali (per esempio i virus).
L'AR è una malattia ad andamento cronico e se non interviene una guarigione completa nell'arco del primo anno, è quasi escluso che possa presentarsi in seguito. Nella maggior parte dei casi l'andamento è pulsante: a fasi di attenuazione dei sintomi sia alternano fasi di aggravamento.
Sintomi e manifestazioni
Ovviamente, il primo e più importante segno/sintomo dell'AR è l'infiammazione dolorosa delle articolazioni. Si usa il plurale perché uno dei tratti distintivi della malattia è di interessare sempre più di un'articolazione, così come l'andamento simmetrico: le articolazioni delle due mani, dei due polsi, quelle dei gomiti e così via. Di solito le prime a essere colpite sono proprio le piccole articolazioni citate prima.
Un altro elemento importante è la rigidità dell'articolazione, che si presenta dopo un periodo di riposo. Difatti uno dei criteri per la diagnosi è proprio la rigidità mattutina, cioè la difficoltà a muovere l'articolazione dopo il riposo notturno. Anche se ora il criterio non è più accettato unanimemente, una rigidità articolare che dura per almeno un'ora al mattino deve far pensare all'AR.
Trattandosi di un processo infiammatorio, l'articolazione colpita può risultare calda e gonfia. Quest'ultima caratteristica è dovuta all'accumulo di liquido sinoviale, che è una delle risposte dell'articolazione a tutti gli insulti (anche ai traumi).
In teoria, l'AR può colpire qualsiasi articolazione, tuttavia è più frequente l'interessamento di mani, piedi, gomiti, anche e ginocchia. Per quanto riguarda la colonna, di solito l'artrite si manifesta quasi sempre alle vertebre cervicali.
La diagnosi
E' difficile poter distinguere tra l'artrite reumatoide e le altre malattie che interessano le articolazioni basandosi semplicemente su uno o più test.
Esistono dei test che provano l'esistenza generica di un'infiammazione (la VES, la proteina C reattiva) ma non sono, appunto, specifici. Esiste poi il cosiddetto fattore reumatoide, in sostanza un auto-anticorpo, ma malgrado il nome non è un indicatore certo della presenza di AR: infatti un terzo circa dei malati non è positivo a questo test, mentre il fattore reumatoide viene riscontrato nel 5% della popolazione sana; inoltre, con l'età tende a presentarsi più spesso in assenza della malattia (nel 10-20% degli ultrasessantacinquenni).
Nemmeno le indagini radiologiche sono di grande aiuto nella prima fase della malattia: al massimo si possono riscontrare alterazioni della sinovia tipiche di un po' tutti i disturbi articolari. E' chiaro che se si riscontrano erosioni di cartilagini e osso significa che la malattia è attiva da mesi.
La diagnosi quindi va posta sulla base dell'esame dello specialista (il reumatologo) che terrà presenti tutti gli aspetti citati finora. A questo proposito, dal 1987 l'American College of Rheumatology ha messo a punto un insieme di criteri utili sia per la diagnosi sia per la valutazione della gravità della malattia.
I Criteri dell'American College of Rheumatology
Per affermare che un paziente soffre di artrite reumatoide devono essere presenti almeno 4 di questi sette requisiti:
- Rigidità mattutina che si protrae per almeno un'ora
- Infiammazione/dolore di tre o più aree articolari (falangi, metacarpo, polso, gomito, ginocchio anca e metatarso-falange destre o sinistre)
- Infiammazione/dolore delle articolazioni della mano
- Simmetria dell'artrite.
- Presenza di noduli reumatoidi: presenza di noduli sottocutanei nelle aree vicine alle articolazioni o in punti anatomici soggetti a pressione (per esempio la pleura, la membrana che riveste il polmone).
- Presenza di livelli sierici elevati di Fattore reumatoide
- Segni di erosione delle articolazioni della mano o del polso visibili alla radiografia.
Le terapie
Curare l'artrite reumatoide significa agire su due fronti. Da una parte contrastare il dolore, a volte fortissimo e comunque più forte di quello causato dall'artrosi, dall'altra impedire la progressione delle lesioni articolari.
Per il primo obiettivo si impiega tutta la vasta gamma degli analgesici, a cominciare dagli antinfiammatori non steroidei (usati di norma a dosaggi superiori a quelli adottati per l'artrosi) e steroidei (cortisonici), e anche ad alcuni analgesici maggiori (come il tramadolo).
Evitare la progressione delle lesioni articolari richiede l'impiego di farmaci capaci di interrompere in qualche modo la reazione autoimmune. Le sostanze impiegate a questo scopo sono chiamate farmaci di fondo o DMARD (Disease Modifyng Anti-Rheumatic Drugs, farmaci antireumatici capaci di modificare il decorso della malattia). In questa categoria rientrano sostanze note da tempo e altre recentissime, che molto spesso non sono neppure nate per curare l'AR, ma per altre indicazioni. Per esempio l'idrossiclorochina, che è un antimalarico, il metotrexate che è nato come antitumorale, la ciclosporina che originariamente è un antirigetto. Molecole più recenti, come la leflunomide, sono invece state messe a punto già in vista di questa indicazione.
Sostanzialmente, tutti questi farmaci hanno l'effetto di interrompere l'attivazione o la proliferazione delle cellule del sistema immunitario, oppure, come accade con i cosiddetti anti-TNF, di inibire la liberazione di una o più sostanze responsabili del processo infiammatorio. In particolare, gli anti-TNF inibiscono la liberazione del Tumor Necrosis Factor.
Ovviamente, poiché tutte queste sostanze hanno l'effetto di ridurre le difese immunitarie, il paziente trattato può più facilmente andare incontro a infezioni, fenomeno del resto che accompagna anche la somministrazione prolungata di cortisone e derivati.
Senza addentrarsi in particolari, il paziente reumatico deve tenere presente che solo di rado un solo farmaco è sufficiente. Intanto perché ai farmaci di fondo spesso si affiancano gli analgesici; poi perché non è raro che si impieghino in associazione due diversi farmaci di fondo.
In un certo senso, però, gli effetti delle due classi di farmaci possono in alcuni casi sovrapporsi: anche i farmaci di fondo hanno un effetto analgesico (più o meno importante) così come, a rigore, anche gli analgesici antinfiammatori dovrebbero tamponare almeno l'ultimo anello della reazione autoimmune e, almeno in linea di principio, ridurre il danno. Questa ipotesi è stata avanzata per un cortisonico come il prednisone.
Da dove si comincia?
Tradizionalmente l'approccio all'AR era per così dire gradualista. Si cominciava con la terapia analgesica e solo in un secondo momento si passava ai farmaci di fondo. Attualmente si propende per un approccio più aggressivo sin dalle prime fasi, soprattutto quando il paziente presenta i segni di una rapida progressione del danno: fattore reumatoide, VES e proteina C-reattiva elevati.
Maurizio Imperiali
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