07 marzo 2008
Aggiornamenti e focus
Polmoni troppo sensibili
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Fino a pochissimi anni fa (2005) l'accesso facilitato ad alcune professioni, che espongono a sostanze irritanti (agricoltore, imbianchino, saldatore, edile) e l'abitudine al fumo, storicamente maschile, favorivano il mondo femminile determinando una maggiore prevalenza della broncopneumopatia ostruttiva (BPCO) tra gli uomini. Come per altro già annunciato dagli epidemiologi, in primis per la diffusione del tabagismo anche nell'universo femminile, la situazione è andata pareggiandosi e infine invertendosi, a fronte, tuttavia, di una ancora scarsa conoscenza delle motivazioni di tale sorpasso. Una delle tante lacune della medicina di genere, ancora molto rudimentale ma per fortuna in evoluzione.
Che la BPCO abbia preso di mira le donne è stato osservato in molte popolazioni, anche se non ci sono dati epidemiologici definiti. Negli Stati Uniti, per esempio, il numero di donne decedute per l'aggravamento di questo disturbo ha superato quello degli uomini, come pure il numero di ricoveri ospedalieri. Ulteriori indagini sul modo in cui viene gestita la BPCO hanno mostrato un'altro aspetto discutibile: le donne ricevono con minor probabilità una diagnosi corretta e quindi una cura appropriata. Ma d'altronde, l'indice BODE, strumento di valutazione della gravità dei pazienti con BPCO, recentemente approvato, non tiene conto del diverso peso che possono avere i vari parametri che si adottano per determinare il suo valore. Quindi, accade che pazienti diversi, per esempio per sesso, abbiano lo stesso punteggio di BODE ma due diversi valori di capacità espiratoria forzata (FEV1). Oltretutto, in aggiunta alla mancanza di dati epidemiologici ed eziologici declinati al femminile, quel poco che inizia a emergere dalle ricerche non è stato ancora tradotto in termini di pratica clinica, di politica sanitaria, di prevenzione ed educazione della popolazione generale. Quello che per ora sembra chiaro è una netta differenza di suscettibilità alla malattia associata all'abitudine al fumo: le donne fumatrici, infatti, risultano essere a maggior rischio di danno polmonare indotto dal fumo, di sviluppare dispnea più grave, di avere uno stato di salute peggiore a parità di sigarette fumate e di sviluppare BPCO in età più precoce a parità di età in cui si inizia a fumare. La sensibilità resta ancora maggiore rispetto agli uomini anche considerando altri fattori di rischio come il fumo prodotto dai biocombustibili (legna, oli) usati, per esempio per cucinare nei paesi in via di sviluppo.
Ma anche senza esposizione al fumo, restano comunque le donne a sviluppare con più probabilità broncopneumopatia ostruttiva e anche con modalità e sintomatologia diverse. Il disturbo, in generale, si può manifestare in due forme, a volte considerate quasi due patologie distinte: l'enfisema, un'alterazione del tessuto polmonare e bronchite cronica, l'ostruzione delle vie respiratorie. Le donne tendono a sviluppare con maggiore probabilità la seconda sintomatologia, ma il motivo non è ancora chiaro. Il dato si può tentare di spiegare in parte con una maggior sensibilità nelle donne delle vie respiratorie superiori a stimoli esterni per dimensioni e struttura delle stesse: nei casi gravi di BPCO le donne presentano un lume delle vie respiratorie anatomicamente più piccolo con pareti eccessivamente spesse. Infine, la maggiore suscettibilità è stata anche attribuita a fattori ormonali, in particolare gli estrogeni la cui azione regolatrice va a intervenire sui meccanismi di detossificazione e di escrezione dei metaboliti delle tossine che si depositano nel polmone. Il mondo clinico e scientifico ha iniziato a mettere riparo a queste lacune che non permettono ancora di definire i confini della BPCO nell'universo femminile. Con un approccio multidisciplinare è in preparazione, come annunciato alla fine del 2007 nel workshop "Toward a Research Agenda on Gender and Chronic Obstructive Pulmonary Disease" tenutosi a Vancouver, in Canada, una revisione della letteratura che ha trattato l'argomento in relazione a tutti i fattori di rischio unitamente a una pianificazione di ulteriori ricerche in programma per il futuro. Restiamo, fiduciose, in attesa.
Simona Zazzetta
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Pochi dati e poco chiari
Che la BPCO abbia preso di mira le donne è stato osservato in molte popolazioni, anche se non ci sono dati epidemiologici definiti. Negli Stati Uniti, per esempio, il numero di donne decedute per l'aggravamento di questo disturbo ha superato quello degli uomini, come pure il numero di ricoveri ospedalieri. Ulteriori indagini sul modo in cui viene gestita la BPCO hanno mostrato un'altro aspetto discutibile: le donne ricevono con minor probabilità una diagnosi corretta e quindi una cura appropriata. Ma d'altronde, l'indice BODE, strumento di valutazione della gravità dei pazienti con BPCO, recentemente approvato, non tiene conto del diverso peso che possono avere i vari parametri che si adottano per determinare il suo valore. Quindi, accade che pazienti diversi, per esempio per sesso, abbiano lo stesso punteggio di BODE ma due diversi valori di capacità espiratoria forzata (FEV1). Oltretutto, in aggiunta alla mancanza di dati epidemiologici ed eziologici declinati al femminile, quel poco che inizia a emergere dalle ricerche non è stato ancora tradotto in termini di pratica clinica, di politica sanitaria, di prevenzione ed educazione della popolazione generale. Quello che per ora sembra chiaro è una netta differenza di suscettibilità alla malattia associata all'abitudine al fumo: le donne fumatrici, infatti, risultano essere a maggior rischio di danno polmonare indotto dal fumo, di sviluppare dispnea più grave, di avere uno stato di salute peggiore a parità di sigarette fumate e di sviluppare BPCO in età più precoce a parità di età in cui si inizia a fumare. La sensibilità resta ancora maggiore rispetto agli uomini anche considerando altri fattori di rischio come il fumo prodotto dai biocombustibili (legna, oli) usati, per esempio per cucinare nei paesi in via di sviluppo.
Predisposizione al peggio
Ma anche senza esposizione al fumo, restano comunque le donne a sviluppare con più probabilità broncopneumopatia ostruttiva e anche con modalità e sintomatologia diverse. Il disturbo, in generale, si può manifestare in due forme, a volte considerate quasi due patologie distinte: l'enfisema, un'alterazione del tessuto polmonare e bronchite cronica, l'ostruzione delle vie respiratorie. Le donne tendono a sviluppare con maggiore probabilità la seconda sintomatologia, ma il motivo non è ancora chiaro. Il dato si può tentare di spiegare in parte con una maggior sensibilità nelle donne delle vie respiratorie superiori a stimoli esterni per dimensioni e struttura delle stesse: nei casi gravi di BPCO le donne presentano un lume delle vie respiratorie anatomicamente più piccolo con pareti eccessivamente spesse. Infine, la maggiore suscettibilità è stata anche attribuita a fattori ormonali, in particolare gli estrogeni la cui azione regolatrice va a intervenire sui meccanismi di detossificazione e di escrezione dei metaboliti delle tossine che si depositano nel polmone. Il mondo clinico e scientifico ha iniziato a mettere riparo a queste lacune che non permettono ancora di definire i confini della BPCO nell'universo femminile. Con un approccio multidisciplinare è in preparazione, come annunciato alla fine del 2007 nel workshop "Toward a Research Agenda on Gender and Chronic Obstructive Pulmonary Disease" tenutosi a Vancouver, in Canada, una revisione della letteratura che ha trattato l'argomento in relazione a tutti i fattori di rischio unitamente a una pianificazione di ulteriori ricerche in programma per il futuro. Restiamo, fiduciose, in attesa.
Simona Zazzetta
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