12 marzo 2008
Aggiornamenti e focus
Menti disturbate dietro le sbarre
Tags:
Che tra i giovani ci sia un diffuso stato di disagio può essere un luogo comune, ma che in ambiti particolari come i carceri minorili, e più in generale i servizi di detenzione per minori, il disagio possa essere più complesso e profondo è intuibile e dimostrabile. Diversi esperti americani, provenienti da esperienze diverse di ricerca in sanità pubblica, in pediatria e in psichiatria, hanno portato avanti uno studio sui servizi di detenzione minorile per avere un quadro più completo di come viene gestita la salute mentale dei detenuti più giovani. Ma anche di come si evolve la terapia, in caso di disturbi mentali, una volta lasciato il carcere di contea, dove negli Stati Uniti si attende, per un periodo di tempo breve e limitato, la decisione del giudice, per andare nella struttura definitiva di detenzione.
L'American Correctional Association raccomanda, nelle collocazioni definitive in cui il giovane detenuto dovrà scontare la pena, la presenza di un'ampia varietà di attività e standard di detenzione meno stringenti che nelle prigioni di contea dove passeranno poco tempo. L'American Academy of Child and Adolescent Psychiatry ha inoltre delineato i parametri per gestire l'ingresso, l'incarcerazione e il rilascio per fare ritorno nella comunità con la pianificazione del trattamento per i giovani che hanno disturbi psichiatrici. Ma chi ha indagato su queste realtà, ha verificato che il passaggio della gestione dei servizi dal sistema giudiziario minorile durante la detenzione, al sistema sanitario per la salute mentale che opera sul territorio, rappresenta un momento in cui si può verificare l'interruzione delle cure. E' anche vero, che la maggior attenzione dedicata allo screening delle malattie mentali da parte del sistema giudiziario ha permesso di diagnosticare e curare di più questi disturbi. Quale dei due aspetti abbia un maggior peso, in particolare per le terapie con psicofarmaci, lo hanno verificato nell'indagine pubblicata da Archives of Pediatrics ad Adolescents Medicine.
I dati sono stati raccolti su una popolazione di circa 130 mila giovani detenuti, circa 68 mila ancora in carceri di detenzione e quasi 60 mila avviati ai servizi di detenzione definitiva. I dati erano abbastanza simili per alcuni aspetti: solo una piccola percentuale (5,4% e 4,4%) prendeva già psicofarmaci prima dell'arresto, e nella restante maggioranza solo una quota minima (1,7% e 1,9%) non prendeva psicofarmaci e ha iniziato la terapia dopo la detenzione in seguito a una diagnosi. Quello che cambiava tra i due gruppi osservati era la percentuale di coloro che anche se prima assumeva psicofarmaci dopo il rilascio aveva proseguito le cure. Solo il 29,6% dei giovani rilasciati dopo aver scontato la pena continuava la terapia con i farmaci, un po' di più, il 62,6%, tra coloro che lasciavano la prigione di contea. Quello che appare evidente agli autori è che prima e dopo aver avuto a che fare con il sistema giudiziario minorile, erano davvero pochi i giovani arrestati che avevano ricevuto terapie psicotropiche, nonostante l'elevato livello di disturbi mentali documentato da altre ricerche. Un dato che non corrisponde a quello registrato nella popolazione giovanile generale, confrontando, infatti, la popolazione selezionata con quella non reclusa, di età compresa tra 11 e 17 anni, in quest'ultima la percentuale di aderenza alla terapia a 30 giorni era del 76% circa, con un calo, quindi, più ridotto di quello registrato tra la popolazione detenuta. Gli autori denunciano la necessità di appropriatezza in questo ambito della salute mentale e del sistema giudiziario: lasciare che giovani detenuti che soffrono di disturbi mentali restino senza una terapia adeguata, prima durante e dopo la detenzione, significa lasciarsi in una condizione di vulnerabilità che li espone ad altre patologie che possono a loro volta condizionare future reiterazioni del reato e quindi ulteriore contatto con la giustizia oppure la loro capacità di vivere nella società e di proseguire gli studi. La presa in carico al momento dell'arresto va pianificata fino al rilascio dando priorità e risalto nella gestione alla condizione mentale del soggetto più che alla pena che deve scontare.
Simona Zazzetta
Salute oggi:
...e inoltre su Dica33:
Prigioni di passaggio
L'American Correctional Association raccomanda, nelle collocazioni definitive in cui il giovane detenuto dovrà scontare la pena, la presenza di un'ampia varietà di attività e standard di detenzione meno stringenti che nelle prigioni di contea dove passeranno poco tempo. L'American Academy of Child and Adolescent Psychiatry ha inoltre delineato i parametri per gestire l'ingresso, l'incarcerazione e il rilascio per fare ritorno nella comunità con la pianificazione del trattamento per i giovani che hanno disturbi psichiatrici. Ma chi ha indagato su queste realtà, ha verificato che il passaggio della gestione dei servizi dal sistema giudiziario minorile durante la detenzione, al sistema sanitario per la salute mentale che opera sul territorio, rappresenta un momento in cui si può verificare l'interruzione delle cure. E' anche vero, che la maggior attenzione dedicata allo screening delle malattie mentali da parte del sistema giudiziario ha permesso di diagnosticare e curare di più questi disturbi. Quale dei due aspetti abbia un maggior peso, in particolare per le terapie con psicofarmaci, lo hanno verificato nell'indagine pubblicata da Archives of Pediatrics ad Adolescents Medicine.
Al rilascio lasciano il farmaco
I dati sono stati raccolti su una popolazione di circa 130 mila giovani detenuti, circa 68 mila ancora in carceri di detenzione e quasi 60 mila avviati ai servizi di detenzione definitiva. I dati erano abbastanza simili per alcuni aspetti: solo una piccola percentuale (5,4% e 4,4%) prendeva già psicofarmaci prima dell'arresto, e nella restante maggioranza solo una quota minima (1,7% e 1,9%) non prendeva psicofarmaci e ha iniziato la terapia dopo la detenzione in seguito a una diagnosi. Quello che cambiava tra i due gruppi osservati era la percentuale di coloro che anche se prima assumeva psicofarmaci dopo il rilascio aveva proseguito le cure. Solo il 29,6% dei giovani rilasciati dopo aver scontato la pena continuava la terapia con i farmaci, un po' di più, il 62,6%, tra coloro che lasciavano la prigione di contea. Quello che appare evidente agli autori è che prima e dopo aver avuto a che fare con il sistema giudiziario minorile, erano davvero pochi i giovani arrestati che avevano ricevuto terapie psicotropiche, nonostante l'elevato livello di disturbi mentali documentato da altre ricerche. Un dato che non corrisponde a quello registrato nella popolazione giovanile generale, confrontando, infatti, la popolazione selezionata con quella non reclusa, di età compresa tra 11 e 17 anni, in quest'ultima la percentuale di aderenza alla terapia a 30 giorni era del 76% circa, con un calo, quindi, più ridotto di quello registrato tra la popolazione detenuta. Gli autori denunciano la necessità di appropriatezza in questo ambito della salute mentale e del sistema giudiziario: lasciare che giovani detenuti che soffrono di disturbi mentali restino senza una terapia adeguata, prima durante e dopo la detenzione, significa lasciarsi in una condizione di vulnerabilità che li espone ad altre patologie che possono a loro volta condizionare future reiterazioni del reato e quindi ulteriore contatto con la giustizia oppure la loro capacità di vivere nella società e di proseguire gli studi. La presa in carico al momento dell'arresto va pianificata fino al rilascio dando priorità e risalto nella gestione alla condizione mentale del soggetto più che alla pena che deve scontare.
Simona Zazzetta
Salute oggi:
- Notizie e aggiornamenti
- Libri e pubblicazioni
- Dalle aziende
- Appunti di salute
- Nutrire la salute
- Aperi-libri
- Allenati con noi
...e inoltre su Dica33: