16 novembre 2005
Aggiornamenti e focus
L'ingiusto infarto
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Giustizia è una parola grossa, come libertà. Però è un concetto che pervade tutte le attività umane e, soprattutto, è alla base di tutte le comunità umane ma non solo. Infatti indagini sui primati (le scimmie) mostrano che anche loro reagiscono in modo negativo agli atti ingiusti. Il lavoro, soprattutto oggi, è una parte fondamentale della vita di ognuno e la comunità lavorativa rischia spesso di diventare la più importante (un rischio davvero). Che succede, allora, se non c'è giustizia sul luogo di lavoro? Si rischia l'infarto. Non è una battuta ma una delle conclusioni cui conduce uno studio di recentissima pubblicazione, condotto su oltre 8.000 dipendenti pubblici britannici con un follow-up di dieci anni (che non è poco). Questa ricerca viene dopo una lunga serie di altre che avevano mostrato come agire in un ambiente in cui le relazioni sono improntate al concetto di giustizia riduca lo stress cronico. Questo, a sua volta, è ormai provato possa determinare alterazioni neuroendocrine che vanno dall'aumento della pressione arteriosa alla diminuzione della tolleranza al glucosio. Insomma, i classici fattori di rischio cardiovascolari.
Per condurre questo studio, per prima cosa si doveva stabilire che cosa fosse la giustizia sul luogo di lavoro. La definizione adottata dai ricercatori era che un ambiente "giusto" quello in cui la gente ritiene che il proprio superiore tenga presente i suoi punti di vista, condivida informazioni sulle decisioni prese e tratti le persone con cortesia e sincerità. Quindi hanno predisposto un questionario sottoposto a più riprese ai partecipanti allo studio. Accanto alla giustizia, sono stati considerati altri due elementi: il livello di sollecitazione del lavoro, dato dal rapporto tra le esigenze lavorative e le possibilità di controllo su ciò che si fa, e il rapporto tra sforzi e ricompense (in pratica un indicatore di riconoscimento di quanto si realizza). Ovviamente sono poi state determinate tutte le variabili demografiche e psicografiche, dall'età allo stato coniugale, dal livello di istruzione al tipo di ruolo e mansione professionale. Infine sono state individuati tutti i possibili fattori di rischio classici (ipertensione, diabete, consumo di alcol, attività fisica eccetera). Che avrebbero potuto confondere i rapporti di causalità.
Sulla base delle risposte ottenute sulla giustizia percepita nel proprio ambiente di lavoro, il campione è stato suddiviso in tre gruppi: livello di giustizia basso, intermedio e alto. Dopodiché si è considerato quanti all'interno di ciascun gruppo sono morti di infarto, hanno subito un infarto non mortale o hanno sviluppato angina pectoris conclamata. Il tutto confermato dalle cartelle cliniche. Il dato, brutalmente, è che chi lavora in un contesto ispirato a equità e rispetto, ha un 30% in meno di sviluppare malattia coronarica (mortale o meno). E' vero che l'alto livello di giustizia percepito correlava con età, livello di istruzione e ruolo rivestito (quanto più elevata la posizione, tanto migliore il giudizio). Tuttavia anche tenendo conto di questo fattore (cioè eliminandolo dall'analisi) l'effetto giustizia restava. A riprova, lo studio mostrava che gli altri due indicatori lavorativi (il livello di sollecitazione e il rapporto tra sforzo e ricompensa) pesavano sì sulla possibilità di infarto e angina, ma solo laddove la giustizia era scarsa o media. Insomma, se c'è equità, anche un lavoro "duro" può non risultare stressante in modo pericoloso per la salute. Lo tenga presente chi "fa il capo" ma anche chi legifera sul lavoro. Perché la salute sul lavoro, a quanto pare, si tutela evitando non solo le sostanze, ma anche i comportamenti tossici.
Maurizio Imperiali
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Un ambiente giusto...
Per condurre questo studio, per prima cosa si doveva stabilire che cosa fosse la giustizia sul luogo di lavoro. La definizione adottata dai ricercatori era che un ambiente "giusto" quello in cui la gente ritiene che il proprio superiore tenga presente i suoi punti di vista, condivida informazioni sulle decisioni prese e tratti le persone con cortesia e sincerità. Quindi hanno predisposto un questionario sottoposto a più riprese ai partecipanti allo studio. Accanto alla giustizia, sono stati considerati altri due elementi: il livello di sollecitazione del lavoro, dato dal rapporto tra le esigenze lavorative e le possibilità di controllo su ciò che si fa, e il rapporto tra sforzi e ricompense (in pratica un indicatore di riconoscimento di quanto si realizza). Ovviamente sono poi state determinate tutte le variabili demografiche e psicografiche, dall'età allo stato coniugale, dal livello di istruzione al tipo di ruolo e mansione professionale. Infine sono state individuati tutti i possibili fattori di rischio classici (ipertensione, diabete, consumo di alcol, attività fisica eccetera). Che avrebbero potuto confondere i rapporti di causalità.
...preserva le coronarie
Sulla base delle risposte ottenute sulla giustizia percepita nel proprio ambiente di lavoro, il campione è stato suddiviso in tre gruppi: livello di giustizia basso, intermedio e alto. Dopodiché si è considerato quanti all'interno di ciascun gruppo sono morti di infarto, hanno subito un infarto non mortale o hanno sviluppato angina pectoris conclamata. Il tutto confermato dalle cartelle cliniche. Il dato, brutalmente, è che chi lavora in un contesto ispirato a equità e rispetto, ha un 30% in meno di sviluppare malattia coronarica (mortale o meno). E' vero che l'alto livello di giustizia percepito correlava con età, livello di istruzione e ruolo rivestito (quanto più elevata la posizione, tanto migliore il giudizio). Tuttavia anche tenendo conto di questo fattore (cioè eliminandolo dall'analisi) l'effetto giustizia restava. A riprova, lo studio mostrava che gli altri due indicatori lavorativi (il livello di sollecitazione e il rapporto tra sforzo e ricompensa) pesavano sì sulla possibilità di infarto e angina, ma solo laddove la giustizia era scarsa o media. Insomma, se c'è equità, anche un lavoro "duro" può non risultare stressante in modo pericoloso per la salute. Lo tenga presente chi "fa il capo" ma anche chi legifera sul lavoro. Perché la salute sul lavoro, a quanto pare, si tutela evitando non solo le sostanze, ma anche i comportamenti tossici.
Maurizio Imperiali
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