Cuori fragili a rischio cannabis

09 aprile 2008
Aggiornamenti e focus

Cuori fragili a rischio cannabis



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Sarà perché se ne fuma meno, sarà perché c'è la convinzione che i componenti della cannabis non siano dannosi come la nicotina, la percezione diffusa tra quelli che fumano marijuana è che in fondo sia meno rischiosa del fumo di sigaretta. Eppure i principi attivi condivisi sono parecchi. Ma è veramente così? Il dubbio lo solleva uno studio pubblicato sull'American Heart Journal dal quale emerge che i consumatori di marijuana avrebbero una aspettativa di vita inferiore dopo un infarto rispetto a chi non ne ha mai consumata. E i dati a disposizione sull'argomento vanno aumentando visto che con l'invecchiamento della cosiddetta "Baby Boomer generation" (le persone nate approssimativamente tra il 1945 e il 1964) sono sempre più i consumatori della droga leggera di lungo corso. Basti pensare che un'indagine del 2002 ha riscontrato che il consumo di marijuana è aumentato di tre volte rispetto al decennio precedente. Il dato di fatto perciò, è che tra i baby boomer il rischio di malattia cardiovascolare va aumentando. Un buon momento, osservano gli autori dell'indagine, per verificare gli effetti a lungo termine della sostanza sul sistema cardiovascolare.

I rischi cardiovascolari


Il dato non è nuovo, precisa l'editoriale di commento allo studio. Già nel 2000 Mittleman e colleghi avevano riportato che tra i consumatori di marijuana più in là con gli anni, il rischio di avere un infarto è cinque volte superiore nell'ora successiva al consumo. Questo nuovo follow-up longitudinale ha, invece, preso in esame l'effetto del consumo di cannabis nell'anno che ha preceduto l'evento miocardico, sulla mortalità seguente all'evento. Dei 1913 adulti ricoverati con infarto miocardico, 52 hanno rivelato l'uso della marijuana nell'anno precedente con una media di frequenza di una volta ogni due settimane. Nel tempo di follow-up di 3,8 anni, 317 pazienti sono morti. Quanto basta per concludere che l'uso della sostanza sia associato a una percentuale tre volte superiore di mortalità dopo un infarto. Con il rischio che cresce al crescere del consumo. In pratica, dicono gli autori, la marijuana non è associata a una maggiore mortalità nella popolazione generale ma lo è nei soggetti vulnerabili, con, per esempio, una malattia cardiovascolare. Un fatto di rilievo anche tenendo conto dei limiti dichiarati dello studio.

Gli effetti della cannabis


Sono pochi, infatti, i soggetti presi in esame e non mancano fattori confondenti come il fatto che chi fuma marijuana spesso fuma anche normali sigarette. Qual è l'agente veramente pericoloso? Il fumo di sigaretta è, tra l'altro, un fattore riconosciuto di rischio per eventi cardiovascolari. Ma la vera novità dello studio, suggerisce l'editoriale, sta nell'aver esaminato per la prima volta consumatori di lunga data. Gli studi finora effettuati, infatti, sui rischi da cannabis o erano stati condotti su animali o su giovani maschi sani fumatori di cannabis in quantità modiche. Un altro aspetto ulteriormente confondente sta poi nel contenuto in THC (tetraidrocannabinolo) che è andato aumentando nel tempo. Su quale possa essere il meccanismo d'azione della sostanza non mancano le ipotesi. Intanto l'aumento dei livelli di carbossiemoglobina con la conseguente diminuzione dei livelli di ossigeno circolanti. Un aumento decisamente superiore rispetto a quanto accade per i fumatori di tabacco. Il consumo di marijuana poi aumenta le catecolamine e la frequenza cardiaca con un effetto che perdura fino a tre ore. E aumenta anche i livelli di pressione, talvolta anche in modo allarmante. La funzionalità cardiaca è così fortemente alterata. Un fatto magari poco rilevante per consumatori giovani ma che a lungo termine potrebbe avere il suo peso, con rischi per il cuore ma anche di ischemie, di ictus nonché di aritmie con possibile morte improvvisa. I rischi sarebbero indiscutibili per i soggetti più fragili anche se studi a più larga scala potrebbero eliminare eventuali dubbi. Ma il monito di scoraggiare il consumo di marijuana, conclude l'editoriale, deve rimanere forte e, aggiungono, anche l'idea di ricorrere alla cannabis con finalità terapeutiche va valutata con cautela. Saranno contenti nelle Marche, dove la Regione ha appena fornito indicazioni per l'importazione di cannabinoidi a scopo terapeutico, ponendoli a carico del servizio sanitario regionale.

Marco Malagutti



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